L’ennesima delusione al primo turno playoff dei “giovani” Maple Leafs era stata salutata stavolta con la consapevolezza di essere finalmente diventati grandi. Toronto ha infatti manifestato inedite personalità e sicurezza nei propri mezzi contro la miglior squadra NHL degli ultimi lustri, costringendo Tampa ad uno scatto di reni per proseguire la corsa e sfiorare poi un’altra Stanley Cup.
E’ effettivamente oggettivo come dal 2016, anno in cui a Matthews, Marner e Nylander sono state affidate le redini del gioco, ogni sconfitta della postseason aveva lasciato in dote dubbi sull’indole e il temperamento del trio delle meraviglie nonché prime scelte, tanto da far aumentare rumors su almeno una cessione eccellente. Invece ci troviamo adesso a tessere le lodi alla dirigenza per essere andati all-in sui tre ragazzi oggi divenuti uomini e secondi a nessuno in quanto a produttività offensiva ed incidenza sul ghiaccio.
La sconfitta dell’anno scorso ha dunque fatto ripartire la compagnia di Keefe e Tavares in modo diverso rispetto al passato, convinti di potersi giocare alla pari sia a livello tecnico, ma pure caratteriale, con le molteplici corazzate di Atlantic e Metropolitan Division le chance di arrivare alle Finals! Terzi dietro Bruins ed Hurricanes per merito di un cammino sempre al vertice, condito da una decisiva striscia a punti di 15 partite fra novembre e dicembre, i Leafs da due anni sembrano un’altra squadra per come approcciano le gare.
Fra i loro segreti c’è principalmente la “nomina” a vice capitano ad honorem di Michael Bunting, collante fra le stelle sia in top six che in superiorità numerica e senza dubbio affare low cost più azzeccato degli ultimi anni in NHL. Sottovalutata 117° scelta overall di Arizona nel 2014, ha infatti strabiliato nella stagione da rookie qui in Ontario con ben 23 gol su 63 punti totali, quasi lo stesso ritmo della stagione attuale e cifre valevoli il terzo posto al Calder e la convocazione per l’All-Rookie team, lui che impegna la miseria di 950.000$ di cap.
Il suo primo sponsor è Mike Van Ryn, ex difensore di Toronto nonché allenatore di Bunting nelle Minor dei Coyotes, che lo ha descritto da sempre come un coach sul ghiaccio, fine stecca e ottimo quid offensivo ma soprattutto coraggioso in balaustra e nei forecheck, e inoltre – cosa che non guasta mai – furbo trash talker che provoca e guadagna penalità.
In linea fra Matthews, Nylander, Tavares, Marner e Jarnkrok è riuscito a migliorare ognuno di loro senza diminuire le irreali percentuali al tiro (14.5) e la media punti per gara (0.71). Il gruppo con Tavares in primis lo adora e lo preferisce senz’altro ai veterani a caccia di titolo che a turno hanno fatto da chioccia per i giovani assi negli anni, tentativi che col senno di poi si sono rivelati fallimentari e che (forse) hanno incrinato lo spogliatoio, viste le personalità troppo invadenti rispetto a quella del capitano, mite ma impavido come piace a compagni e fanbase, e in simbiosi con quella da sergente di ferro di Sheldon Keefe.
D’altronde le scelte delle ultime estati non potevano non tenere conto della crescita – anche anagrafica – dei Big Three, che ha spinto perciò Dubas ad eliminare quelle “balie” con vista Stanley Cup che li avevano attorniati negli ultimi esperimenti sfortunati; quindi stop ai vari Spezza, Marleau, Ennis, Simmonds (per ora), Thornton, Foligno e Clifford: il solitario “appiglio” per la triade delle meraviglie è John Tavares, capitano dalla leadership silenziosa amato nella locker room, e appunto Michael Bunting!
Infatti l’unico veterano arrivato in estate a rimpinguare la difesa, adesso orfana del lungodegente Muzzin, è stato Jordie Benn. Questa è una assegnazione di responsabilità enorme per tre elementi su cui si è deciso di insistere e costruire una dinastia e ai quali entro la free agency (2024 e 2025) saranno probabilmente proposte estensioni esorbitanti!
La risposta sul ghiaccio dei tre è stata finora strepitosa. Se Matthews ormai lambisce l’eccellenza di McDavid e MacKinnon, specialmente dopo il primato da cannoniere e negli even-strenght gol dello scorso torneo, sono Marner e Nylander coloro che stanno compiendo l’ultimo sforzo per elevarsi nell’olimpo NHL, proseguendo il comunque ottimo bottino da 69 segnature combinate del 2021. La striscia di 23 gare a punti per Marner lo pone nella storia della franchigia, mentre Nylander sta semplicemente disputando la miglior stagione della carriera.
L’ottimo puck movement e il possesso disco rimangono i due mantra dell’allenatore, così come la maturità difensiva affidata a Giordano, Brodie, Holl, Muzzin e l’acciaccata bandiera Rielly, ma è nel ringiovanimento delle checking line che i Maple Leafs hanno tratto vantaggio sia per eliminare i troppi elementi in là con gli anni che per velocizzare l’azione e proteggere maggiormente lo slot: subire 94 reti e 1.051 tiri in porta in 37 gare sono difatti inedite primizie da podio NHL che servono a bypassare una SV% nella norma (.914).
I dubbi di un gruppo forte e coeso, pronto per il grande salto dopo anni di delusioni ma reduce da un’egregia stagione, arrivano, oltre che dall’abitare la division di una conference pazzesca, per l’appunto dalla protezione della gabbia. Il problema portieri è stata difatti sempre la spada di Damocle sulla quale sono andati a cozzare i sogni di gloria di un team da 115 punti ma con la 21° save percentage. Ora le preoccupazioni sono se possibile addirittura superiori.
Murray e Samsonov non presentano invero referenze convincenti in un ruolo che nel recente passato pareva essere ricoperto da due star; inoltre, la loro salute cagionevole provoca sovente l’utilizzo di Kallgren e l’allerta a Petruzzelli. L’irreversibile crisi di Andersen prima e quella di Campbell poi – lasciato andare assieme a Mrazek – hanno perciò riportato Dubas al punto di partenza, indirizzandolo verso l’usato sicuro.
Purtroppo l’originario erede di Fleury a Pittsburgh è andato invece in erosione tecnica, mentre l’UFA è stato siglato un anno dopo non aver ricevuto dai Capitals la qualifyng offer a seguito di un inconsistente 2021. La loro media combinata sui gol saved above average dal 2019 è 7.4: numeri molto brutti sebbene Murray a volte sembri risorgere dalle ceneri.
Salutato l’ultimo diamante Mikheyev insieme a Kase e il ritirato Spezza, le speranze della cantera per un secondary scorer dietro i big four prendono ora le sembianze di Robertson, sempre che venga a patto col proprio fisico e raggiunga quindi maggiore continuità, dopo 49 gare in AHL e 16 da Major, lui reduce fra l’altro dai 55 gol in 46 partite nella OHL 2019/20.
I Leafs ci sono anche quest’anno, consci che il core su cui si è puntato da sette anni è oggi un elite, nonostante la Eastern Conference appaia addirittura più selvaggia del solito, vista la seconda giovinezza dei Bruins e le nuove leve che crescono e fanno paura (Devils su tutti), mentre la deadline con pesche intriganti all’orizzonte (Kane, Tarasenko e Dumba) attrae e potrebbe sacrificare sull’altare pick e ottimi fit quali Kerfoot e lo stesso Robertson.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.