Era nell’aria. Doveva succedere.

Quel connubio tra Luka Doncic e le NBA Finals, che si incontrano per la prima volta (e sicuramente non sarà l’ultima).

La quarta danza tra il Larry O’Brien Trophy e Kyrie Irving. Tanto bistrattato, tanto messo all’angolo e dimenticato da permettergli di rinascere nell’ombra del Texas.

Il secondo tra il massimo palco del basket internazionale e Jason Kidd in canotta Mavs, la prima volta da coach.

Perché i Dallas Mavericks non hanno solo vinto, hanno dominato il loro tabellone. Mai in discussione, sempre in controllo contro LA Clippers, OKC Thunder e ora Minnesota Timberwolves.

Chiudono il discorso Western Conference con un record 12-5, ma che sarebbe potuto tranquillamente essere molto migliore.

Gara-1 delle finali di Conference inizia nel migliore dei modi per la squadra di Mark Cuban. Sulle spalle di un doppio trentello della coppia Doncic-Irving, i Mavs strappano subito il fattore campo: 108-105. Una partita tesa, sofferta, guidata per quasi tutta la sua interezza dai Lupi padroni di casa. Ci vogliono il 33-8-6 dello sloveno e i 30-4-5 dell’ex Celtics per strappare a Anthony Edwards & co. il primo atto di una serie che sarà più corta del previsto. Nell’ultimo quarto il sorpasso decisivo grazie ai 15 punti di Luka Magic, che annullano lo sforzo collettivo di Minnie (6 giocatori in doppia cifra, guidati dai 24 di Jaden McDaniels). A colpire però è una semplice statistica: difesi da Irving, gli avversari hanno tirato con il 27%. Non è un caso: sono tutti i Playoff che Kyrie gioca un basket fenomenale. In attacco, ma anche in difesa. E questo è un valore aggiunto che per Kidd vale oro colato… perché da liability il numero 2 diventa punto di forza. E possibile grimaldello degli attacchi avversari.

Passano 48 ore, ma Gara-2 è la fotocopia del primo scontro. Minnesota prende il controllo della palla a spicchi, allunga (fino a toccare quota +18 tra fine secondo e inizio terzo quarto). A metà della terza frazione Dallas ricomincia progressivamente a ricucire fino a mettere il naso avanti negli ultimi 12 minuti. A guidare la remuntada il solito Doncic: per lui tripla doppia da 32 punti, 10 rimbalzi e 13 assist. E la dagger three contro il 4 volte DPOY Gobert (con annesso Motherf****r, you can’t f*****g guard me) che a una manciata di secondi dal termine sigla il definitivo sorpasso e il 2-0 nella serie.

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La vittoria (109-108) arriva anche grazie a un più ampio contributo dei Mavericks che non hanno stampato sulla schiena un cognome sloveno. Eccetto Irving, che diminuisce il suo apporto offensivo a 20 punti, ma 13 di questi li sigla nell’ultimo quarto. Gafford ne piazza 16, Dereck Lively 14 con 9 rimbalzi (e un true shooting da 101%). Ma a vincerla è ancora la difesa: tutto il quintetto titolare tiene gli avversari sotto il 50% dal campo. E Minnesota fatica a ritrovare la sua identità offensiva. Se in Gara-1 a guidare i Lupi era stato McDaniels, in Gara-2 ci deve pensare Naz Reid dalla panchina con 23 punti. Spenti Anthony Edwards e Karl-Anthony Towns (29% e 25% dal campo). Così, contro una Dallas in trance agonistica, è difficile andare avanti.

E non è un caso che, dopo un viaggetto in quel del Texas, la faccenda non cambi più di tanto. O meglio, per certi versi si ribalta. Perché in Gara-3 a guidare dal primo all’ultimo minuto, questa volta senza concedere alcuna rimonta, sono i padroni di casa: 116-107. Merito di? Provate a indovinare… sempre i soliti. Doncic e Irving, Irving e Doncic. Gira che rigira, chiunque voglia battere Dallas deve passare per questi due. Il backcourt di Jason Kidd ne segna 66 (33 a testa). Doncic ci aggiunge i suoi 7 rimbalzi e 5 assist. A tenere in vita dei Timberwolves in netta difficoltà ci prova questa volta Anthony Edwards (28 punti per l’ex Georgia). Ma quando il tuo miglior giocatore per distacco si prende solo tre tiri in tutti gli ultimi 12 minuti di gioco, è davvero complicato portarsela a casa. Lodevole il sempre consistente Mike Conley, cui risponde a tono PJ Washington per Dallas. E alla fine è 3-0. Senza storia.

Gara-4 si prospetta un massacro per Minnesota. Dallas lanciatissima, la squadra di Finch in palese difficoltà di gioco e mentale. Niente di più sbagliato. I giocatori di Minneapolis lo avevano detto in conferenza stampa sotto varie salse: «Se c’è qualcuno che può ribaltare la serie e vincerne quattro di fila, quelli siamo noi». Detto fatto. I Mavs la prendono un po’ sottogamba, i T’Wolves impattano alla perfezione fin dal primo minuto e tengono il timone fino alla sirena finale: 100-105. Dal definitivo sorpasso a cinque minuti dal termine è un assolo di KAT e Edwards, i due grandi assenti della serie. Il primo chiude con 25 punti, il secondo con 29 (cui aggiunge 10 rimbalzi e 9 assist). Torna a funzionare anche la difesa, quella che era stata l’arma in più per i Lupi fino a quel momento. Nessuno tra Doncic (che comunque piazza una tripla doppia da 28-10-15) e Irving raggiunge quota 30 punti. Ma sarà la prima e unica volta nella serie. Dal possibile sweep Dallas è costretta a ritornare a Minneapolis.

