I Los Angeles Kings conquistano la prima Stanley Cup della loro storia.
Una vittoria conseguita con l’autorità dei veterani, con uno schiacciante 6-1 nel sesto confronto contro i New Jersey Devils. Il trionfo giunge in una stagione altrimenti avara di soddisfazioni sportive per la Città degli Angeli.
Rompere il ghiaccio
Se si pensa alla California, vengono in mente le spiagge, Hollywood, lo Staples Center se proprio si è appassionati. Nel “teatro” delle imprese cestistiche dei Lakers e delle performance dei Clippers (raramente così seguiti dopo quest’anno, grazie anche all’arrivo di Paul), Brown e compagni sono riusciti nell’impresa di conseguire un primo, storico, successo. I “coinquilini” della pallacanestro, invece, sono rimasti al palo ai playoff.
Un’impresa che potrebbe essere seguita nel baseball dai Dodgers e dagli Angels (prima e seconda nelle rispettive Division), anche se ancora la stagione è lunga e le due formazioni sono ben titolate rispetto ai “cugini del ghiaccio”.
Appena cinque anni fa gli Anaheim Ducks, resi celebri dalla Disney in una trilogia cult, conquistavano la prima Coppa contro gli Ottawa Senators, dopo essere stati sconfitti nel 2003 proprio dai rossoneri di Newark.
Dopo la qualificazione quasi in extremis tra le prime 16, in molti prevedevano una veloce uscita dalla scena. Le nette affermazioni contro Vancouver e St. Louis ne ha fatto salire le quotazioni, tanto che già da gara-1 contro i Phoenix Coyotes appariva chiaro che la squadra di Sutter poteva puntare al titolo.
Ingaggio, ed è subito assedio
Avanti 3-0 dopo i primi tre confronti, i Kings hanno subito due sconfitte di fila. L’ultimo stop, nel New Jersey, ha segnato la prima sconfitta esterna dopo dieci vittorie consecutive lontano dal proprio palazzetto. Un record che testimonia ancora una volta la qualità di L.A.
Tornati allo Staples, i pattinatori di casa partono subito con il piede giusto. Lo fanno con uno stile di gioco aggressivo, come forse mai nella serie, costringendo tutti gli ospiti a ripiegare davanti a Brodeur. Le tante penalità (nove) comminate ai rossoneri rendono l’equilibrio ancora più instabile. Dopo undici minuti, giunge il primo centro.
Chi poteva metterlo a segno se non il capitano? D.B. conclude un’azione insistita, in situazione di power-play, con un potente tiro dalla sinistra. L’assist è di Drew Doughty, un ventiduenne dal grande potenziale, autore di dodici passaggi decisivi nei playoff 2012 dopo averne realizzati esattamente la metà nelle due precedenti apparizioni.
Il grido “Go Kings Go” si fa allora più forte. Appena cento secondi dopo giunge il raddoppio. Su una conclusione del captain, Carter è bravo e fortunato a deviare, superando così il goalie avversario. Ancora una volta, una rete in superiorità numerica.
Così come sarà un PPG pochi minuti più tardi. Una ripartenza di King è fermata sulla sinistra. La difesa di N.J. non intercetta il disco, che giunge a Lewis a pochi centimetri dalla linea di porta. Per il giocatore di Salt Lake City è un gioco da ragazzi insaccare.
Dopo quindici minuti, i Kings sono avanti nella serie e conducono la gara per tre a zero. In tutte le gare sin qui disputate nella post-season, avevano messo a segno sei power-play gol. In appena 15’ – contro la migliore squadra della stagione regolare in penalty-killing (gestione delle inferiorità numeriche) – ne hanno realizzate tre.
Il copione non cambia
Per una volta, uno script dalle parti di Hollywood non eccelle in brillantezza.
Ci si attende una reazione ospite, giunge invece il quarto gol dei padroni di casa. Marcatore ancora una volta Carter. Jeff si inserisce alla perfezione nella zona d’ingaggio sinistro, riceve il puck dal capitano e lo deposita alle spalle di Brodeur. Il portiere con il maggior numero di primati nella Lega ha già dovuto raccogliere lo stesso dalla rete per quattro volte, in neanche 22 minuti di gioco.
