Ci sono stati diversi momenti chiave nella cavalcata che ha condotto gli Eagles fino alla conquista del Superbowl LXI, ma uno in particolare si può considerare il punto zero, il primo, fondamentale, mattone, su cui Philadelphia ha costruito la straordinaria stagione 2024, conclusasi tra coriandoli, fuochi d’artificio e festeggiamenti sul palco del Caesars Superdome di New Orleans.
Momento che potrebbe avere le sembianze della scena inziale di uno di quei film che narrano di leggendarie storie di Sport, registrata a 1217 miglia di distanza dalla Louisiana, con l’auditorium del NovaCare Complex, il training center della franchigia presieduta da Jeffrey Lurie, come sfondo; si accendono le luci nella sala, la telecamera inquadra un palco con alcune persone che si apprestano a parlare ad una platea chiassosa, sistemata alla rinfusa tra le varie file di sedie, si sente il classico click che attiva i microfoni, e dopo una richiesta di silenzio generale si ascoltano queste parole “l’anno scorso era su di me, la responsabilità era sulle mie spalle. Non sono stato all’altezza”.
Poche parole, semplici, umili, oneste, pronunciate da una voce conosciuta da tutti i presenti, quella di Nick Sirianni, che in pochi secondi, all’inizio di un incontro tra coach, staff dirigenziale e giocatori degli Eagles, in una pausa nel corso del training camp, si è assunto la piena responsabilità della fallimentare stagione 2023, indicata da molti come quella della possibile rivincita dopo la sconfitta rimediata nel precedente Super Bowl, ma conclusasi con un nuovo, cocente, stop, dopo il 32-9 con cui i Tampa Bay Buccaneers li avevano estromessi dalla corsa playoffs nel Wild Card weekend.
“E’ stata una boccata d’aria fresca”, così venne definito, da una fonte anonima vicino al team in una chiacchierata con un reporter della ESPN, l’episodio che aveva avuto come protagonista l’head coach di Philadelphia, evento che si è tramutato in una sorta di “sliding door” per la storia recente della franchigia della Pennsylvania e che ha segnato un deciso cambio di passo nella preparazione della regular season successiva, appianando, in pochissimi istanti, giusto quelli necessari a concludere il virgolettato, tutte le divergenze e i malumori nati nel corso del 2023.
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Sirianni nel periodo più complicato con gli Eagles
Trend negativo che aveva colpito in primis lo stesso Sirianni, sia nel rapporto con i suoi tifosi, spesso criticati con ampi gesti dalla sideline al termine delle partite, sia nei rapporti professionali, con collaboratori e giocatori all’interno del team, a partire dalla mancanza di comunicazione con il suo quarterback, Jalen Hurts, fino ad arrivare alla diatriba, nemmeno tanto velata, con l’offensive coordinator Brian Johnson per la gestione dell’attacco; tutto questo senza dimenticare la tanto criticata decisione di esautorare il DC Sean Desai dal chiamare gli schemi difensivi in favore del senior assistant Matt Patricia, ex HC dei Lions.
Una scelta che aveva favorito il crollo della difesa Eagles dal terzo al penultimo posto del ranking NFL e una serie di episodi che, messi in fila, avevano fatto seriamente pensare ad un possibile licenziamento di Sirianni, aprendo ad un periodo di attente riflessioni, tanto dall’organizzazione quanto dallo stesso coach, che alla fine hanno deciso di proseguire il loro percorso sportivo insieme, iniziando ad operare diversi cambiamenti, a cominciare dal coaching staff, con l’aggiunta di un ottimo elemento come Kellen Moore e la promozione nel ruolo di coordinatore difensivo di un veterano di grandissimo valore come Vic Fangio.
“E’ necessario imparare dai propri errori“, questo uno dei mantra del HC di Philadelphia, e in quest’ottica gli innesti di due nuovi collaboratori sono stati fondamentali per togliere un po’ di pressione dalle sue spalle e rendere più sereno l’ambiente, in particolare nella offense, dove l’innesto dell’ex OC dei Cowboys ha migliorato decisamente il rapporto tra il capo allenatore e il proprio quarterback, preso per mano dal nuovo arrivato e guidato lungo tutte le difficoltà affrontate nel corso della stagione 2024.
