Si è ormai conclusa la regular season e l’Atlantic division è stata caratterizzata tutto l’anno da grandi colpi di scena, conferme e delusioni. Dall’egemonia di Montreal e Tampa e la loro lotta a due per il titolo della division, con Detroit a lottare poco più giù, ad una serratissima rincorsa per una wildcard agguantata dalla grande rimonta dei Senators, fino ai deludenti Bruins, concludendo con i tumulti e depressioni di Toronto e Buffalo. Ecco l’analisi squadra per squadra.
Montreal Canadiens una macchina quasi perfetta
(50-22-10, 110 punti, 5-2-3 nelle ultime 10 partite)
Carey Price. Basta il suo nome per sintetizzare il successo e dominio attuale della squadra più titolata della Lega. Prestazioni stellari, incredibile costanza di rendimento (testimoniata dalle statistiche da primo della classe: GAA 1.96, SV% .933, 9 shutout) e forma psico-fisica smagliante. Tutto ciò può valere sia il Vezina che l’Hart Trophy per Carey (l’ultimo portiere che ci riuscì fu Jose Theodore nel 2002, ed era anche lui un Canadien) e una lunga camminata ai playoff colma di speranze per Montreal. Ovviamente non c’è solo il goalie 27enne nelle ragioni dell’ottima annata rossoblu. La buona stagione di Pacioretty, Subban e Plekanec, tutti intorno ai 60 punti, e la consacrazione dei giovani Galchenyuk e Gallagher, possono davvero far sognare la piazza più calda della NHL. Ottimi i rinforzi della deadline, che portano la stazza di Devante Smith-Pelley e le buone mani difensive dell’ex Oiler Jeff Petry. Cosa può fermarli? L’anemico Power Play (23esimo) e il non avere una stabile e prolifica prima linea offensiva.
Tampa Bay Lightning, aspettando i playoff
(50-24-8, 108 punti, 6-3-1 nelle ultime 10 partite)
Il miglior attacco di tutta la NHL, un’età media incredibilmente bassa e la spensieratezza dell’intrigante coach Cooper rendono i Bolts non solo una delle franchigie più trendy del momento, ma anche una seria pretendente alla Stanley Cup. Il lavoro svolto finora dal GM Yzerman e da Cooper è ottimo: ingaggi azzeccati, spese ridotte ed uno spogliatoio che gode di grande empatia ed unione. Davvero singolare ed affascinante la figura del coach: laureato in giurisprudenza e con zero esperienza da giocatore, Cooper sbarca in NHL solo sul finale del 2013 dopo aver ben operato in AHL: porterà con se buona parte di giocatori e sarà determinante per l’esplosione dei vari Johnson, Kucherov, Palat e Killorn. Tampa Bay è al momento il luogo ideale per un giovane talento, ma Stamkos & co. sanno bene che, una volta terminata la regular season, cambia la faccenda. È ancora fresco il ricordo del pesante sweep subito contro i Canadiens e della pronta uscita dai playoff dell’anno scorso. Bishop, assente per infortunio in quella serie, dovrà superarsi, poiché le stecche dei giovani leoni là davanti potrebbero raffreddarsi alquanto sotto la dura pressione della post season. Coburn è stato l’unico e affidabile acquisto della trade deadline, ma potrà dare una mano solo a playoff in corso a causa dell’infortunio occorso poche partite dopo aver indossato la nuova maglia col fulmine sul petto.
