Sarà Phoenix-Los Angeles la Finale della Western Conference. I Kings hanno spazzato via i Blues in quattro gare, mentre i biancorossi hanno dovuto attendere il quinto confronto per avere la meglio dei Nashville Predators.
È sin da ora il miglior risultato mai raggiunto nella loro storia. Determinante, ancora una volta, Mike Smith.
La gara
I saber-toothed Cats sono scesi sul ghiaccio di Glensdale per gara-5 senza alternative. Sotto 3-1 nella serie, solo con una vittoria avrebbero potuto mantenere intatta la speranza di continuare i loro playoff. I gialloblu partono infatti forte, mettendo a dura prova i riflessi del numero 41. Il goalie degli ‘Yotes si conferma in forma, dall’altra parte Rinne non corre particolari pericoli. Si va così alla prima pausa sul punteggio di zero a zero.
L’equilibrio cambia in apertura di secondo periodo. Il capitano dei padroni di casa serve sulla zona d’ingaggio destro Morris, il quale lascia partire uno slap shot su cui il portiere finlandese, coperto forse da un compagno, non riesce a intervenire. È il primo centro in questa postseason per il difensore originario dell’Alberta.
Nashville, spalle al muro, si riversa in avanti alla ricerca del pareggio. Gli ospiti sono aiutati dal power-play: otto minuti di superiorità numerica per le doppie espulsioni temporanee di Martin Hanzal e Shane Doan contro i due concessi ai biancorossi (interferenza di Roman Josi).
Nonostante l’uomo in più, i Predators si scontrano sul muro dell’Ontario. Smith chiude anche il secondo periodo senza subire reti, mentre dall’altra parte l’attacco concede il bis. Azione simile alla precedente, cambia il marcatore: è Hanzal a mettere alle spalle di Rinne, stavolta infilandolo sul palo opposto, il sinistro.
I minuti che seguono sono un assalto gialloblu verso la porta di Smith. In tutto il portiere riceverà 32 conclusioni verso la sua porta, assaporando il sogno del secondo shutout consecutivo sino a sei minuti dal termine della gara.
A negargli la soddisfazione è il giovane Colin Wilson. Il ventiduenne di Greenwich, Connecticut, uno dei migliori nelle precedenti sfide, è rapido a mettere la stecca su un passaggio invitante di Legwand, altro giocatore chiave dei Preds. Per il giocatore, è il primo centro in assoluto ai playoff.
Il risultato non cambia più. È la prima finale di Conference per la franchigia che appena qualche mese fa rischiava di non prendere parte al campionato. Per Smashville, l’avventura si ferma per il secondo anno di fila al secondo turno.
“Avevamo grandi attese quest’anno e siamo divenuti un’ottima squadra, che ha giocato con impegno e fatto tutto il necessario per vincere” ha detto il capitano di Nashville, Shea Weber. “Le due squadre giocano in modo simile. (…) Non pensi che questo sia il modo di terminare la stagione, almeno io non pensavo (di uscire così)”, ha aggiunto il nazionale canadese.
Il segno del capitano
Anno 1996: i Winnipeg Jets si spostano in Arizona, dove divengono I Phoenix Coyotes. Anno 2012: i Desert Dogs conquistano la loro prima Division della storia e anche il primo pass per le Finali della Western Conference.
Denominatore comune: Shane Doan. Appena ventenne quando il rookie esordisce con il nuovo team, oggi l’ala destra dell’Alberta è l’unico dei giocatori della formazione originaria a vestire ancora la casacca degli ‘Yotes.
Il logo è cambiato, i compagni si sono alternati, ma Shane è ancora al suo posto, a incitare i compagni sul ghiaccio. Sì, perché Doan è diventato anche capitano e giocatore-simbolo della squadra.
“Ovviamente vuol dire molto” ha dichiarato al termine, parlando del fresco successo. “Ci si sentiva battuti quando non si riusciva a trovare il bandolo della matassa in questo primo round (contro Chicago), così uscire dal secondo vittoriosi è qualcosa di speciale. Ne abbiamo parlato come una squadra. Siamo ancora a metà strada. Ci servono altre quattro vittorie e riorganizzarci di nuovo”.
Il numero 19 è sempre rimasto con i Coyotes (dopo aver esordito nel 1995 con i Jets), anche quando è stato mandato a disputare metà stagione con gli Springfield Falcons nell’American Hockey League. Non era mai arrivato così avanti in carriera, nemmeno con compagni del calibro di Jeremy Roenick (adesso commentatore per la Lega, chissà come vedrà la sua ex squadra), Keith Tkatchuk, Rick Tocchet e Nikolai Khabibulin, portiere russo in forza a Edmonton adesso, soprannominato The Wall, il Muro.
“È divertente”, aggiunge Doan “ma quando abbiamo raggiunto quel risultato (11 vittorie e 1 sconfitta all’overtime) a febbraio, abbiamo pensato ‘possiamo battere chiunque’. Pensavamo realmente di poter sconfiggere chiunque. Questo è stato probabilmente il primo step”. Nella striscia, anche due successi contro i Kings, nella prima occasione per giunta sul loro ghiaccio e senza subire reti.
“Vincere lo schieramento” ha concluso il capitano dei Coyotes “è stato un grande risultato per il nostro gruppo – ti senti non solo di far parte dei playoff, ma anche di aver vinto la Division. È stato difficile ed è giunto alla fine, ma ha significato molto”.
