I Golden Knights chiudono il cerchio aperto dall’expansion draft stagione 2017, portando la Stanley Cup nella T-Mobile Arena, luogo dove in quell’estate partì l’avventura di Las Vegas nell’hockey. Da lì in poi solo successi e favori dei pronostici, col playoff berth quasi formalità e tanto spettacolo sul ghiaccio.

Ironico come l’anno 2022/23, sulla carta il più difficile, sia risultato bensì quello vincente, nonostante appunto un’inferiorità presunta verso le corazzate dell’est, lo spauracchio Avalanche ad abitare l’ovest, molti problemi in porta ed un criticato cambio in panca, con Bruce Cassidy a rimpiazzare Peter Deboer.

Infortuni ed equivoci, che hanno difatti giocato un brutto scherzo specialmente fra i pali, con in ordine Brossoit (anca, 2 lower body) Lehner (anca), il rookie Thompson e l’ambigua trade per la leggenda Quick spesso ai box, hanno però permesso di assistere alla bellissima favola di Adin Hill, arrivato alla finalissima come primo goalie per GAA (2.07) e Sv% e dietro solamente a Bobrovsky per GSAA (gol saved above avg) e GSAx (expected).

A cadere sotto i colpi dei Knights con un secco 4-1 quei Panthers in missione dopo il memorabile upset su Boston e l’umiliazione a Toronto e Carolina.

Kolesar, Amadio, Howden, Barbashev, Hague e la star Eichel avevano aiutato Stone, Pietrangelo e gli altri senatori a superare Jets (4/1), Oilers (4/2) e Stars (4/2), sfruttando dei break decisivi, in overtime in gara3 della prima serie e nelle iniziali due dell’ultima.

I 26 gol nelle cinque partite conclusive raccontano poi di un dominio mai in discussione, e il gentleman sweep è arrivato solo grazie allo scatto di reni di Florida in gara 3, recuperata in extremis e vinta in OT.

E’ accaduto ciò che avevamo previsto, e cioè che vincere la feroce Eastern Conference poteva dimezzare le energie della finalista, fra l’altro l’unica underdog fra le 8, dando poi il via libera alla vincitrice dell’altro raggruppamento.

Vegas infatti è agevolmente imposta nel proprio tabellone, sfruttando la stagione no di Colorado, le pecche difensive di Edmonton e il mancato apporto dei veterani a Dallas, arrivando fresca e con tutti i giocatori prime sovra eccitati nei winner take all!

A Paradise sin dal debutto sono d’altronde abituati ad ammirare le piroette tecniche di numerosi campioni prelevati per scalare la vetta, oggi raggiunta. I vari Dadonov, Pacioretty, Tuch, Fleury, Glass, Reaves, Stastny, Perron, Neal e Schmidt, passati per “The Strip” in 6 anni, hanno contribuito infatti ad accendere la febbre dell’hockey ed andare all in come nei famigerati tavoli verdi di Las Vegas.

Nessuno può però esimersi nel nominare il vero asso di questa epopea: Jonathan Marchessault, oggetto misterioso a caccia di redenzione emigrato poi in Nevada e messosi al servizio di compagni più dotati e rinomati, unico a non essersi mai piegato ad infortuni, cali di concentrazione e soprattutto discontinuità di prestazioni.

Lui, Eichel e Barbashev, acquisizione in deadline mai tanto azzeccata, hanno composto la prima linea dei sogni che divide punti, qualità e clutchness.

Nella cavalcata odierna lo abbiamo trovato onnipresente nei playbook offensivi di Cassidy, jolly nella Top Six, capocannoniere dinanzi la stella Eichel e l’altro Golden Misfit insieme a Karlsson Reilly Smith, nonché funambolica ala nella primaria unità da power play, che grazie alle sue performance da leader maximo (quasi 25 punti in stagione) non è stato più quel tallone d’Achille che aveva impedito il trionfo degli anni passati.

Spaventose le sue statistiche avanzate in 5/5: primo in GF%, CF% e xGF%, mentre il team con lui sul ghiaccio incassa 1.25 reti e ne segna 4.45 per 60 minuti, con 3.36 expected gol e 2.17 against, valevoli la migliore ratio di gruppo. Il Conn Smythe Trophy è il riconoscimento sacrosanto ad una spettacolare postseason!