Gli inossidabili Red Wings
(43-25-14, 100 punti, 4-4-2 nelle ultime 10 partite)
La striscia di partecipazioni ai playoff si allunga a 24. L’ultima volta che Detroit ha fallito la qualificazione era da poco caduto il muro di Berlino, il che la dice lunga sul valore ed efficienza della franchigia del Michigan. Come nelle ultime stagioni i Red Wings hanno faticato a staccare il pass per l’hockey che conta, ottenuto nelle battute finali di una regular season abbastanza travagliata (infortuni, problemi di portiere ed età che inizia a farsi sentire). Ma grazie al talento cristallino dei soliti noti Datsyuk e Zetterberg, ormai vicini ai 40 ma lungi dal volersi ritirare, e alla saggezza e acume tattico del grande coach Mike Babcock, i biancorossi si sono piazzati terzi nella division, ottenendo ben 100 punti. Davvero un ottimo lavoro quello di Babcock, che ha saputo ottenere i massimi risultati nonostante i numerosi e lunghi infortuni a pezzi importanti della squadra come Franzen, Weiss e Howard. La chiave è stata l’esplosione di Tatar, la nuova vena realizzativa di Abdelkader, la conferma di Nyquist e le buone risposte ottenute da giovani come Sheahan e Dekeyser. Con questo ottimo mix veterani-giovani, un buon Power Play (rinforzato dall’arrivo alla deadline di Zidlicky, il quale ha avuto subito un ottimo impatto), e l’incredibile esperienza e blasone, Detroit dovrà essere temuta da tutti. Per far bene anche ai playoff sarà però fondamentale più sicurezza e costanza tra i pali, vista l’involuzione di Howard che ha ormai perso il posto a favore dell’emergente Mrazek. Tampa Bay sarà il primo e duro avversario, una sfida interessantissima che metterà di fronte i giovani della Florida contro i vecchi lupi di mare Red Wings. A renderla ancora più accattivante la presenza di Yzerman, leggenda a Detroit ed ora GM dei Bolts.
L’incredibile rimonta dei Senators
(43-26-13, 99 punti, 6-2-2 nelle ultime 10 partite)
Quello che è accaduto nella capitale canadese ha già qualcosa di miracoloso. A inizio Dicembre la squadra sembrava ormai aver perso ogni stimolo, speranze di playoff e successi. A Febbraio la qualificazione alla post season era lontana ben 15 punti. La prima scossa è arrivata l’8 Dicembre con l’esonero di coach Maclean sostituito da Dave Cameron, coach quasi sconosciuto con zero esperienza nelle grandi leghe. Cameron è riuscito a rianimare il gruppo e plasmare nuove idee di gioco senza grossi stravolgimenti o richieste: i Senators sono diventati macchina da punti e vittorie grazie a un rigenerato ed efficace possesso del disco, ottima copertura della zona neutra, ma soprattutto hanno scoperto una vera e propria saracinesca. Il suo nome è Andrew Hammond, portiere mediocre delle minors e richiamato in NHL principalmente per coprire l’assenza temporanea di Craig Anderson. Hammond è stato sensazionale (23 partite giocate, 20-1-2, GAA 1.79, SV% .941), a tratti imbattibile. I Sens sono la squadra più in forma ormai da 2 mesi e devono tanto a lui per l’accesso ai playoff come prima Wild Card ad Est. A gonfiare la rete non c’è più il grande trio Heatley-Spezza-Alfredsson, ma due eccellenti, rapidi e cinici rookie come Mark Stone (26 gol, 64 punti) e Mike Hoffman (27 gol, 48 punti). Il capocannoniere è però il magico Erik Karlsson, difensore dominante con numeri da bomber (66 punti), che sono arrivati grazie alla sua grandiosa pattinata e alla copertura dell’affidabile e roccioso partner Marc Methot. È stato più che positivo anche l’apporto offensivo di Turris, Ryan e Zibanejad. Nella prima sfida playoff, il derby contro Montréal, potrebbe farsi sentire l’assenza di fisicità ed esperienza della peste Chris Neil, ma se la favola di “Hamburglar” Hammond dovesse continuare, la primavera dei Senatori potrebbe essere lunga e gloriosa.