Passionale, emotivo a tal punto da accendersi facilmente in diverse occasioni divenute celebri, come i battibecchi con il LB dei 49ers Dre Greenlaw e l’ex TE di Phila Zach Ertz o il bollente confronto faccia a faccia con il rookie DT Jalen Carter, con il suo carattere latino che ricorda chiaramente la sua discendenza italiana, i suoi bisnonni sono originari della zona del Reventino, in Provincia di Catanzaro, è stato il motore della cavalcata vincente degli Eagles, un viaggio iniziato molti anni fa, nella piccola Southwestern Central High School di West Elicott, nello Stato di New York.
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The Sirianni Family: Jay, Fran, Nick e Mike
Cresciuto in una famiglia dove si masticava Football ogni giorno grazie all’impegno del padre Fran come coach in vari licei, è stato lo stesso genitore a crescere Nick i tre fratelli Sirianni con la passione per il coaching, tanto da gettare le basi per i loro futuri impieghi nei vari livelli del football statunitense, il primogenito Mike in NCAA con Washington & Jefferson College, il secondogenito Jay in NFHS con la stessa Southwestern Central HS e Nick, il piccolo di casa diventato improvvisamente il più grande, entrato nel panorama NFL nel 2009.
Diplomatosi a West Elicott a ridosso del nuovo millennio, ha giocato come WR nella famigerata Mount Union, piccola università di Division III che ha all’attivo diversi titoli nazionali e della quale ha indossato i colori tra il 2000 e il 2003, vincendo tre National Championship consecutivi nei primi tre anni della sua carriera NCAA; dopo aver tentato senza successo la strada del football professionistico giocando per una stagione nella Indoor Football League con i Canton Legends è tornato ad Alliance per rivestire il ruolo di defensive backs coach dei Purple Raiders, iniziando dall’Ohio la sua carriera da allenatore.
University of Indiana Pennsylvania, nel triennio 2006-08, l’ultima tappa prima di sbarcare tra i professionisti, nel già citato 2009, quando è stato assunto come assistente offensivo dei Chiefs sotto la guida del HC Todd Haley, con il quale ha collaborato fino al 2011; promosso WR coach da Romeo Crenell nel 2012, ha lasciato il Missouri un anno più tardi per legarsi ai rivali divisionali di San Diego ed entrare nel gruppo di coach al servizio di Mike McCoy, per il quale ha rivestito più ruoli, compreso quello di QB coach che gli ha permesso di costruire un buon rapporto con Philip Rivers e con l’allora OC Frank Reich.
Stima reciproca che gli è valsa l’ingaggio come offensive coordinator dei Colts nel 2018, quando lo stesso Reich è stato assunto come capo allenatore e ha deciso di affidarsi a Sirianni per la costruzione del nuovo attacco di Indianapolis, guidato nell’ultimo anno passato in Indiana, 2020, proprio dall’ex, storico, numero 17 dei Chargers, in una stagione divenuta il trampolino di lancio per la conquista di “un posto al sole” e la firma di un contratto da head coach con i Philadelphia Eagles, reduci dalla rottura con l’artefice del primo Vince Lombardi Trophy della loro storia, Doug Pederson.
Un passaggio di consegne che, a distanza di anni, sembra quasi essere stata una sorta di investitura nei confronti del coach originario di Jamestown, NY, dove Nick è nato il 15 Giugno del 1981, che dopo una stagione di apprendistato, conclusa comunque con una qualificazione ai playoffs ed un’eliminazione alle Wild Card per mano dei soliti Buccaneers, ha costruito, in combo con l’ottimo GM Howie Roseman, un team capace di raggiungere il Grande Ballo già al termine della season 2022.
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Doccia di Gatorade per il fresco vincitore del Super Bowl LIX
Da quella sconfitta, 38-35, subita contro Kansas City, la sua carriera da allenatore è entrata in una seconda fase, nella quale ha cercato di essere più introspettivo, rimanendo comunque sempre fedele al suo modo di essere mentre cercava di analizzare ed imparare, costantemente, dai suoi errori e dagl’errori dei suoi collaboratori; “o vinci, o impari”, questo ripeteva, come un disco rotto, Jalen Hurts dopo aver perso il Super Bowl LVII con i Chiefs, e queste parole sono state il faro che ha illuminato il lavoro giornaliero degli Eagles e di Sirianni in questo biennio.
