I Los Angeles Kings passano in casa dei Coyotes e tornano in finale per la Stanley Cup dopo 19 anni di assenza. Per L.A. il 4-3 all’overtime è la decima vittoria di fila fuori casa. Termina invece l’avventura ai playoff di Phoenix, andata forse oltre le aspettative.
Un portiere da Vezina
Forti del successo di gara-4 allo Staples Center, i Desert Dogs si lanciano subito in attacco anche a Glendale. D’altronde, come ha detto anche il loro coach, Dave Tippett, dopo la terza sconfitta, non c’è “nulla da perdere”.
I primi minuti sono di pura adrenalina. I biancorossi si portano subito in una situazione di power-play grazie all’espulsione temporanea di Drew Daughty, giocatore in seguito determinante. Le visite in panca puniti saranno cinque nei tre tempi regolamentari per i californiani, di cui tre nel solo primo periodo.
Jonathan Quick è subito messo a dura prova, ma il numero 32 dimostra di avere tutte le doti e le qualità per potere ambire al ruolo di miglior portiere dell’anno. Agilità, riflessi e senso della posizione non gli mancano e J.Q. fa di tutto per mettere in mostra il suo talento.
Così, le tre penalità comportano appena una rete subita, una potente conclusione di Hanzal dalla blue line con la deviazione da pochi passi (probabilmente determinante) di Taylor Pyatt.
Phoenix, powerplay e D.D.
Sei superiorità numeriche (contando anche il supplementare), una sola rete segnata. Con numeri del genere, è difficile vincere una gara di stagione regolare, ancor più una gara di playoff per accedere alle finali di Stanley Cup.
Merito va dato ai Kings. Gli ospiti non rinunciano ad attaccare sotto di un uomo, lo fanno solo (per non fare harakiri) quando gli Arizonians sono in vantaggio di due uomini sul ghiaccio. Alla fine dei giochi, sono 51 le conclusioni rivolte verso la porta di Smith contro le 41 che Quick ha dovuto fronteggiare.
Ancora una volta, un outshooting rimediato dalla squadra di casa. Un dato che deve fare riflettere. Così come deve pensare la rete del pareggio di L.A. realizzata da Kopitar, in una situazione in cui gli ospiti erano sotto non solo di una lunghezza, ma anche di uno skater. Lo short-handed goal porta la firma del sloveno (al sesto centro) su un tiro dalla linea blu di Drew Doughty, un tocco sottomisura che cambia la traiettoria del disco. Il numero 41 non riesce nell’intervento, tutto da rifare per i Coyotes. È appena il secondo tiro per gli ospiti.
I tifosi di casa tornano a “ululare” quando Pouillot conclude in rete un’azione insistita da parte dell’attacco degli ‘Yotes e regala il nuovo sorpasso. Dopo meno di cinque minuti, tuttavia, giunge di nuovo il pareggio. Ancora una volta c’è lo zampino del difensore di London, Ontario.
Doughty conclude dal centro della blue line. Il tiro è potente, Smith parte con un leggero attimo di ritardo e non riesce a intervenire.
Due reti in sequenza, poi goalie-show
I secondi classificati della Pacific Division dimostrano di non essere riusciti per caso a condurre per 3-1 nella serie dopo aver eliminato Vancouver e St. Louis e trovano il primo vantaggio dell’incontro.
Conclusione di Dustin Penner respinta dal portiere biancorosso. Sul disco si avventa Mike Richards, che non ha difficoltà a insaccare nella parte di porta rimasta sguarnita. Il numero 25 di Winkler, Manitoba, avrà modo di andare a referto anche nell’overtime.
Meno di tre minuti più tardi è il turno del portiere “dall’elmo di ferro” di raccogliere il puck dalla propria rete. Azione dalla sinistra di Pyatt e pregevole assist al centro per Keith Yandle. Il giovane del Massachusetts deve solo spingere il disco nel sacco per realizzare il primo centro nei playoff 2012 (terzo in carriera). Per lui anche 16 passaggi decisivi, di cui ben 8 quest’anno.
