Nuove divisioni, nuovo formato, vecchie conoscenze. I Tampa Bay Lightning lo fanno di nuovo: tagliano il nastro della più dura maratona sportiva in assoluto, i playoff NHL, come vincitori, un anno dopo la coppa vinta in una arena vuota, ad Edmonton.
Steven Stamkos dirà che è stato poetico vincerla a Game 5, perché questa volta hanno potuto festeggiare con le loro famiglie, i loro amici, i loro fan, tutti riuniti alla Amalie Arena di Tampa, Florida.
Dall’altra parte, le facce tristi ma consapevoli di Carey Price e Shea Weber, i due che queste Finals le vedevano come il coronamento di tanta fatica. La faccia anche di un Corey Perry che, dopo averla vinta con Anaheim, l’ha sfiorata altre due volte, in due stagioni consecutive, con due maglie diverse. Per comunque infrangersi sullo stesso scoglio bianco-e-blu.
La classica “Cinderella Story” spesso presentata dagli sport americani non si è portata a compimento: Montreal è arrivata inaspettatamente in finale, zittendo pronostici, sorvolando la necessità di avere stelle assolute ed imponendo invece il gioco, il gruppo, il cuore. Ma purtroppo tutto questo non è bastato.
Gli Habs crollano in 5 scontri dove si è vista quasi solo Tampa, con Game 4 grido disperato di una squadra che non poteva smettere di credere nel miracolo, nell’ennesima rimonta. Che non poteva smettere di pensare di poter andare contro le previsioni, le quote.
Tampa però ha dimostrato di avere troppo potere: ha il gruppo, ha il gioco, ha il cuore. Ed ha pure tutte le stelle di cui una squadra ha bisogno, e di più.
Steven Stamkos. Nikita Kucherov. Brayden Point. Victor Hedman. Andrei Vasilevkiy. Non c’è un ordine preciso a questi nomi, ma sono cinque nomi che, come ha detto il buon Eddie Olczyk in diretta, rientrano tutti tra i migliori 25 giocatori della lega. E sono tutti in una sola squadra.
Per non parlare di chi sta intorno: McDonagh, Sergachev, Killorn, Cirelli, Gourde, Palat, e così via. Tutti giocatori che in molte squadre sarebbero stelle, titolarissimi. A Tampa si accontentano di qualche riflettore in meno, ma anche di due Stanley Cup in più.
Jon Cooper è il sesto allenatore dall’era successiva alle “Original Six” che arriva al back-to-back. Mike Sullivan ed i Penguins di Crosby erano stati gli ultimi a farlo qualche anno fa. Di quei sei allenatori, i due appena citati sono ancora ovviamente attivi. Gli altri sono tutti Hall of Famers, dunque complimenti a Cooper per quello che ha costruito.
Andrei Vasilevskiy ha voluto ricordare a tutti che nonostante il “flair” di Tampa, senza di lui ci sarebbe stato poco da festeggiare: suo il Conn Smythe Trophy come MVP della Postseason, forte del fatto che solo un certo Ken Dryden, quasi 60 anni fa, è riuscito a fare quello che ha fatto lui, ovvero giocare tutte le sfide playoff di ben due postseason successive, culminate nella vittoria finale.
Tampa è veramente una squadra che fa paura veder giocare: anche io, devo dire, ho sperato potesse esserci una sfidante degna. E solo gli Islanders ci sono arrivati vicino, anche se, guardando le partite, la differenza comunque si notava.
I Lightning sono veramente completi, fanno tutto alla perfezione, e hanno i game-changer che, appunto, ti portano a vincere i game 7. Montreal è stata una bella storia, una soddisfazione per Marc Bergevin, spesso etichettato come un visionario, o per Carey Price, che molti davano per “incompleto” in quanto mai riuscito ad accedere alle Finals.
Una soddisfazione per Shea Weber, che non è arrivato a quella storica finale in casacca Predators e che sembrava destinato a non arrivarci mai in casacca Habs. Ma alla fine, forse è addirittura più amaro così: un sogno di rivalsa, l’underdog che abbatte titano dopo titano, in una perpetua Davide contro Golia, per poi capitolare contro un mostro vero, un mostro alieno. Uno tsunami inarrestabile.
La prossima stagione ci regalerà come al solito tanta competizione, con diverse pretendenti alla vittoria finale. Tampa ci sarà ancora, questo è certo: il three-peat è quasi taboo nell’Hockey, ma i Lightning lo possono anche portare a termine. Ci si aspetta una Toronto agguerrita dopo la figuraccia, una Carolina ed una Colorado ancora più mature e pronte. Islanders, Bruins, Capitals, Golden Knights si ripresenteranno tutti all’appello.
Ed i Canadiens invece? Che ne sarà di questi eroi che tanto ci hanno fatto volare con l’immaginazione? Price e Weber avranno un’altra opportunità? Solo il tempo ce lo saprà dire: l’anno scorso, allo stesso punto, potevamo parlare di Dallas come una squadra in crescita ed una sicura pretendente. E poi tra infortuni e problemi vari, la franchigia del Texas è rimasta a bocca asciuttissima, neppure qualificandosi alla postseason.
Tampa ci sarà. Montreal deve provarci, perché la tradizione Habs, quella di LaFleur e di Richard, di Patrick Roy, che lanciò la famosa maledizione dopo il trade agli Avalanche, ancora non sconfitta, rimane una tradizione di vittoria e prestigio.
Montreal deve provarci per Carey, per Shea. Per i suoi tifosi, per il Québec e per il Canada.
Intanto però ringraziamo queste due meravigliose squadre: una per averci fatto divertire nel vedere l’improbabile diventare reale, l’altra per aver fatto capire cosa significa giocare ad altissimo livello per due anni consecutivi. Grazie. E complimenti a Tampa.
Vittima delle magie di Patrick Kane, mi innamoro dell’hockey su ghiaccio e dei Chicago Blackhawks negli anni d’oro delle tre Stanley Cup. Talmente estasiato dal disco da non poter fare a meno di scriverci a riguardo.
Recentemente folgorato dai Blue Genes di Toronto, e dal diamante in generale.