Lo sai cos’è il Coraggio, uomo? Il Coraggio è la Paura che ha cominciato a credere in se stessa.
Non sarà mai uomo copertina, non verrà ricordato per premi individuali che non ha vinto, non sarà colui che solleva Stanley Cup ma lui è ciò che tutti vorrebbero in squadra, un leader silenzioso, un mentore, uno capace di tutto, nel bene o nel male, lui è semplicemente Marc Andre Fleury.
La vita non premia il più forte, ma il più tenace.
E’ difficile trovare le parole esatte per definire Marc-Andre Fleury. Non le troviamo, ma cerchiamo di capire chi è Flower e perché il suo addio a Pittsburgh, lascia un enorme velo di tristezza.
I più romantici l’hanno sognato sul ghiaccio, un’ultima volta con quella maglia, la stessa che ha difeso per 691 volte e che come ultimo saluto ha la data del 17 maggio 2017.
Quel giorno Fleury versione “disastro” prende 4 gol in 9 tiri dagli Ottawa Senators con Mike Sullivan che rispolvera dalla panchina Matt Murray, stessa storia della gloriosa cavalcata 2015/16, a causa di una commozione cerebrale che si presenta al portiere e lo ferma dopo un’ottima regular season.
E’ sempre la stessa storia ingrata per un portiere Nhl, un ruolo dove se sbagli approccio e prendi gol vieni spedito in panchina, come la peggiore delle umiliazioni.
Eppure Fleury è differente dagli altri.
Non è Lundqvist, non è Price, né Hasek o Brodeur, ma ha qualcosa che lo rende unico e speciale.
Faccia da pinguino
Marc-Andre nasce il 28 novembre 1984 in Quebec, come un certo Mario Lemieux che di Pittsburgh è il Dio. Gioca nelle leghe minori canadesi alternando buone stagioni ad annate in cui non ne azzecca una, ma nel 2002/03 fa anche parte del Team Canada che arriva all’argento ai campionati juniores.
Il suo è uno stile molto atletico, quasi da cavallino imbizzarrito che non riesce a star fermo nella sua gabbia.
Gli Dei dell’hockey lo lanciano nel draft 2003, quando è la prima scelta assoluta (PRIMA ASSOLUTA, DA SOTTOLINEARE) in un sorteggio dove Flower anticipa Eric Staal, Nathan Horton ma anche Vanek, Michalek, Suter, Phaneuf, Brown, Seabrook, Parise, Getzlaf, Burns (fresco del trofeo come miglior difensore), Kesler, Weber, Crawford fino ad arrivare al settimo giro con Pavelski e successivamente due turni dopo Byfuglien e Halak, insomma tantissimi ottimi prospetti cui il numero 29 guardava dall’alto in basso della classifica.
Pittsburgh che trova Fleury è un’accozzaglia di squadra, un mappazzone direbbe Bruno Barbieri di Masterchef che concede una media di 30 tiri in porta e vede le ultime annate del numero 66.
L’impatto di Fleury con la Nhl è “discreto”, debutta a 18 anni e ferma ben 46 tiri in porta contro i Kings, in una sconfitta per 3-0 con tanto di rigore neutralizzato.
Nessun sogno playoff, ma primo shutout contro Chicago e concorrenza poverissima di Aubin e Caron, che fa calare l’intensità e la media di Fleury che chiude l’anno nelle minor.
La stagione successiva non si gioca a causa del lockout, si riprende nel 2005/06 e Fleury dà il benvenuto nella città dell’acciaio a due ragazzini, Sidney Crosby ed Evgeni Malkin, con il portiere che sostituisce Thibault per infortunio senza però giocar troppe volte.
La prima da titolare inamovibile è la stagione 2006/2007, nonostante una difesa “allegra” Fleury si esibisce in parate da indemoniato, un’anguilla che non riesce a tenere a bada il corpo. Vince 40 partite eguagliando Tom Barrasso e finalmente assapora i playoff, finiti dopo 5 gare contro i Senators, squadra che sarà anche l’ultima a vederlo sul ghiaccio con la casacca dei pinguini.
Stanley Cup, prima o poi sei mia
I giovani Penguins sono pronti all’esaltazione, la stagione 2007/08 parte per Fleury con un infortunio alla caviglia e la concorrenza di Ty Conklin. Cambia anche livrea alla sua attrezzatura e diventa più colorato, con Pittsburgh che vince l’Atlantic division grazie alle prodezze di Crosby e Marian Hossa, oltre alla classe di Malkin.
La finale con i Red Wings riassume quello che è Fleury, strepitoso nel parare 55 tiri su 58 in una gara 5 chiusa al supplementare grazie al gol di Sykora e poi sconfitto nella decisiva sesta gara quando Zetterberg tira, il disco gli passa sotto le gambe, con Fleury che lo rallenta ma che poi ci si siede sopra per una clamorosa autogol.