A poco più di metà gara, le due squadre hanno già realizzato sei reti. Per capirci, nei quattro precedenti incontri erano state 3,75 di media. Anche il numero di tiri diretti verso lo specchio in totale (92 al termine) è un dato in controtendenza.
I numeri per vedere ancora gol e spettacolo ci sono tutti. Se il secondo non manca, i primi tardano ad arrivare. Merito di due portieri che hanno condotto le loro formazioni anche nelle precedenti serie vincenti, i quali ergono due muri che dal 16’ del secondo periodo porta direttamente ai supplementari.
Da ricordare, a esempio, la doppia parata di Quick in apertura di terzo periodo. Se la prima respinta sul rovescio di Boedker è “di routine”, il glove save sul successivo tiro di Vermette è ben più dell’ordinaria amministrazione. L’espressione quasi incredula del numero 50 di Phoenix dopo la parata è eloquente.
Pochi istanti dopo lo stesso capitano dei Coyotes, Shane Doan, riceve lo stesso “trattamento” su un’azione ragionata di cinque contro tre.
Lauri Korpikoski ha una buona occasione a 5’ dalla fine, ma da quelle parti non si passa. Ancora Doan impegna il numero 32 a meno di 150’’ dal termine, ma Jonathan chiude la butterfly in tempo e salva i suoi.
Il segno di Dustin
Dopo aver subito per larga parte del terzo periodo, i Los Angeles Kings tornano a spingere nell’overtime. La pressione è tutta sui Coyotes. Basta una rete per far terminare la corsa di Phoenix, mentre una rete incassata non farebbe altro che prolungare la serie, che in caso tornerebbe in California.
Ciò non accade, tuttavia. Smith, dopo aver respinto le prime conclusioni verso la sua porta del supplementare, deve capitolare al 51° tiro rivolto al suo specchio. La rete decisiva, il sudden-death goal come i tifosi americani lo chiamano, lo mette a segno Penner, dopo che il numero 41 si era opposto ai tiri di Carter e Voynov.
È il centro che permette ai nero-viola di ottenere la decima vittoria di fila lontano dallo Staples Center e, soprattutto, di tornare a disputare la finale della Stanley Cup, a cui mancavano dal 1993. Allora giocavano Wayne Gretzky e Luc Robitaille, giocatori entrati nella leggenda per i supporter della Città degli Angeli, e quello è stato il miglior piazzamento della storia per i Kings.
Poco dopo la rete decisiva un altro Dustin, il giovane capitano Brown, 27enne con otto stagioni alle spalle (sempre con la maglia di L.A.), solleva il Clarence S. Campbell Bowl, trofeo per la squadra che si aggiudica i playoff della Western Conference. Traguardo niente male per una formazione entrata per il rotto della cuffia tra le prime otto a Ovest.
Onore agli sconfitti, ma occhio ai Kings
“Tutto è andato per il verso giusto”, afferma il “C” al termine. “È una di quelle imprese in cui tutti hanno dato un contributo. Abbiamo avuto diversi eroi in diverse serate, e con questo si può fare molto. Ha un effetto valanga, e non serve contare sempre sugli stessi nomi per ogni serata”.
Non vanno dimenticati i meriti di Phoenix. I Coyotes hanno raggiunto le Conference Finals per la prima volta nella storia della franchigia in una stagione in cui ben pochi li davano capaci di accedere addirittura ai playoff sin dalla partenza di Ilya Bryzgalov. Mike Smith si è dimostrato un sostituto (almeno) all’altezza dell’attuale portiere di Philadelphia e i Desert Dogs non solo sono entrati in post-season, ma lo hanno fatto dall’ingresso principale, con il primo titolo di Division in bacheca.
“Penso che il contributo che questa squadra ha dato per arrivare a questo punto non sia da prendere alla leggera o non vada dimenticato facilmente”, ha affermato il coach, Dave Tippett, che ha aggiunto: “È un gruppo straordinario. Bisogna dare gran merito al modo in cui hanno lavorato duro per arrivare sino a qui”.
