Ha vinto la squadra più forte, più organizzata, più completa in tutti gli aspetti del gioco. Se c’è un marchio che contraddistingue questa schiacciante affermazione di Philadelphia è proprio quello della prova a tutto tondo, tratteggiante l’identità di una realtà in grado di fornire una prova corale di altissimo livello con l’accesso al Super Bowl in palio, applicando una formula proveniente dalla vecchia scuola, ma pur sempre buona per perseguire obiettivi prestigiosi. Questi Eagles sono infatti caratterizzati da una moltitudine di punti di forza, individuabili in tre settori del gioco fondamentali: la miglior difesa Nfl, coordinata da un luminare del settore come Vic Fangio; un gioco di corse eccellente, il cui leader è un Saquon Barkley ormai non più contenibile; una linea offensiva fisica e altamente muscolare, che ha concluso una lotta straordinaria nonostante condizioni fisiche tutt’altro che ideali (Landon Dickerson e Cam Jurgens sono stati letteralmente commoventi) senza far mancare nulla al consueto apporto a favore della squadra.

Saquon Barkley celebra uno dei tre touchdown di giornata.

Proprio come aveva dichiarato il buon Barkley, Philadelphia voleva dimostrare di poter correre in faccia a tutti, estraendo quell’essenza di football un pò datata, che molti avevano dato per superata dopo l’avvento dei grandi attacchi aerei in stile collegiale, dimostrando che non si trattava semplicemente di parole gettate in pasto ai media, ma di un piano ben preciso, che doveva portare a un traguardo altrettanto ben identificato. Il team di Nick Sirianni giocherà dunque con certificato merito il secondo Super Bowl delle ultime tre stagioni, un goloso rematch contro i Kansas City Chiefs, a due anni esatti da quell’immane delusione per una sconfitta di soli tre punti, generata dalla solita sagacia di Patrick Mahomes nel gestire il cronometro, divorando gli ultimi cinque decisivi punti di quella partita, fino al field goal della gloria eterna. Una conquista che sa di rivincita, tanto per il criticato Sirianni, reduce da un’indesiderata uscita alla Wild Card durante lo scorso campionato, quanto per l’assetato Barkley, che grazie alle sue roboanti prestazioni ha ristabilito, a suon di yard e mete, la reputazione e l’importanza del running back in questo particolare momento storico del gioco.

Un regalo gentilmente offerto dai New York Giants, si è trasformato in manna dal cielo per rivali divisionali che hanno cavalcato l’onda delle 2.005 yard e 13 mete siglate dal running back, il quale ha disputato un’annata memorabile, suggellata da una postseason di alitssima qualità: 442 yard corse e 5 ingressi in endzone nelle tre gare più importanti dell’anno, a conferma di un ruolo essenziale per il percorso generale degli Eagles. L’attenzione costantemente dedicata a Saquon ha permesso una gestione più accurata nelle selezioni di lancio di Jalen Hurts, peraltro recentemente non in perfetta forma fisica, conseguendo in una fase aerea magari non spettacolare, ma costantemente efficace, facendo ritorno ai livelli prestazionali di due stagioni fa, proprio quando Philadelphia andava a eseguire una cavalcata del tutto simile a quella cui stiamo assistendo oggi. Tanto possesso, poca improvvisazione, letture scaturite da singole coperture o zone del campo lasciate sguarnite dalla difesa,, e statistiche non mirabolanti; tant’è che l’andamento statistico di Hurts nei playoff ha rispecchiato alla perfezione l’indice già fornito dalla regular season, con le 246 yard lanciate contro i Commanders a incarnare il miglior risultato di tutti i playoff, mantenendo perfettamente pulito il conto degli intercetti, che già erano stati minimi – solo 5 – in campionato regolare.

Jayden Daniels ha giocato ancora una volta bene, ma non è bastato.

Proprio il computo dei palloni persi ha determinato la storia di questo Nfc Championship, facendo cadere Washington nella stessa trappola con cui gli uomini di Dan Quinn avevano capitalizzato per vincere i due turni precedenti. I Commanders hanno lottato fieramente al di là del 55-23 conclusivo, sono rimasti abbondantemente in partita fino al terzo quarto, hanno goduto di qualche possibilità di far virare l’inerzia, tuttavia scavando loro stessi la propria fossa. Persistono infatti pochi dubbi sul fatto che non fossero giunti al Lincoln Financial Field solamente per fare da sparring partner, altrimenti non si spiegherebbe un atteggiamento aggressivo sin dall’inizio, con un primo drive durato per ben 18 giochi, in trasferta, con un rookie che giocava a questi livelli per la prima volta, che in quella serie aveva trovato la freddezza di convertire positivamente già due situazioni di quarto down. Senza quei tre turnover, l’andamento della gara sarebbe potuto risultare differente, e gli Eagles avrebbero senz’altro avuto maggiori preoccupazioni, per quanto fossero in ogni caso maggiormente attrezzati per portarla a casa.