Aver sfiorato la Stanley è uno smacco troppo grande, Pittsburgh ci riprova l’anno successivo, perde Hossa che si accasa proprio a Detroit, trova Bill Guerin e un giovanotto di nome Chris Kunitz, sfida Philadelphia nei playoff e Fleury ne diventa un incubo, con parate su Jeff Carter, 43 salvataggi in gara 4 e rimontando poi in gara 6 un deficit di 3-0 diventato 5-3 con dito indice di Talbot a zittire i tifosi in una partita memorabile.
Lo scoglio successivo, indovinate un pochino, si chiama Alexander Ovechkin.
Servono 7 gare ma soprattutto i miracoli del giovane fiorellino contro il russo, una cosa che si vedrà anche anni dopo, prima di spazzar via gli Hurricanes in quattro gare.
Manca la ciliegina, la rivincita con i Red Wings, con altre sette gare dove c’è il dominio di chi gioca in casa, con tanto di 5-0 rifilato dalle Ali Rosse in gara 5.
Manca 1.5 secondi alla fine di una gara 7 che Pittsburgh conduce 2-1 grazie alla doppietta di Talbot, anzi, riavvolgiamo il nastro ai 6 secondi finali, faceoff di Zetterberg, tiro, parata, rimbalzo su Lidstrom che è una sentenza al 99,9%, tutti chiudono gli occhi, il disco s’infrange su Fleury, poi si allontana, arriva la sirena finale, il numero 29 salta, i Penguins hanno vinto la Stanley Cup.
Paperino
Quando i Penguins sembrano pronti all’egemonia qualcosa si rompe nell’incantesimo vincente. Bylsma, coach che prende il posto di Therrien a metà stagione che culmina nella coppa, lancia i suoi a ottime regular season e postseason disastrose.
Fleury non ripete più i grandi numeri dei playoff 2009 andando sempre sotto lo 0.900, venendo eliminato dai Canadiens in sette gare nelle semifinali di conference con 4 gol presi in 13 tiri nella stagione successiva.
Dodici mesi più tardi è Tampa a far festa quando sotto 3-1 nella serie reagisce e vince 1-0 gara sette nella nuova arena dei Pinguini.
Peggio ancora accade nel 2012 quando i Penguins vengono eliminati dai Flyers e Fleury subisce 26 gol in 6 partite, in appena 157 tiri, preludio al disastro del 2014 quando gli Islanders lo umiliano facendogli perdere il posto da titolare a favore di Vokoun.
Cose a metà
Ci vuole un cuore enorme per rialzarsi ogni volta. Eppure, chi lo ha vicino, assicura che Fleury sia sempre sorridente e abbia una buona parola per tutti. Le critiche per chi gli preferisce Thomas, Lundqvist, Quick, Halak o Rinne non lo stravolgono più di tanto, lui che ha un labbro che lo fa somigliare ad un pinguino e una faccia non proprio cattiva.
Le cose a metà arrivano nella stagione 2015/16 quando finalmente è un Fleury concentrato, sicuro e vincente. Troppo bello per essere vero infatti sul più bello una commozione cerebrale lo manda ko, con Mike Sullivan, appena diventato coach dai Wilkes Barre che si ricorda di avere tra le fila giovanili un ragazzino di nome Matt Murray.
Fleury ha sì vinto 35 partite su 58 ma sul più bello manca di sicurezza, gioca solo due partite con Tampa Bay che vince 4-3 ai supplementari di gara 5 e i media che iniziano un tam tam sulla sostituzione.
Da gara 6 gioca Matt Murray, una sorta di cugino Gastone per Paperino, poiché il giovane portiere conduce Pittsburgh alla Stanley Cup numero 4 contro San Jose.
Per Paperin Fleury si apre la stagione 2016/17 col dubbio che la nuova squadra Nhl, i Las Vegas Golden Knights possano accaparrarselo nel roster a seguito delle scelte obbligatorie per gli ultimi arrivati.
Inizia subito il ballottaggio per chi dovrà essere il portiere da non proteggere sul contratto, con l’età che parla chiaro, 33 anni Fleury, 22 Matt “Gastone” Murray.
Fleury potrebbe già andar via a febbraio ma decide di restare con i Penguins, ci son cose da finire, o meglio, altri ricordi da lasciare.
Sembra una favola quando Murray si fa male nella gara 1 di playoff contro i temibili Blue Jackets.
Dalla panca si alza lui, viso di uno che si è appena svegliato, maschera indossata e gabbia chiusa. “La rinascita del Fiore” avviene in quel preciso istante, Fleury si prende gli applausi delle prime due gare interne, con 39 parate su 40 tiri in gara 2 e un biglietto da visita che recita così: “Sono Fleury e oggi non si passa”.
A Columbus altra gara storica, è 4-4 quando Dubinsky ha la possibilità del gol d’oro, il disco però viene parato da Fleury di testa, preludio al gol di Guentzel che chiude la terza disputa.
