Una Stanley Cup che manca da ormai più di 30 anni. Più o meno la metà senza nemmeno approdare ad una finale. Titolo di division che addirittura non viene messo in bacheca dal 1987.
Una ricostruzione infinita per una squadra che ha dominato gli anni ’80, vincendo tutte e cinque le Stanley Cup di cui è in possesso tra il 1984 e il 1990. Erano gli anni del mitico Wayne Gretzky, di Glenn Anderson, di Paul Coffey, Jari Kurri, Mark Messier e chi più ne ha più ne metta.
Anni che i tifosi degli Oilers ricordano con grande nostalgia. Quella nostalgia che non ti fa vivere bene il momento presente, anche perché, come accennato, di soddisfazioni i sostenitori della squadra di Edmonton ne hanno avute ben poche ultimamente (giusto per star stretti).
Eppure, qualcosa si è risvegliato nella città canadese. Una nuova primavera, nonostante in questo periodo dell’anno ci sia un freddo polare. Freddo che non si sente, però, all’interno del Rogers Place, più caldo che mai. Infatti, per iniziare questa stagione, gli Oilers hanno vinto 8 partite su 9 tra le mura amiche, perdendo solo il 27 ottobre contro Philadelphia. Le cose fuori casa potrebbero andare meglio, ma per il momento non ci si lamenta.
Ma ciò che sta creando ancora più entusiasmo intorno alla squadra guidata da coach Dave Tippett è questo nucleo meraviglioso di giocatori. Il primo degno di nota è sicuramente il capitano Connor McDavid, autore fino a questo momento di una regular season pazzesca caratterizzata da 14 gol e 22 assist, per un totale di 36 punti.
Prestazioni che vengono oscurate solo dalla presenza del compagno di squadra Leon Draisatl. Il giocatore tedesco è difatti il candidato numero uno a vincere l’Hart Memorial Trophy come miglior giocatore della lega, dopo che nelle prime 20 apparizioni ha fatto registrare 20 gol e 20 assist. Praticamente perfetto.
Al di là di questa accoppiata vincente che sta facendo volare gli Oilers, il resto della squadra sta decisamente rendendo al meglio, facendone uno dei roster più completi che ci siano.
Ryan Nugent-Hopkins si sta specializzando ad essere un assist-man letale con ben 18 preziosi puck serviti ai compagni (sesto nella lega). Molto bene anche Darnell Nurse (al momento infortunato) che si sta confermando uno dei migliori defenseman in circolazione. Senza dimenticare Zach Hyman, Jesse Puljujarvi, Evan Bouchard, Tyson Barrie, il goalie Mikko Koskinen – il quale sta sostituendo al meglio l’infortunato Mike Smith. Tutti giocatori che potrebbero benissimo far parte di un championship team tra qualche mese.
Unico neo sarà la sosta per le Olimpiadi che rischierà di spezzare l’ottimo ritmo preso fin qui dagli Oilers che sta valendo la testa della Pacific Division, oltre che la lotta per il Presidents’ Trophy, trofeo che manca, anch’esso, dal 1987.
Difatti, il campionato si fermerà per tre settimane ed Edmonton non giocherà dal 2 febbraio fino al 23, col rischio di ritrovarsi giocatori stanchi nel periodo più importante della stagione, quando ci sarà il rush finale per i playoff. Playoff che non dovrebbero essere un problema, quest’anno, ma mai dire mai in uno sport altamente approssimativo come l’hockey.
Concentrandoci sul presente, però: cosa sta funzionando in questi Oilers per averli fatti diventare una delle franchigie più temibili della NHL?
Statistiche alla mano, Edmonton è una delle squadre che segna di più, tanto che vanta – nel momento in cui scrivo – il secondo miglior attacco della lega con 75 gol segnati, dietro ai 77 dei Florida Panthers, i quali, tra l’altro, hanno giocato una partita in più.
Anche come media sono secondi, subito sotto ai Colorado Avalanche (4 per partita) con 3.75 reti a pattinata sul ghiaccio. Cifre il cui merito è sicuramente, in maniera speciale, delle due succitate stelle, cioè McDavid e Draisatl, che in combinata hanno realizzato ben 34 marcature, il 45% del totale.
Si segna tanto, questo sì, ma si subisce anche troppo e se gli Oilers vorranno arrivare fino in fondo dovranno un minimo aggiustare questo dato. Non basta il diciottesimo posto nella lega, con quasi 3 gol di media che gli avversari hanno realizzato nella porta difesa, fin qui, dai vari Koskinen, Smith e Stuart Skinner.
Questa lacuna è sicuramente dovuta alla filosofia offensiva di coach Tippett, il quale preferisce segnare un gol in più degli avversari, piuttosto che avere il controllo della partita, anche dal punto di vista difensivo. Dall’alto della sua grande esperienza, l’ex head coach dei Coyotes sa benissimo che l’hockey sa essere uno sport molto imprevedibile e crudele, perciò l’unico scopo è quello di segnare il più possibile. Cosa che, come stanno dimostrando, ai suoi uomini sta riuscendo decisamente bene.
Insomma, tutte considerazioni – statistiche e non – che fanno ben sperare i tifosi e che finalmente stanno ridando lustro ad una storia di hockey che non si scriveva da fin troppo tempo.
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
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