Dalle parti di Edmonton c’è una parola che non riesce proprio ad entrare nel vocabolario comune, impedendo da parecchio tempo di cullare sogni di gloria e ritornare ai gloriosi fasti del passato: la costanza.
Questo in particolar modo con l’ex coach Todd McLellan, giunto agli Oilers come salvatore della patria dopo ottime stagioni agli Sharks quasi sempre sopra i 100 punti e al 60% di vittorie. Qui in tre anni e mezzo, a parte l’accesso ai playoff del 2016/17, si è arenato come tutta la squadra in una discontinuità preoccupante. Soprattutto nello start odierno non si è mai percepita sicurezza nei risultati, con strisce vincenti al massimo di tre partite in due sole occasioni e ben tre vittorie in OT (Jets, Bruins e Blackhawks).
Con un decano come Ken Hitchcock, alla ventitreesima annata NHL, il team è sembrato progredire scalando le vette della Pacific Division grazie a una serie di 8 vittorie in 10 match intervallate solo dalla sconfitta a Dallas ed in overtime sempre contro Winnipeg. Ancora una volta però, nel momento di sprintare e staccare le avversarie divisionali, sono pervenute delle stecche contro – tra le altre – compagini sulla carta inferiori come Canucks (2 volte) e Blues.
Il tutto nonostante la presenza di Connor McDavid, un giocatore da 100 pts in ognuno dei suoi 4 anni, comprendendo anche le proiezioni odierne e del 2015 (37 match saltati per infortunio). Avere il numero uno al mondo – incoronato anche dal Kid di Pittsburgh – a nemmeno 22 anni è un’assicurazione sul futuro e una garanzia di miglioramento per chiunque giochi al suo fianco. Un campione da paragonare ai grandi della storia e che, nonostante la giovanissima età, continua a progredire inesorabilmente nei gol, negli assist, nel minutaggio e nella cattiveria agonistica.
Vincitore due volte dell’Art Ross Trophy e del Ted Linsday Award, tre hat tricks la scorsa annata incluso un four-goal game contro Tampa, si ritrova ad essere il terzo con 256 punti nelle sue prime tre stagioni dietro proprio a Crosby (263) e Kane (271). Praticamente ingestibile da chiunque per la capacità di abbinare velocità a classe e tecnica, è diventato anche un high-duress player soprattutto perché il puck passa sempre per la sua zona accentrando le attenzioni altrui; malgrado ciò riesce comunque a creare situazioni sia davanti che dietro la porta.
La pazienza si sa, però, ha un limite: vedere dunque il giovane capitano aizzare, strigliare e coinvolgere i compagni anche in momenti difficili sopportando sconfitte impreviste nelle medie o basse sfere della Western Conference potrebbe avere un limite. Parliamo di un fenomeno già oggi comparabile a coloro che qui crearono una dinastia e uno strapotere che mai nessuno è riuscito ad eguagliare: Mark Messier e Wayne Gretzky!! Probabilmente i due più forti della storia che, a differenza di McDavid, vennero nella loro epoca affiancati da un supporting cast di stelle come fra gli altri Glenn Anderson, Jari Kurri, Paul Coffey, Esa Tikkanen e Grant Fuhr.
Il ragazzino dell’Ontario, fiero di vestire la maglia Oil e grato per la scelta 2015 e l’ovvio ed enorme investimento (15 milioni di ingaggio), merita però un team vincente che ogni anno stia al vertice e lo accompagni sempre nei viaggi in postseason per giocarsi la Stanley Cup: quello che Pittsburgh e Washington garantiscono a Crosby e Ovechkin. Non è questa l’età del mal di pancia ma se in tre anni la situazione non dovesse mutare i rischi ci sarebbero eccome.
Certo che la proprietà può rimproverarsi poco visti gli onerosi contratti di Leon Draisaitl, Ryan Nugent-Hopkins e Milan Lucic, per colpa dei quali il tetto salariale è limitato e le operazioni estive e della mid season sono state marginali. Ognuno, chi in un modo o nell’altro, è pericolosamente regredito nel 2017 sotto il profilo dell’efficacia, score e aggressività risultando – forse a ragione – tra i colpevoli della fallimentare annata appena trascorsa, accusati da media e tifosi di aver lasciato “McJesus” senza il supporto adatto.
Il serbo canadese nonché alternate captain sembra essere entrato in un limbo senza via d’uscita, che oltre ad allontanarlo dal ruolo di ala sinistra nella top line ha portato ad un calo sia dal punto di vista offensivo (meno di 10 punti) che di minutaggio (14 scarsi il minimo in carriera): non molto per uno stipendio da 7 milioni.
Il centro tedesco, sebbene ancora ventitreenne, non ha ancora dimostrato dal punto di vista caratteriale di avvicinarsi minimamente allo stratosferico capitano, ma a livello di prolificità e qualità dice sempre la sua arrivando a quasi metà anno in lizza per superare il suo best record di 77 pts del 2016 completando alla grande un’ottima linea col numero 97 e il brevilineo Drake Caggiula (passato ai Blackhawks) prima e col più prestante e produttivo ex Capitals Alex Chiasson poi.
Nugent-Hopkins, venticinquenne canadese cresciuto nella cantera, dopo una fase sottotono sta disputando la miglior stagione della carriera con fra l’altro 15 punti in prima PP unit.
Dietro i tre big il vuoto, iniziando da Kyle Brodziak proveniente dai Blues, che nelle intenzioni del GM Peter Chiarelli avrebbe dovuto portare esperienza soprattutto nelle situazioni di power play e penalty killing, formando una quarta linea offensiva tutt’altro che di contorno insieme a Juihar Khaira e Zack Kassian.
Buono fino all’infortunio il lavoro di Tobias Rieder, altro tedesco nel 2017 coi Kings e Coyotes, proprio mentre il feeling con Draisaitl sembrava carburare e quando gli Oilers parevano aver trovato il prospetto giusto in situazioni da PK e forechecking nelle offensive zone 2-1-2, quel che era mancato in passato.
In difesa, per rafforzare un reparto ieri allo sbando e spesso martoriato da infortuni ma che oggi “sopravvive”, é stato acquisito Kevin Gravel che va ad affiancare i soliti Nurse, Larsson e Benning, mentre a fine Dicembre sono giunti da Florida e Chicago Alex Petrovic e l’ex “nemico” Brandon Manning. Sono comunque ancora ai box Russell, Klefbom e il veterano Sekera la cui carriera ormai è a rischio. Unica luce la freschezza che sta ultimamente portando il rookie Caleb Jones a sinistra nella DL2.
Infine come goaltender dalla Russia l’esperto finlandese Mikko Koskinen protegge la porta meglio di un Talbot tutt’altro che in ripresa.
Edmonton oggi è in corsa per i playoff a ridosso dell’ottava e ultima piazza disponibile approfittando dell’assenza ingiustificata di St. Louis, Kings e Blackhawsks ma la mediocrità con la quale si trova in classifica nei PP goals, nelle reti subite e in quelle fatte dá l’idea di come anche quest’anno senza continuità ogni sogno di gloria vada messo da parte.
Anche se con McDavid sul ghiaccio può succedere di tutto bisogna essere però consapevoli che in mancanza di un roster prolifico e profondo nemmeno il più forte giocatore del pianeta può fare miracoli.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.