I Blue Jackets sono eliminati in cinque gare, con 49 parate di Fleury nella decisiva disputa, col nuovo scoglio, ancora Alexander Ovechkin e i super Capitals.
Tra gli incubi dello Zar russo esistono due persone, una è Crosby che solleva le Stanley Cup, l’altra è Fleury che con lo sguardo che si ritrova non incute timore ma alla fine vince.
Quello che il portiere compie contro Washington è il regalo più bello per un giocatore alla marcia d’addio, blocca tutti gli attacchi, fa parate incredibili (una col bastone su Ovie è da Oscar), mantiene le sue cinque o sei cavolate a serie ma alla fine ne esce sorridente, una sorta di reincarnazione di Dominik Hasek.
29 parate nel 2-0 decisivo, lo shutout contro Ovechkin che sa di leggenda, il prossimo passo è contro i Senators, con Murray che osserva dalla panchina.
Standing Flo-Ovation
Sapete perché Paperino è tanto amato? Perché quando sembra arrivare al successo qualcosa gli fa perdere tutto, è sfortuna o solo un destino che lo rende speciale.
Con i Senators per i Penguins non dovrebbero avere problemi, invece le scorie della battaglia con Washington si fanno quasi insostenibili in una squadra che fa i conti con cerotti e infermieria.
Bobby Ryan colpisce Pittsburgh nell’overtime di gara 1, ma Fleury non demorde, chiude la porta in gara 2 e si prende l’ennesimo shutout della carriera.
Sembra una favola.
Non lo è.
Gara 3 è in Canada, passano appena 48 secondi che Hoffman tira, puck che sbatte su Fleury e s’insacca, Paperino is back.
Passano solo 13 minuti di gioco e Ottawa tira nove volte in tutto, con ben 4 gol rifilati a Marc-Andre Fleury, così dalla panchina, irreparabilmente, si alza Matt Murray che s’infila la maschera e non la lascerà mai più, anzi, la solleverà solo dopo gara 6 e la quinta Stanley Cup vinta da Pittsburgh, alla fine è così, ha vinto Gastone.
Solo la luce che uno accende a se stesso, risplende in seguito anche per gli altri
Quando arriva la sirena finale c’è festa, tripudio, ma di botto anche un leggero velo di tristezza. Le grandi prestazioni di Murray sanciscono la fine dell’avventura che per 14 anni ha legato Fleury ai Penguins.
Ma Fleury è un’immensa persona e i tanti detrattori se ne accorgono al momento dei saluti, quando la coppa passa per le sue mani finisce poi, per volontà del goalie, su quelle di Matt Murray, perché alla fine, i baci e le carezze se le prende Paperino, anche alla faccia del fortunato (ma anche bravissimo) giovane portiere.
Murray arriva alle lacrime per il gesto di Fleury e questo ne sancisce la leggenda del 29. In un film di football, il quarterback per incitare i compagni dice: “Le ferite guariscono, le donne amano le cicatrici, la gloria dura per sempre”.
Pochi giorni più tardi, dopo che Fleury insieme alla moglie regala un parco giochi ai bimbi di Pittsburgh come ringraziamento per il trattamento ricevuto in tanti anni, riceve l’annuncio dei Golden Knights, la sua nuova maglia ha un colore diverso, l’avventura sarà tutta diversa, lo sguardo e gli applausi che arriveranno alla prima contro i Penguins saranno invece gli stessi di gara 6 con i Predators, una standing ovation con scintille, anzi, trattandosi del buon Marc Andre, una standing ovation con fiori.
Grazie mille per i ricordi portiere tanto odiato, poi amato e ora visto con nostalgia, Fleury, sei stato il miglior goalie della storia dei Penguins.
Da chi te ne ha dette tante.
#mercìFleury
Supereroe travestito di giorno da ragioniere e di notte da redattore, Francesco Fiori nasce il 30 maggio 1983 a Sassari e da subito capisce che lo sport è come una passione esagerata, allevato con pane e album Panini. Un sardo che ama il ghiaccio, impossibile, conosce la Nhl grazie ai compiti dell’ora di pranzo che rinvia a causa della dipendenza da TELEPIU2. E’ nel giugno 2008 che decide per curiosità di collaborare con Playitusa grazie ad un pezzo dedicato al grande eroe Mario Lemieux. Non solo Hockey tra le passioni di colui che è casinista, testardo e sognatore (più altri mille difetti), segnala l’amore per la bici (definita sua dolce metà) ma anche una dedizione totale a calcio (INTER), basket (DINAMO SASSARI) e qualsiasi cosa sia sotto la voce SPORT e non lo faccia dormire.
Se anche voi non dormite rintracciatemi alla mail fcroda@yahoo.it giusto per 2 risate.
3 thoughts on “Ode a Fleury, il leader silenzioso saluta i Penguins”