Lasciata la ribalta a Bruins, Rangers e Panthers, vere schiacciasassi e a turno padrone dell’Est, Hurricanes e Maple Leafs hanno performato in sordina durante l’anno regolare, mantenendo comunque sempre ben salda la posizione dietro le tre corazzate e senza dunque mai mettere in discussione l’accesso ai playoff. Possiamo anzi ben dire che forse sarà proprio la pazza postseason NHL a smentirci, ma nella Eastern Conference pare esserci un solco fra queste 5 compagini e il resto del plotone in lotta per gli ultimi spot.
Purtroppo per Toronto la competitività della Atlantic Division non dovrebbe evitargli un (ennesimo) incandescente primo turno, magari contro i loro giustizieri dello scorso anno, proprio quei Panthers in missione che poi massacrarono la stessa Carolina, dopo che la tragica parola “lose” era stata esorcizzata dai ragazzi di Sheldon Keefe al cospetto di Tampa Bay.
Ad un tiro di schioppo dal termine della regular season i 100 punti sono in cassaforte e le due franchigie marciano spedite, forti del loro giovane core ormai fatto, finito e maturato, di veterani e utility player negli anni giunti ad affiancarli e proteggerli e di due capitani silenziosi ma amati da roster e dirigenza: un penalty killer two way fra i più forti e decisivi quale Jordan Staal e un istintivo creatore di spazi come John Tavares. Insomma, Carolina e Toronto fanno paura e possono considerarsi due outsider di lusso, prime alternative a Boston, Rangers e Florida.
Chi scrive, nonostante possegga un cuore a foglia d’acero, mette un filino avanti il team di coach Brind’Amour, skipper che negli anni, e rispetto al collega di stanza in Ontario, ha saputo dare una mentalità più resiliente ai suoi lasciando comunque briglia sciolte alle iper qualitative forward, un nugolo di stecche potenti che destina in porta un numero di tentativi secondo solamente a Florida, una corazza difensiva esagerata e soprattutto maggiore personalità ad inizio gara, nella quale i canadesi sembrano bensì perdersi spesso e subire quelle reti che li costringono poi a rimonte impossibili, invece che aggredire i rivali ad inizio azione.
Tutto ciò provoca statistiche mai soddisfacenti per ogni goalie affacciatosi in questi lidi, nonché delle medie su scoring chance incassate sopra la media.
Carolina d’altro canto è il team che pressa più alto di tutta la NHL, ha la miglior PK% (86.2), recupera dischi e permette perciò transizioni diaboliche alle proprie stelline Aho, Necas, Jarvis e Svechnikov, fra l’altro anche glaciali nelle geometrie in power play insieme al leggendario Burns, secondi di lega.
Il gioco di Keefe, per carità efficiente e utile ad esaltare le skills di Matthews, Marner e Nylander, la cui rinegoziazione del contratto di Dubas col senno di poi è stata una mano santa, prevede al contrario uno spasmodico puck movement dei suoi assi, utile a liberare metri per inserimenti da dietro o concludere in one timer, oppure in superiorità numerica sfruttando Tavares e McMann schermi dinanzi la blue line, con Matthews, Rielly e Giordano ad impostare in regia e liberare in esterno i vari Marner, Nylander e Bertuzzi, lui ultimo fra i tanti veterani importanti emigrati a Toronto in cinque anni.
Premesso che ai playoff stimoli e sensazioni arrivano dal nulla, e i momentum che hanno reso celebri cavalcate improbabili sono dietro l’angolo, quel che pone Carolina a nostro avviso fra le favorite totali a differenza dei Leafs è per l’appunto un gioco corale superiore, seppur come detto abbinato alle individualità dei singoli.
Inoltre rispetto a Toronto, le cui casse societarie non hanno permesso sussulti di mercato a causa dei molteplici ritocchi nel recente passato per sistemare i contratti dei big, gli Hurricanes, oltre a rinnovare Aho a 8 anni (78M) e riavere in salute Svechnikov, in deadline hanno sacrificato Bunting e qualche pick per affondare il colpo su Kuznetsov – dopo Orlov – e soprattutto Guentzel, senza tuttavia stressare il cap hit, ancora inferiore ai rivali di quasi 10 milioni.
Un All-in da fine stagione comunque calcolato, dato che il salasso da 4.5M sarà rivalutato al termine della postseason, al pari di quelli per Pesce, Skjei e Teravainen, e se il bilancio sarà negativo e la Stanley Cup rimarrà un sogno futuro, libererebbe la bellezza di 21 milioni da re-investire per rimanere dominanti.
L’assicurazione sulla vita per i Maple Leafs, e garanzia di incutere timore ai playoff, non può che essere ancora Auston Matthews, inarrivabile punisher ma negli ultimi 3 anni pure tessitore di trame corali e dunque pregevole assistman. Giá Hart winner due tornei fa nonché vincitore Calder, Richard e Ted Linsday Award, marcia verso vette ancor più infinite, col quinto campionato consecutivo a 40+ gol e lo stratosferico numero attuale di 66, cifra di gran lunga numero 1 NHL, e al secondo di carriera con 100+ punti totali.
Purtroppo Toronto deve fare i conti con un’infermeria piena, con Jarnkrok, Klingberg e il lungodegente Muzzin, per non parlare del netminder Murray, un ruolo questo spesso sul banco degli imputati dopo la dipartita dello stesso Andersen, oggi saldamente nella gabbia Canes, per il quale però non conserviamo totale fiducia e che forse potrebbe rappresentare l’unica ombra sinistra verso una trionfante marcia nel nome di Lord Stanley.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.