Prosegue il nostro racconto dei migliori debuttanti su ghiaccio della stagione 2020-21. Se nel primo articolo a prendersi i riflettori sono stati i goalies, questa volta è il turno dei defensemen, sempre più preziosi ed importanti nel moderno gioco dell’hockey.
Inizialmente nati per essere un deterrente contro i maggiori pericoli offensivi dell’avversario, spesso dunque dotati di fisico colossale e gioco vecchia scuola, i defensemen si sono evoluti anno dopo anno, diventando ora delle vere e proprie macchine da punti, conservando però, in alcuni casi, ancora le care vecchie abitudini.
L’anno scorso abbiamo visto probabilmente la più bella battaglia tra rookie blue-liners degli ultimi anni, tra i due fenomeni Cale Makar degli Avalanche e Quinn Hughes dei Canucks. Entrambi incredibili, entrambi con ancora margine di crescita, Makar l’ha spuntata, anche se io, ve lo confesso, avevo tifato per Hughes.
Quest’anno il piatto, forse, è un po’ meno ricco, ma comunque ci sono dei ragazzi che avranno la loro da dire per molto, molto tempo.
Menzione d’Onore: Jakub Zboril
Zboril fu la 13° scelta assoluta del lontano draft 2015 per Boston. Una scelta criticata da molti. In quel draft, Boston aveva tre pick nel first round di fila. Una rarità: il tredicesimo ed i due successivi.
Di questi tre pick, solo uno sforna un talento per cui i tifosi ringraziano, Jake DeBrusk. Gli altri due pick invece, Zboril e l’ala Senyshyn, stagnano in AHL e sembrano essere un buco nell’acqua, considerando che talenti come Barzal, Connor e Chabot sono stati selezionati dietro di loro.
Dopo un altro paio di stagioni nelle juniors, giocherà per tre stagioni in AHL dove non brilla per produzione, pur essendo stato scelto in base alle doti offensive.
Insomma, pare proprio che sia stato fatto un errore. Eppure, un elemento assolutamente di valore in Jakub c’è: sa difendere. Ha la fisicità, gli istinti, il reach, lo skating per farlo. E ogni tanto ci dimentichiamo che questi giocatori si chiamano defenseman per un motivo: devono difendere in primis.
Vero, i grandi D riescono a fare egregiamente entrambe le cose, vedi Hedman, Josi, Burns. Ma certe volte, un buon deterrente difensivo fa davvero bene ad una franchigia. Soprattutto quando un certo Zdeno Chara abbandona la barca.
Ora, lungi da me accostare il giovane Jakub al fenomeno Chara, che con quella mole già sembrava un miracolo potesse stare su due pattini. Ma Boston ha deciso per una rivoluzione nel back-end, complice l’età di Zdeno e l’addio di Torey Krug, dunque le porte si sono aperte.
A 24 anni, Jakub accede alla massima lega, inizialmente in third pair, per poi risalire la china, complice l’infortunio di un’altra promessa, Jeremy Lauzon. Attualmente a 16 partite giocate, Zboril affianca McAvoy, dando opportunità al fenomeno americano di spingersi offensivamente. Insieme a Carlo, questo ancora giovane D Ceco sta diventando un mastino, e giocatori del genere hanno sempre futuro nella lega. Oltretutto, pur costretto principalmente a doveri difensivi, riesce comunque a inanellare 4 assist.
Second Pair: Alexander Romanov e Pierre-Olivier Joseph
L’ex 23° scelta assoluta del 2017 degli Arizona Coyotes sta finalmente trovando continuità, in casacca black and yellow per i Penguins di Sid e Geno Malkin.
Arrivato come “premio” per il trade dell’ormai scomodo Phil Kessel, in rotta totale con coach Sullivan, Joseph ha sempre mostrato talento di prim’ordine, ma aveva, e un po’ forse ha ancora, un difetto importante: peccava a livello fisico.
Sappiamo tutti che in NHL serve tanta solidità dal punto di vista fisico, per evitare infortuni e soprattutto per difendere per bene. Joseph aveva bisogno di riempire il suo frame, per dirla all’americana, e dobbiamo dire che lo ha fatto, seppur non completamente: può ancora migliorare.
Ma questa nuova preparazione atletica e l’ambiente Penguins gli ha giovato, garantendogli minuti nella massima lega, addirittura in first pair come discepolo della leggenda Kris Letang.
14 partite, 1 goal e 5 assist e plus/minus positivo, anche se di un solo punto, indicano comunque una capacità di contribuire da non sottovalutare.
Le mancanze fisiche, la poca produzione pur avendo un ruolo in first pair e comunque strada da fare dal punto di vista difensivo lo rendono però meritevole “solo” del second pair, scelta che, ovviamente, è tutto meno che incontestabile. Rimane il fatto che Joseph è molto giovane, ed è parte di una franchigia che sa come trattare i talenti e come renderli sempre più rilevanti. Le caratteristiche ci sono tutte, un mentore come Letang fa molto bene, e quindi sono fiducioso che già continuando nella stagione questo ragazzo potrà ulteriormente mettersi in luce.
Con Romanov, invece, è un altro discorso. A livello di produzione, ne ha pari pari a Joseph. Ha un migliore plus/minus, ma diciamo che a livello di statistiche la differenza non appare. Iniziamo a sottolineare una cosa però: Joseph gioca in first pair. Questo significa essere agevolati in attacco, e penalizzati in difesa, perché in first pair giochi contro le linee più dotate offensivamente dell’avversario, con più liberta di spinta ma anche più rischio di prendere un goal.