Drew Doughty, altro eroe di serata con un gol e un assist, non trova le parole: “Non so nemmeno cosa dire. Siamo semplicemente contenti di essere giunti sino a qui. Sono così contento, oggi dobbiamo festeggiare (…). Domani, di nuovo concentrati, siamo nelle Stanley Cup Finals. È quello che abbiamo sognato per tutte le nostre vite e quello per cui abbiamo lavorato dall’estate”.
Un gol e un assist è anche il bottino del match-winner, Dustin Penner. “È un grande risultato per la città, bello per l’hockey specialmente nella California del Sud”. In effetti, dopo le eliminazioni di Lakers e Clippers dai playoff Nba, squadre per le quali i pronostici erano più favorevoli di quanto non fossero per i nero-viola, l’attenzione sportiva nella Città degli Angeli è tutta loro.
Dodici vittorie in quattordici gare, teste di serie numero 1, 2 e 3 sconfitte. Solo i Calgary Flames nel 2004 hanno fatto altrettanto. Guarda caso, una formazione allora allenata da Darryl Sutter, attuale coach di L.A.
“Sono orgoglioso dei miei giocatori. Questo è ciò che più conta per me”, ha affermato l’ex guida di Flames e Blackhawks.
Inoltre, un portiere che sa fronteggiare attacchi produttivi e che sul ghiaccio può giocare alla pari con Lundqvist e Brodeur. Un attacco sempre temibile, anche in situazioni di inferiorità numerica. L’entusiasmo di un gruppo che secondo le previsioni di molti doveva già essere in vacanza e invece è la prima squadra ad approdare alle Finali per il titolo.
New York o New Jersey sono avvertite. Quale delle due formazioni dell’Hudson River giungerà all’atto conclusivo, si troverà di fronte una formazione battagliera. Una squadra che, a causa della bassa testa di serie, non godrà sicuramente del fattore campo, ma questo non sembra essere un problema dalle parti di Hollywood.
Ottava classificata a Ovest, come anche otto sono state le vittorie di fila fuori casa (prima dei successi numero 9 e 10). È un record per i playoff. Numeri alla mano, i nero-viola hanno l’85,7% di vittoria nei playoff contro il 71,4% dei Devils e il 63,6% dei Rangers, nonostante la formazione di coach Tortorella sia stata la migliore della Eastern Conference.
In molti dubiteranno che Brown e compagni possano alzare al cielo la Stanley. I valori ci sono tutti e, si sa, Hollywood è il luogo delle fiabe. La (prima) corona di campioni è sempre più vicina, sta ai Kings farsi trovare pronti per la cerimonia d’incoronazione.
Per saperne di più:
Gabriele Farina nasce a Palermo il 18 dicembre del 1986. Appassionato
di scrittura, sport e viaggi, decide di diventare giornalista e
s’iscrive al corso di laurea in “Giornalismo per Uffici Stampa” nella
sua città d’origine.
Conclusa l’esperienza nell’ottobre 2009, con una tesi dal titolo
“Solo per sport”, si dirige a Roma per studiare alla Sapienza nel corso
di laurea “Editoria multimediale e nuove professioni
dell’informazione”. Nella capitale consegue la laurea nel luglio 2011
mantenendo intatta la passione per lo sport, base di partenza per
l’esame finale sulle Olimpiadi di Berlino.
Ha praticato nuoto, corsa e molti generi di sport di squadra, dal calcio a 5 alla pallanuoto, dalla pallamano al volley. Ultima avventura, appunto, l’hockey.
Ricordo i kings del ’93 guidati da gretszy.. Ma quelli di oggi hanno piu carattere!!! nessuna sconfitta fuori casa ney play off… Tanto per ricordare sono la n. 8 del tabellone ad ovest!!!!
La coppa stanley e’ di L.A. !!!!!
Quick miglior portiere della stagione e forse mvp delle finals
Da appassionato spero in una finale kings / rangers