Muro contro Muro
Mike Smith ha sempre avuto Phoenix nel destino. Glendale, Arizona, 21 ottobre del 2006. In casa dei Coyotes scendono sul ghiaccio i Dallas Stars. I biancorossi hanno poco fortuna contro i texani, che s’impongono con un netto 4-0. Merito di un portiere allora ventiquattrenne, che ferma tutte le 22 conclusioni rivolte verso la sua porta.
Due dati non irrilevanti: è il suo esordio assoluto in Nhl, complice l’infortunio al più esperto Marty Turco. Il suo nome è Mike Smith.
Sembra l’esordio di un predestinato, invece gli anni successivi saranno un banco di prova per il goalie. Ventidue partite di media in due stagioni con i neroverdi, quasi trenta nelle successive quattro con i Tampa Bay Lightning. Appena ventidue (numero costante per il portiere) nell’ultima stagione con i Bolts.
Alle porte dei trent’anni, in pochi sono disposti a credere in lui. Lo fa una società che lo ha visto esordire e conosce il suo valore, chiamandolo a sostituire Bryzgalov, in partenza per Philadelphia. Contratto di due anni per 2 milioni di dollari. Una cifra modesta, ma Smith sul ghiaccio non se ne preoccupa. In una sola stagione colleziona le stesse presenze dei primi tre anni di carriera: 67.
Soprattutto, chiude per otto partite la strada a tutte le conclusioni degli avversari: nei sei anni precedenti erano stati undici gli shutout. La gara interna contro i Blue Jackets, l’ultima di regular season a Glendale, entra di diritto della leggenda. Phoenix ha ottenuto un successo fondamentale (terzo di una serie di cinque vittorie nelle ultime cinque partite) per ottenere la testa della Division, grazie anche alle parate del goalie di Kingston.
Smith si è opposto per 54 volte a tutte le conclusioni di Columbus, permettendo ai Coyotes di vincere 2-0 la gara. Di tutti gli shutout mai raggiunti nella storia della Lega, questo è quello ottenuto confrontando il maggior numero di tiri. Nemmeno Martin Brodeur, detentore della maggior parte di primati per un portiere, aveva mai conseguito tale record.
Curiosamente, i due goalie appena citati si stanno affrontando nelle semifinali dell’Eastern Conference. Solo uno di loro ce la farà, così come solo uno tra Mike Smith e Jonathan Quick potrà raggiungere le Finali per la Stanley Cup.
Portieri contro
“È stata una cavalcata tremenda” dichiara alla fine il numero 41. “Mi sento così fortunato di avere un’occasione del genere. Non capita ogni anno. Non fai nemmeno i playoff ogni stagione, e certamente non disputi le finali di Conference ogni anno, così è stata una lunghissima cavalcata.”
Smith rivela alla stampa anche il motto della squadra: “Coyote Ugly”. “Qui abbiamo imparato molto”, aggiunge il goalie “sul nostro essere gruppo. Ogni ragazzo ha dato il suo contributo a un certo momento della serie e durante il cammino in questi playoff”.
La sfida è adesso contro i Kings di Los Angeles. Le due squadre della Pacific Division, appena due punti di differenza in stagione regolare, sono senza dubbio le maggiori sorprese a Ovest. Nel caso dei nero-viola, non si eliminano i vicecampioni in carica e la seconda migliore squadra della Lega, assieme ai Rangers, cioè Vancouver Canucks e St. Louis Blues per combinazione.
Del cammino dei Coyotes, che hanno “scacciato” sia i campioni del 2010 (Chicago Blackhawks) sia i temibili Nashville Predators, che già avevano eliminato i Detroit Red Wings, undici volte vincitori della Stanley, si è già detto.
Il confronto è adesso tutto da vivere. Sfida nella sfida quella tra Quick e Smith. Jonathan Douglas “Jon”, promettende portiere di venticinque anni, è stato il grande protagonista dei successi contro Canucks e Blues. Per lui un impressionante bilancio del 94,9% di parate contro i canadesi e la squadra del Missouri, due squadre che in stagione regolare avevano realizzato 249 e 210 centri rispettivamente, contro i 194 messi a segno da Los Angeles. Eppure, nei playoff L.A. ha vinto otto volte, contro l’unica vittoria di Vancouver e le zero di St. Louis contro i Kings.
Per lui anche uno shutout durante questi playoff (secondo in carriera nella post-season) e dieci durante il torneo. In stagione regolare, sono 24 in cinque campionati con i Kings, unica formazione di cui ha indossato la casacca, anche se durante la prima stagione le partite con la squadra maggiore sono state appena tre.
Kopitar contro Hanzal dunque, ma anche Quick contro Smith. Sei confronti stagionali, tre vittorie a testa. La sfida è aperta, lo spettacolo non mancherà di certo.
Gabriele Farina nasce a Palermo il 18 dicembre del 1986. Appassionato
di scrittura, sport e viaggi, decide di diventare giornalista e
s’iscrive al corso di laurea in “Giornalismo per Uffici Stampa” nella
sua città d’origine.
Conclusa l’esperienza nell’ottobre 2009, con una tesi dal titolo
“Solo per sport”, si dirige a Roma per studiare alla Sapienza nel corso
di laurea “Editoria multimediale e nuove professioni
dell’informazione”. Nella capitale consegue la laurea nel luglio 2011
mantenendo intatta la passione per lo sport, base di partenza per
l’esame finale sulle Olimpiadi di Berlino.
Ha praticato nuoto, corsa e molti generi di sport di squadra, dal calcio a 5 alla pallanuoto, dalla pallamano al volley. Ultima avventura, appunto, l’hockey.