Al centro di tutto la sua “connection philosphy” che lo rende uno dei coach più innovativi della National Football League, non tanto sotto il profilo del gioco, dove non ha costruito un suo personale sistema a differenza di molti suoi colleghi, quanto più a livello gestionale, cercando di costruire un clima positivo all’interno e intorno alla franchigia; una filosofia nata probabilmente durante la sua esperienza da giocatore in NCAA, quando in seguito ad un brutto infortunio che rischiava di porre fine anticipatamente alla sua carriera ha fortemente apprezzato l’interesse e l’incoraggiamento ricevuti dai coaches e dai membri del programma di football della Mount Union.
In quel periodo Sirianni ha imparato quanto sia fondamentale essere parte di un ambiente di lavoro sano, di un’organizzazione nella quale non rappresenti solo un numero su una maglia o un nome scritto nel “coaching tree” ma che mostra un reale interesse nei tuoi confronti, fornendoti supporto nei momenti più complicati o esprimendoti apprezzamento quando si offre un contributo alla causa; diffondere positività, offrire critiche costruttive, riconoscere l’impegno di coach e giocatori, lavorare con un occhio rivolto al futuro per dare continuità alla franchigia, questi i 4 punti principali del suo programma e della sua filosofia di coaching, gli stessi che sono alla base di uno dei periodi più vincenti nella storia degli Eagles.
Terzo miglior allenatore, dietro a mostri sacri come John Madden e George Allen, per percentuale di vittorie nella “Superbowl Era” con 0.706, Nick è il secondo coach, dopo George Seifert, nella storia della NFL ad aver concluso più stagioni con almeno 14 vittorie nei primi quattro anni di carriera, traguardo raggiunto nuovamente al termine della regular season appena conclusa che gli ha permesso di entrare in un ristrettissimo club all-time del quale fanno parte, oltre al già citato Seifert, leggende del calibro di Bill Belichick, Mike Dikta, Joe Gibbs, Don Shula e Andy Reid, suo avversario nel Super Bowl vinto domenica notte.
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Sirianni bacia il Lombardi Trophy
Sesto nella storia ad aver conquistato una qualificazione ai playoffs in ognuna delle prime stagioni da head coach, Sirianni, mentre attendeva di ricevere il suo adorato sigaro Black & Mild seduto all’interno del suo spogliatoio privato, dopo aver alzato verso il cielo stellato di New Orleans il Vince Lombardi Trophy, si è raccontato con queste parole: “Sai, questa cosa del capo allenatore, penso che le persone abbiano un’opinione su come pensano che dovrebbe essere un capo allenatore. Tu però devi essere ciò che sei. Ciò non significa che non cerchi di migliorare. Ciò non significa che io stesso non cerco di controllare le mie emozioni, a volte perché so che, nonostante siano uno dei miei più grandi punti di forza, possono anche essere un ostacolo.”
“Per questo sono davvero grato per le avversità che abbiamo dovuto superare e per le critiche che ho ricevuto. Le avversità ti rendono ciò che sei, rendono la squadra ciò che è, e ne sono orgoglioso. Semplicemente non mi sono conformato a ciò che la gente voleva che fossi. Sono stato fedele a me stesso, a chi sono, una cosa che ho fatto da sempre, fin da quando ero al liceo. E quindi, sono grato per le avversità. Sono grato per le critiche. Sono grato perché mi hanno permesso di essere, e restare, sempre fedele a me stesso.”
Essere sempre se stessi, con le gambe allungate su una sedia e le mani intrecciate dietro la testa, rilassandosi con un sigaro mentre si tende l’orecchio ad ascoltare le urla festose dei propri ragazzi, con un sorriso che traspare dal volto e la consapevolezza di aver raggiunto un traguardo inseguito per una vita intera.
Essere, semplicemente, Nick Sirianni.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…