Grande delusione a Boston
(41-27-14, 96 punti, 5-3-2 nelle ultime 10 partite)
La triste eclissi dei Bruins può essere riassunta con la surreale ultima giornata di regular season: Buffalo non è riuscita a fermare Pittsburgh, e gli uomini di Claude Julien giungono, sapendo ormai di aver perso il treno playoff, a inutili shootout contro Tampa Bay, perdendoli ovviamente. Post season sul divano di casa, o campi da golf per chi preferisce, per la prima volta dal 2008. In molti si aspettavano una sveglia ed uno scossone con l’aumento della pressione tipica dell’ultimo periodo di stagione, che tanto aveva giovato ai Bruins in passato. Certo i 96 punti raccolti non sono pochi, ma con una corsa ed una qualificazione così serrata si poteva fare di più. Le ultime tre sconfitte sono state davvero tristi ed eloquenti. Le colpe sono tante e ricadono soprattutto sul GM Chiarelli e coach Julien. A loro va tanto, tantissimo credito per il passato recente ricco di fasti, condito dal trionfo della Stanley Cup nel 2011, di una finale persa in 6 gare contro Chicago nel 2013 e President’s Trophy del 2014. Tuttavia scelte sbagliate e pessima gestione si sono incatenate nell’ultimo periodo e il giocattolo si è rotto. La testarda filosofia difensivista, ed il preferire giocatori duttili ma di basso profilo e poco talento, hanno ridotto la franchigia di Bean Town a un animale anemico privo di artigli. La media gol di quest’anno, 2.55 a partita, è da bassifondi, e se il top scorer (Bergeron) ha ottenuto solo 55 punti, bisogna porsi tante domande. Sul ghiaccio hanno deluso molto le prestazioni di Lucic, ha pesato molto l’infortunio di Krejci ed il rallentamento dovuto alle 38 primavere di capitan Chara ha cominciato ad essere notevole. I sopracitati errori dirigenziali che spiccano maggiormente sono l’aver voluto rinunciare a giocatori del calibro di Seguin (ancora inspiegabile la trade del talentuosissimo Tyler, spedito a Dallas per motivi comportamentali in cambio di due buoni ma non eccezionali Eriksson e Smith) e Johnny Boychuk, ora pedina fondamentale e uomo spogliatoio dei rinati Islanders. Partito anche Jarome Iginla, dopo aver fatto inutili sacrifici per trattenerlo e ridotto al limite il Salary Cap. Ha perso molta credibilità l’allenatore Julien, che mal ha operato sul minutaggio dei suoi uomini, dando poco spazio agli ottimi Bergeron e Hamilton e troppo alla quarta ed ormai inutile linea Kelly-Campbell-Paille, pronta a fare le valigie. L’estate dei Bruins sarà rovente, e molte teste potranno cadere.
Here comes the sun
(38-29-15, 91 punti, 5-4-1 nelle ultime 10 partite)
91 punti totalizzati, un migliorameto di 25 che le vale il riconoscimento di squadra che si è migliorata di più in NHL rispetto alla scorsa stagione. Certo sono dati e numeri che alla fine non hanno regalato la qualificazione ai playoff o portato nulla di concreto, ma senza dubbio un’ondata di fiducia e nuova luce sulle spiagge della Florida. I frutti del rispettatissimo GM Dale Tallon, ai Panthers dopo aver risollevato i Blackhawks e portato loro al titolo nel 2010, si cominciano a vedere. Tallon è riuscito a dare una nuova e credibile immagine ad una franchigia che in passato era vista e ricercata da giocatori in declino solo in cerca di sole, relax e belle ragazze della costa. Grazie ad ottime scelte al draft e buone trade, i Panthers possono davvero guardare al prossimo futuro con grande ottimismo. È stata indovinata anche la scelta dell’allenatore Gerard Gallant, definito dal GM un “grande motivatore, maestro ed esperto di hockey”. A Gallant infatti va riconosciuta l’eccellente gestione dei giovani: Aaron Ekblad, prima scelta dell’ultimo draft, a soli 18 anni ha realizzato un grande campionato mettendo a segno ben 39 punti ed un +12 davvero strabiliante per un terzino della sua età. Nick Bjugstad con i suoi 24 gol e 43 punti si è confermato ed addirittura migliorato rispetto alla buona stagione da rookie 2013-2014. Huberdeau, che dopo il Calder Trophy 2013 si era smarrito nell’incubo del sophomore slump, è letteralmente rinato sotto Gallant (che conosceva già dai tempi della QJMHL a St. John), diventando il capocannoniere con 54 punti. Buona anche la stagione del 19ennne Barkov. I Panthers hanno trovato un allenatore paziente, comunicativo e capace di ottenere massimi rapporti con giovani e non: Jagr, arrivato alla deadline, ne è rimasto piacevolmente sorpreso, tanto da aver già firmato per un altro anno. Luongo ha ritirato fuori numeri da All-Star (28-19-12, GAA 2.35, SV% .921) e Jokinen e Mitchell stagioni più che buone. Le Pantere, già dall’anno prossimo, potranno diventare letali predatori.