Romanov gioca in Third Pair, che in qualche modo funziona al contrario. Sei probabilmente più agevolato nei match-up difensivi, ma offensivamente penalizzato. E oltretutto, hai meno minuti a disposizione. Già queste considerazioni rendono i 5 punti finora messi a segno da Romanov più preziosi.
Ma la differenza la fa vederlo giocare. Appare come un defenseman assolutamente abituato al ghiaccio NHL, senza carenze fisiche, di posizione o tecniche. Eppure, rimane un rookie.
Oltretutto, gioca in un gruppo in crisi: Montreal è in crisi, basta vedere i risultati recenti e anche il licenziamento in tronco dello storico coach Claude Julien. Si pensava ai Canadiens come in risalita, ma come sempre il ghiaccio tradisce le aspettative più di quanto uno si possa immaginare.
Romanov ha tutte le carte per essere un giocatore molto, molto prezioso negli anni a venire per Montreal, sperando di poterlo fare in una situazione più stabile e di poter accedere a maggiori opportunità.
First Pair: Ty Smith e Jake Bean
Ed ecco i miei personali pick per il top pair dei rookie defensemen di questo primo, avvincente quarto di regular season.
Iniziamo da Jake Bean, eterna promessa dei Canes che finalmente sta dando sfogo al suo talento.
Ciò che ha sempre limitato Jake è stata la concorrenza: dire che i Canes, ormai da anni, hanno uno dei gruppi difensivi più forti della lega è cosa vera, legittima, incontestabile. Pensare che Jake Gardiner, un top 4 praticamente dovunque, inclusa la sua precedente casa a Toronto, possa giocare in third pair fa già capire tanto. Lo stesso vale per il fatto che Carolina non ha avuto ripercussioni dopo l’addio di Justin Faulk, non proprio l’ultimo della fila in termini di talento.
Attualmente, Jake gioca in third pair. E questo sappiamo cosa significa: meno minuti e meno chance offensive, dunque di produzione. Certo, con davanti gente come Hamilton, Slavin, Pesce, Skjei e chi più ne ha più ne metta, prendersi spazio è difficile. Ma Jake, sinceramente, convince sempre di più.
Tredicesima assoluta nel 2016, fisico prototipo per un giocatore di hockey, defensemen inclusi, Bean ha talento two-way, sa attaccare e difendere, e lo dimostra molto bene in AHL dove in due stagioni registra prima 44 e poi 48 punti, con tabellino dei goal sempre in doppia cifra. Ma il tappo rimane: non c’è spazio, è sempre l’ultimo ad essere tagliato. Ma quest’anno eccole: le luci della ribalta. E Jake non sfigura: 11 partite, 1 goal e 5 assist, Bean costringe coach Brind’Amour a infilarlo perlomeno nella seconda power-play unit a fianco di Brett Pesce, che sta avendo una stagione favolosa.
Skating sublime, fisicità importante, tocco preciso e creatività. Sa pure difendere. Quando si dice che i ricchi possono solo diventare più ricchi, si dice il vero. Almeno se parli di defensemen e di Carolina Hurricanes.
Ma il re dei rookie defensemen della NHL, dopo il primo quarto di regular, è soltanto uno: Ty Smith.
17° scelta assoluta del draft 2018, non è solo il migliore, ma anche il più giovane dei 5 qui elencati. È uno dei defensemen classicamente definiti moderni, perché ha una stazza contenuta, tanta tecnica e visione, skating da fenomeno. Prendete come riferimento Makar e Hughes se volete. Ma anche Erik Karlsson, che un po’ fu capostipite di questo nuovo genere di blue-liner.
Sul ghiaccio, Smith vola. Si prende il first pair di forza, a fianco del sempre ottimo Severson, e produce, tanto. 16 partite, 11 punti, con 2 goal e 9 assist. Plus-minus a +7, il che dimostra che pur essendo talento offensivo, si trova bene con il più fisico Severson e difende in modo adeguato.
Statisticamente, convive con mostri sacri come Mark Giordano, Seth Jones e Roman Josi.
Oltretutto, Smith fa una cosa davvero molto bene. Una cosa fondamentale, per cui certi giocatori hanno vinto dei Norris Trophy recentemente. Il Quarterback della Power-Play.
Ty ha scalzato uno dei migliori QB dei recenti anni, PK Subban, relegandolo in second unit. E Subban l’ha lasciato fare volentieri. Smith gestisce il disco fluidamente, sa innescare one-timer tanto quanto deflections sotto-rete, ha pazienza, visione e tocco. Insomma, se va avanti così, il titolo di miglior rookie defenseman della stagione non glielo toglie nessuno. A meno che Bean non venga promosso in first pair: a quel punto, sarebbe gara.
Finita la nostra carrellata di Defenseman, aspettatevi presto un articolo sulla Second Line di rookie forwards migliore del primo quarto di stagione.
Vittima delle magie di Patrick Kane, mi innamoro dell’hockey su ghiaccio e dei Chicago Blackhawks negli anni d’oro delle tre Stanley Cup. Talmente estasiato dal disco da non poter fare a meno di scriverci a riguardo.
Recentemente folgorato dai Blue Genes di Toronto, e dal diamante in generale.