Con quasi 30 partite disputate di bilanci se ne possono fare eccome, primo fra tutti assegnare la palma di sorpresa di metà stagione, premio assolutamente attribuibile ai Minnesota Wild, partiti come outsider nella terribile Honda West ma che ora si ritrovano a giocarsi nientemeno che il gagliardetto divisionale, in un girone originariamente feudo esclusivo di Colorado, Vegas e Blues.
Le strepitose migliorie odierne in verità non sono poi così tanto casuali, dato che già alla fine della passata stagione importanti statistiche avanzate sulla progressione di ogni singolo elemento ponevano i Wild ai vertici NHL, e la distanza fra le satanasse Lightning, Avalanche, Bruins o Golden Knights, sebbene ancora presente, si sarebbe potuta accorciare mantenendo la giusta rotta e aumentando il filtro nelle checking line, affinché si ristabilisse una protezione dello slot in quel momento tutt’altro che soddisfacente.
La vetta nello skater ed even-strenght defensive goals above replacement ed il podio lambito negli shorthanded (a cui aggiungere la Top ten nei powerplay offensive GAR) stabilivano perciò maestria sia in qualità che nella profondità e resilienza di un core difensivo molto profondo, e condotto ora alla perfezione da quello straordinario giocatore che prende il nome di Jared Spurgeon, profilo underrated se ce ne è uno ma inimitabile novello capitano e perseverante arringatore di schemi da blue line.
Il reparto eccelle nell’olimpo della lega, coadiuvato dall’esperienza in porta del girovago Cam Talbot, perfetta chioccia per la sensazione stagionale Kaapo Kahkonen, due net minder che hanno resuscitato un settore allo sbaraglio (-13.7 di Goalie GAR), e soprattutto grazie alle due Top D-Pair, completate – oltre al leader con camiseta 46 – dal sempreverde Ryan Suter e dai canterani Jonas Brodin e Matt Dumba, il primo alla stagione della vita e l’altro, se a posto fisicamente, superstar come pochi.
Un team roccioso e rognoso quindi, che andava elevato di climax, annettendo all’interno del ghiaccio prospetti abili a distogliere attenzioni altrui e gestire poi in autonomia le scoring chances opportunity.
Ovviamente il lucente diamante che ha cambiato faccia allo “state of hockey” e a cui ci riferiamo fra le righe è Kirill Kaprizov, profilo Calder ante litteram, visto che ha preferito risplendere nella natia Russia prima di ripresentarsi da rookie in questi lidi cinque anni dopo la pesca in un occulto quinto giro del Draft.
E’ lui che ha fatto scoccare quella scintilla grazie alla quale oggi Minnesota è appaiata al gotha mondiale, divenendo a differenza del passato recente un team two way a tutti gli effetti, ma soprattutto profondo nella pericolosità come mai in precedenza.
L’esterno guizzante, rapido e qualitativo in prima linea fra lui e un Matt Zuccarello finalmente sano, appoggiato alla stazza di Victor Rask, fa letteralmente sognare i tifosi, anche se è l’omogeneità a partecipare allo score che rende l’attacco a tinte forest green peculiare più di altri. Se difatti la Top line porta punti al 33% del totale, le altre nell’ordine ne performano il 27, 23 e 17: una divisione pressochè eccellente per chi ambisce a realizzare upgrade continui.
Persa l’esperienza di Koivu, Zucker e Staal, e mantenendo sostanzialmente solo Parise e Foligno (adesso ai box) del vecchio nucleo offensivo, si è quindi guadagnata fisicità, qualità e gioventù promuovendo titolari elementi comunque affidabili nelle due fasi come Eriksson Ek, Greenway, Rask, Sturm e Hartman, ciò che probabilmente sarebbe magari accaduto anche con Marco Rossi, diciannovenne in rampa di lancio purtroppo fermato dagli infortuni e rientrato in Austria.
La firma da RFA di Fiala nella scorsa offseason lo conferma star di prima grandezza e jolly nelle seconde linee 5/5 e in superiorità numerica, sebbene in ovvio calo produttivo vista l’ascesa di Zuccarello e Kaprizov.
A Saint Paul il segreto di una stagione finora coi fiocchi sono dunque attacco e retroguardia che lavorano in blocco; a parte la stella russa e gli altri assi Dumba, Fiala e Zuccarello, è infatti presente il fantasmagorico numero di 11 uomini al limite della doppia cifra positiva in plus/minus, quota di gran lunga superiore persino ai capo classifica Knights, segno inequivocabile di chimica, alchimia e uguaglianza nell’hype di qualunque linea presente sul ghiaccio, sette partizioni capaci di creare momentum indifferentemente l’una dall’altra: tanta roba per coach Dean Evason, che si culla contemporaneamente un quasi Best 5 e 10 in ambedue gli step del gioco!
Metà torneo è concluso e da queste parti si sogna in grande, ragion per cui sacrificare qualche pedina nella deadline non sarebbe male per recuperare quegli asset necessari alla crescita dei vari Kaprizov, Fiala, Eriksson Ek, Greenway e Nico Sturm.
Occhi puntati su Bjugstad in scadenza, perfetto middle six center da contender, Marcus Johansson, sfiancato dagli acciacchi ma comunque un trentenne da 94 gare in playoff e Nick Bonino, esperto specialista da faceoff (53.5%) con una Stanley Cup nel curriculum.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.