Dicevamo di Eichel, investimento costato caro (Tuch, Krebs e pick multiple) pure perché avvenuto con l’asso in naftalina e in contenzioso coi Sabres. Beh, ad un anno e mezzo dai fatti Vegas si coccola la propria superstar, decisiva per alzare il trofeo con l’eccelsa qualità dimostrata alla prima esperienza da postseason, con plus 14 e più di 1 punto per game.

I Knights avevano bisogno di un giocatore che si districasse dalla media di squadra, nella quale ogni elemento performa sin dal 2017 ad alta efficienza ma in gameplan di gruppo. Eichel ha dato invece quella imprevedibilità che solo chi è capace di creare dal nulla in ognuna delle tre zone può fare, fulcro e centro del puck movement in full strenght e quarterback in superiorità.

Il capitano Stone ha per merito suo potuto recuperare con calma, alzando adesso la coppa più bella nell’anno maggiormente difficile da quando sbarcato in Nevada, martoriato dagli acciacchi e quasi vicino a deporre le armi per tutto l’anno. Poi, campionissimo qual’è, ha fatto la differenza disputando i migliori playoff di una carriera da Hart Trophy, conditi dalla ciliegina dell’hat trick conclusivo, grazie anche ad un linemate del calibro di Chandler Stephenson, plausibile MVP della corsa alla Stanley Cup.

Grande la rivincita del coach, accusato a Boston di limitare l’offense ad una prima linea monodimensionale ma che qui si è rimesso in gioco coordinando una compagine ricca di qualità ma abile a spartirsi la gloria.

Ed è solo in un team così poliedrico – quasi 15 uomini in doppia cifra per punti in questi playoff – poteva emergere la classe cristallina di Karlsson, pivot svedesino tutto fuorchè costante ma imprescindibile arma offensiva non appena accende la luce.

Alla soglia dei 30 raccoglie i frutti dall’ aver rinunciato alle sirene delle deadline per tentare la scalata all’olimpo nella Sin City; lo ha fatto da protagonista, siglando prima delle Finals un gol in ogni gara finale e conducendo le stats su punti per 60 minuti in 5/5. Soprattutto la sua presenza sul ghiaccio si è vista anche in difesa, quando con lui presente Vegas è andata 14-5 lasciando persino McDavid e Draisaitl a zero nelle reti in full strenght, spaziando inoltre con 4.66 takeways di media!

Menzione d’onore merita assolutamente anche Phil Kessel, fra i più longevi skater di sempre, accantonato dopo il rientro in lineup contro Winnipeg di Carrier ma utilissimo in regular season con 82 prestazioni vintage.

2 thoughts on “Vegas chiude il cerchio e vince la Stanley Cup

  1. A inizio serie tendevo leggermente a favore di Florida, per via di Bobrovskij e perché non amo molto Las Vegas. Però obiettivamente, per quel che è stata la serie finale e per quel che è stata la stagione regolare, è giusto che sia andata così.

    Adesso sono curioso di scoprire il destino dei Coyotes. Ho letto che potrebbero trasferirsi a Salt Lake City e a quel punto mi troverei in difficoltà, perché da un quarto di secolo tifo Utah Jazz e sarebbe difficile non parteggiare anche per la squadra di hockey della città. Solo che già tifo per Buffalo e simpatizzo per Columbus: tre squadre sarebbero un po’ troppe!

  2. Con vivo dolore ho visto coach Cassidy alzare la Stanley Cup (è stato per anni nostro coach amato-odiato a Boston), ma è giusto così: troppo più forte e completa Vegas rispetto ai Panthers che hanno davvero dato il massimo. Impietoso il confronto Cassidy – Montgomery (attuale coach Bruins) in questi playoffs: il primo ha condotto la nave in porto, il secondo è riuscito ad accartocciarsi in scelte demenziali che hanno fatto uscire al primo turno i Bruins. Conosco bene la follia dei playoffs Nhl e le squadre (come i Panthers) che si trasformano in belve feroci nei playoffs dopo regular season non proprio memorabili, ma resto dell’idea che la finale giusta, sulla base della reale forza dei rosters, fosse Boston – Vegas. Poi avrei visto ahimè favoriti i Glden Knights effettivamente, però ancora non sono proprio riuscito a metabolizzare la debacle al primo turno…

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