L’entusiasmo dei sostenitori di casa diminuisce solo a meno di due dalla fine del periodo. ingaggio dalla sinistra, Quick salva per due volte, prima di capitolare per la conclusione sottomisura di Henrique, forse l’ultimo ad arrendersi dei suoi.
La festa può cominciare
Il numero 32 dei Kings chiude ogni varco. Così, quando a 4’ dalla fine il coach dei Devils richiama Brodeur in panchina, c’è tempo per l’empty-netter di Lewis, che riporta Los Angeles avanti di quattro.
Martin torna in porta, ma dopo appena quindici secondi subisce la sesta rete dei Kings (quinta da lui subita in serata). Disco intercettato sulla destra da Greene. Il difensore conclude senza pensarci due volte, sorprendendo il portiere e fissando il risultato sul 6-1. Per lui, è la seconda rete in assoluto ai playoff.
Il conto alla rovescia del pubblico precede l’incontenibile gioia dei californiani, mentre dall’altra parte i rossoneri vanno a consolare Brodeur, forse all’ultima finale in carriera.
Stretta di mano tra i giocatori, poi è il momento dei trofei.
Un anno da sogno
La festa con la celebre Stanley Cup è preceduta dalla consegna del Conn Smythe Trophy per il migliore giocatore del torneo. Il riconoscimento va a colui che ha permesso di ottenere 16 vittorie in 20 incontri, chiudendo per tre volte imbattuto e concedendo appena sette gol in sei partite nella serie finale (escluso l’empty-netter): Jonathan Quick.
Il portiere di Milford, Connecticut, è stato una sicurezza per tutti i playoff, che chiude con una percentuale di parate del 94.6%. Nemmeno il record-man M.B. aveva mai fatto registrare cifre del genere.
Sempre parlando di numeri, la stagione dei Kings è stata da sogno anche dal punto di vista statistico. Sono diventati il primo team con il numero 8 a vincere la Stanley Cup, così come il primo a sconfiggere le teste di serie numero 1,2,3 nei playoff e a vincere le prime tre gare di ogni serie, dal round iniziale alle Finali.
Senza dimenticare, certo, le 10 vittorie esterne su 11 trasferte disputate. Avrebbero potuto vincere la Coppa anche in gara-5, nel New Jersey, ma vincere il primo titolo della storia davanti al pubblico di casa, sulle note di “We are the Champions”, è ancora più bello.
Gabriele Farina nasce a Palermo il 18 dicembre del 1986. Appassionato
di scrittura, sport e viaggi, decide di diventare giornalista e
s’iscrive al corso di laurea in “Giornalismo per Uffici Stampa” nella
sua città d’origine.
Conclusa l’esperienza nell’ottobre 2009, con una tesi dal titolo
“Solo per sport”, si dirige a Roma per studiare alla Sapienza nel corso
di laurea “Editoria multimediale e nuove professioni
dell’informazione”. Nella capitale consegue la laurea nel luglio 2011
mantenendo intatta la passione per lo sport, base di partenza per
l’esame finale sulle Olimpiadi di Berlino.
Ha praticato nuoto, corsa e molti generi di sport di squadra, dal calcio a 5 alla pallanuoto, dalla pallamano al volley. Ultima avventura, appunto, l’hockey.
gara “fixed” come dicono negli stati uniti.
assurdo che nell’articolo non si faccia menzione del major fischiato a bernier subito dopo un penalty evidentissimo non sanzionato su gionta che di fatto ha condizionato tutta gara 6. gli arbitri si dovrebbero vergognare per quello che hanno combinato ieri notte a Los Angeles (anche il 4° centro è viziato da un “interference” grosso come un casa). non si può falsare una gara 6 di stanley cup dopo appena 5minuti in questo modo. se avessero sanzionato il fallo su gionta (con conseguente pp per new jersey) non ci sarebbe stata la carica di bernier su scuderi 10 secondi dopo. alla fine 47minuti di penalità contro 6, mai vista una roba del genere. e questo dice tutto….
almeno un minimo di onestà intelletuale, sennò mandiamoci direttamente gli ultrà a scrivere i pezzi…
” se ” , se mia nonna avesse avuto le ruote …………..