Ma Gara-5 è solo una formalità: 124-103. Dopo 12 minuti Minnesota è a 19 punti, Doncic da solo ne ha già segnato 20. Un lontano ricordo di quella Gara-7 tra Phoenix Suns e gli stessi Mavs in cui Luka Magic aveva distrutto moralmente (e non) il pubblico dell’Arizona. Dallas si riprende dallo scivolone di due giorni prima, ingrana la quinta dopo un minuto e non ce n’è più per nessuno. Il vantaggio sfiora i 40 punti, i T’Wolves non entrano mai sul parquet. Le uniche cose degne di intrattenimento sono i siparietti tra Luka e la tifoseria (tra cui Snoop Dogg). Il Yeah, who’s crying now dello sloveno è destinato a entrare nel linguaggio base del basket NBA.

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Sono 36 i punti a testa per Luka e Irving. Un dominio assoluto cui il doppio 28 di KAT e Edwards non si avvicina neanche a rispondere. È 4-1 per Dallas, è la terza finale della loro storia dopo il 2006 e il 2011. È la possibilità per Kyrie di sconfiggere il suo passato più odiato. Per Doncic di confermare che meglio di lui nella NBA ce ne sono pochi pochi pochi, forse nessuno. Per Kidd di dimostrare che sulla panchina NBA lui ci sa stare eccome. Per PJ Washigton e Derrick Jones che non sono solo role player ma qualcosa in più. Per Dereck Lively e Daniel gafford che è finita l’era dei vari Kleber e Powell, e che il pitturato è diventato un punto di forza per Dallas. Per i Mavericks, perché c’era bisogno che ricordassero al mondo della palla a spicchi che si erano solo addormentati. Che l’era Nowitzki è passato. E che ora siamo nel 6 d.D., dopo Doncic.

3 thoughts on “Dallas Mavericks alle NBA Finals

  1. Speravo in Minnesota, perché simpatizzo per tutte le squadre che non hanno mai vinto un titolo, ma obiettivamente c’è stata poca storia e Luka meritava questa soddisfazione. Adesso vediamo se riusciranno a sconfiggere i Celtics e la cabala: mai una testa di serie n. 5 ha vinto il titolo Nba.

    Ecco, ho notato questa particolarità della Nba rispetto alle altre leghe Usa: in Nfl abbiamo visto Super bowl vinti da teste di serie n. 6 (quando le qualificate erano proprio sei); in Mlb hanno allargato i playoff a sei squadre solo da due anni e già abbiamo visto una World series tra una n. 5 e una n. 6; in Nhl abbiamo visto vincere delle n. 8 e addirittura tre campionati vinti da squadre che avevano chiuso la stagione regolare sotto il 50% di vittorie. In pratica, finita la stagione regolare, si riparte daccapo e tutto può succedere.

    In Nba, invece, troviamo solo un campionato vinto da una n. 4 e uno vinto da una n. 6 (tra l’altro, una n. 6 particolare, visto che si trattava dei campioni in carica): tutte le altre volte, ha vinto una squadra tra la n. 1 e la n. 3. Spesso si critica la stagione Nba, dicendo che non conta nulla, invece è forse l’unica lega in cui la stagione fornisce una gerarchia abbastanza precisa dei reali valori in campo.

  2. Infatti i Celtics sono strafavoriti in queste finali. Molto interessanti le tue considerazioni e statistiche @Nick says. Non saprei; vero che playoff e stagione regolare sono due cose molto ma molto diverse, per intensità, per le difese, perchè si concede meno contropiede, per il metro arbitrale, ecc., ma forse, alla lunga, ciò che esce dalle 82 partite rispecchia abbastanza bene i valori in campo, il talento a disposizione e la determinazione dei leader a vincere e la profondità di un team. Una 4, alla fine, è elites Nba, specie se viene da Ovest dove il valore delle corrazzate è molto alto. Una 6 in effetti fa più sorpresa. Questi dati sarebbero da approfondire. La mia impressione è che negli ultimi anni la Nba si stia livellando in alto in maniera veramente bella e affascinante, le dinastie ci sono(gli stessi Celtics con 2 finali in 3 anni sono onestamente una dinastia nel grado di competizione di adesso), ma per il livello di talento, per i movimenti di mercato, hanno vita più breve e più fattori possono intervenire a spezzare il cammino, come hanno testimoniato i GS, la dinastia più significativa degli ultimi anni, i quali hanno conosciuto anche stagioni veramente imbarazzanti a livello di risultati, ma capaci di ritornare in alto quando i pianeti si sono riallineati nel verso giusto.

  3. Vero! Io spesso rimpiango la pallacanestro dei miei tempi per la maggiore fisicità, i punteggi più bassi, il minor numero di triple. Però c’è anche l’altro lato della medaglia: nei primi otto campionati che ho seguito, ho visto vincere tre volte i Bulls, tre volte i Lakers e due volte gli Spurs… tre squadre in otto anni! Le sei diverse vincitrici nelle ultime sei stagioni, da questo punto di vista, sono una bella boccata d’aria!

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