L’agonia di Leafs Nation
(30-44-8, 68 punti, 3-5-2 nelle ultime 10 partite)
Male, davvero malissimo. La sofferenza dei tifosi della Mecca dell’hockey sembra interminabile. Una sola apparizione ai playoff nelle ultime 10 stagioni, con gli ultimi 4 mesi simili ad un incubo, tra tifosi che gettano jersey sul ghiaccio e si coprono il volto con buste di carta, giocatori che non si presentano a riunioni, risse in allenamento e conferenze stampa negate (Kadri, Kessel, Booth, Phaneuf: sì, proprio voi). Il primo a cadere è stato coach Carlyle a Gennaio, sostituito da Horachek che, dopo aver ottenuto 9 misere vittorie in 4 mesi e non essere riuscito nemmeno lontanamente ad aggiustare i grossi problemi dei Leafs (difesa, possesso del puck e dare fiducia a un goalie titolare), è già stato cacciato insieme al GM Nonis in quella che dovrebbe essere la rivoluzione del presidente Shanahan. È davvero difficile trovare una nota positiva in una stagione così disastrata. Dà fiducia il giovane difensore Morgan Reilly con i suoi 29 punti e il prospect William Nylander, autore di buone performance in AHL. Numeri in netto calo invece per Kadri, Phaneuf, Kessel, Lupul e Booth. Sembra davvero che nessuno abbia il posto assicurato, ed il clima è incandescente. Shanny ha già promesso un processo di rebuild costante e a piccoli passi. Sarà tutt’altro che facile, a cominciare dalle scelte al draft, e di quelle del nuovo allenatore e GM. Buona fortuna Shanny.
Buffalo, il peggio è passato
(23-51-8, 54 punti, 3-6-1 nelle ultime 10 partite)
Per la seconda stagione consecutiva i derelitti Buffalo Sabres concludono ultimi nella NHL. Se si sommano i punti totalizzati nelle due scorse stagioni regolari (106), Buffalo sarebbe arrivata solo quarta ad Est quest’anno. Questo la dice lunga sui risultati ed il valore di un organico che dopo l’era del timoniere Ruff, e dei grandi Briere, Vanek, Pominville, Roy, non si è mai più ritrovata. Tanti ed inutili cambi di giocatori e in panchina (Ted Nolan altro esonerato) hanno tolto ogni stimolo ad una tifoseria con tradizione, che ormai si è abituata ad aspettare con ansia la fine dei giochi per attendere la lotteria del Draft. Buffalo ha grandi possibilità di pescare per prima a Giugno, e quindi portarsi a casa il fenomeno Connor Mcdavid, vera nuova sensazione delle leghe minori canadesi. Nel roster attuale non è tutto da buttare: vi sono svariati diamanti grezzi, come il capocannoniere (46 punti) Tyler Ennis, il lettone Girgensons e la seconda scelta dello scorso draft Sam Reinhart. Cody Hodgson, pessimo quest’anno ma dotato di grande potenziale, merita fiducia, così come il neo arrivato Evander Kane. Bisognerà anche trovare un nuovo goalie, dopo aver regalato in giro i vari Halak, Enroth e Neuvirth. Tranquilli Sabres fans, peggio di così non potrà andare.