A chi non è mai capitata una montagna troppo elevata da scalare o sentirsi di colpo spento, inutile e sopratutto senza poter fare ciò che si ama?

Ecco di colpo Pascal Dupuis è passato dall’essere una prima linea di Nhl accanto a Sidney Crosby al fatto di essere fermo ai box a tempo indeterminato, cosa che significa “saluta l’hockey“.

Se si pensa all’hockey e agli infortuni vengono in mente commozioni cerebrali, ossa rotte e sorrisi senza denti, invece Dupuis sta combattendo con qualcosa di più pericoloso, perché interno e quindi invisibile agli occhi umani, un coagulo di sangue nei polmoni, un’altra botta e tanti saluti a tutti.

La cosa più semplice, parlando di un padre 36enne di 4 figli è godersi la famiglia, il relax e il ritiro dall’hockey giocato, tutti al posto di Dupuis farebbero vita da pensionato, tutti, tranne Pascal Dupuis.

La scorsa stagione ho consapevolmente giocato con un coagulo di sangue nel polmone per cinque partite”, poi anche Dupuis si arrende al dolore ed a una tac che ne evidenza la gravità e sanziona lo stop, non una frattura con tempi di recupero definiti ma un problema di sangue che non dà tempi di recupero.

La cosa buona di quello che mi è accaduto è il regime alimentare da tenere sotto controllo per il recupero, devi mangiare, ma devi mangiare sempre la stessa cosa” dice Duper, “Cosi riesci a tenere sotto controllo anche il fisico con una tabella alimentare, poi arriva la cosa divertente, il medico mi chiede se bevo, all’inizio sembra un interrogatorio, poi ammetto, uno o due bicchieri di vino dopo cena e la risposta è ok, bevi vino per sei mesi, almeno un bicchiere di notte, perché l’alcool assottiglia il sangue e permette una una circolazione più veloce”.

Ma Dupuis non è tipo che riesce a star fermo, parla di hockey con i figli, spiega perché in certe occasioni non attacca quando si trova difensori grandi come montagne da 230 chili che puntano la sua testa ed è in ricordi cosi che si materializza la nostalgia, la voglia di subire cariche ed esultare per un gol

Poi dunque arriva lei.

Lei è la voglia matta di giocare a hockey, di rimettersi in gioco perché si è fatto l’errore di considerare Dupuis un ex giocatore e l’orgoglio negli sportivi è una brutta bestia, poi basta poco per risentire in testa quella musichetta tipo Rocky Balboa, questione di motivazioni, di appartenere ad un gruppo in cui Pascal è uno dei leader, riassaporare i colpi della Nhl, perché a detta del #9 mancano anche quelli: “Mi manca sentire una bastonata sulle costole, perché quando rientro non voglio essere guardato con gentilezza o essere solo sfiorato per paura di aggravare la situazione, a giugno pattinavo solo perché era pericoloso farmi male in un contatto, sanguinare e non poter bloccare un’eventuale emorragia, poi ti fai male in casa, sanguini e controlli il tutto, capisci che sei sulla buona strada per riprendere”.

Se sei carino con me durante il gioco e non usi il bastone contro hai fatto un errore con me stesso, non con il mio sangue, perché tornerò al 100%”.

E poi, quando ho vinto la Stanley Cup mio figlio stava a malapena sopra la coppa, la più piccola invece non era neanche nata, voglio un’altra coppa per smentire chi dice che ho chiuso con la Nhl”, un discorso simile in Pennsylvania venne fatto nel 2000, un bimbo di 4 anni non aveva mai visto il papà giocare a hockey, riconoscendolo a stento nei manifesti dell’allora Mellon Arena, poi fu miracolo, quel bimbo di nome Austin vide giocare il padre di nome Mario, cognome Lemieux, numero di maglia 66, alla faccia del morbo di hodking altra montagna elevata scalata, cosi come farcela dopo un coagulo di sangue, perché evidentemente a Pittsburgh non c’è nessuna vetta troppo alta per essere scalata, cosi come nella vita di chiunque.

2 thoughts on “Il coraggio di Dupuis: quando la Stanley Cup è più forte di tutto

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