A Phila era invece bastata una sola azione per segnare il primo touchdown: corsa esterna di Barkley, angoli di placcaggio sbagliati dai difensori, e volata di 60 yard. Il running back avrebbe bissato poco dopo, a seguito di un fumble di Dyami Brown, forzato da un Zach Baun autore di una stagione incredibile, che avrà termine proprio in quella New Orleans dove aveva iniziato la carriera come special teamer, ritrovandosi oggi a essere imprevedibilmente uno dei migliori linebacker della nazione. Il primo tempo era girato su un’azione assai coraggiosa, ma necessaria nella sua poca coscienza: Quinn andava a chiamare una finta di punt per Tress Way, con conseguente lancio per il tight end Ben Sinnott, una conversione del down che rilanciava l’entusiasmo degli ospiti, e li portava a segnare il secondo field goal della prima metà gara, concretizzando meno degli avversari sul tabellone, ma restando agganciati alla partita. La meta dell’onnipresente McLaurin, la cui slant aveva tagliato il campo da un lato all’altro, aveva poi ridotto le distanze a soli due punti, ma Philadelphia avrebbe presto ristabilito l’opportuno distacco.

Tra i tanti errori dei Commanders – tra cui il fumble su kickoff return di Jeremy McNichols – vanno infatti segnalate le penalità. Sanguinosa, in particolare, quella di un Sainristil poco accorto nello spingere Barkley all’esterno mentre questi si trovava già fuori dal campo, alimentando una serie di soli 57 secondi effettivi che dava il 27-12 provvisorio ai padroni di casa, prima del terzo calcio di un preciso Zane Gonzalez, che riduceva a 12 le lunghezze da rincorrere all’intervallo. Inutile, infine, l’acceso nervosismo di un Marshon Lattimore ancora perdente nel confronto con A.J. Brown, con il peso di un completo concesso su un quarto e cinque determinante, e un fazzoletto giallo molto pesante in marcatura su Devonta Smith.

A.J. Brown ha vinto l’ennesimo duello con Marshon Lattimore.

Il miglior momento dei Commanders sarebbe terminato in modo sinistramente analogo ad altri. Un inizio di ripresa giocato alla pari aveva portato Washington sul meno 11 con palla in mano, Daniels aveva cominciato ad acclimatarsi in una situazione di pressione a lui congeniale, ma ecco sopraggiungere il terzo pallone donato agli Eagles: ricezione corta di Austin Ekeler, che tentava di rialzarsi per guadagnare qualche altro centimetro, e colpo letale di Oren Burks, che faceva schizzare l’ovale ancora nelle mani di Baun. Non ci sarebbe più stata partita, Philadelphia avrebbe portato a 7 il totale di mete segnate su corsa – record del Championship Nfc pareggiato nei confronti dei Bears edizione 1940 –  con triplette a favore di Barkley e Hurts, e soddisfazione finale per il backup Will Shipley, a distruggere quel briciolo di resistenza avversaria che restava.

Comunque sia, la grande notizia è che a Washington c’è un futuro. Chi ha vissuto l’era-Snyder conosce benissimo la sensazione del buio, e i conseguenti risultati. Un grande applauso va a Dan Quinn, che ha centrato un obiettivo ritenuto impossibile in pre-campionato, ad Adam Peters, l’architetto dirigenziale di un roster semi-rivoluzionato, e a Jayden Daniels, il rookie di ghiaccio, arrivato a un metro da un traguardo incredibile, con una sconfitta che gli metterà addosso un sacco di motivazione in più per riprovarci.

A New Orleans, sede del Super Bowl LIX, invece, tirerà aria di pura vendetta, e l’atmosfera sarà ricca di storie da sviluppare. Si faranno mille paralleli con la partita di due anni fa, ci si ricorderà di quanto approssimative siano state le valutazioni dei Giants su Barkley, si parlerà di Andy Reid e dell’ennesimo incrocio con il suo stesso passato, delle possibilità degli Eagles di impedire un three-peat storico, e coronare una stagione nella quale Philadelphia è stata senz’altro sottovalutata a causa delle stagioni più vistose giocate da Detroit e Minnesota. Sarà il secondo Super Bowl di questa gestione, molto ben condotta da un Sirianni assai  criticato dodici mesi fa, ma assolutamente lodevole nel condurre un ciclo al quale manca solamente la vittoria più importante.

One thought on “Gli Eagles dominano Washington e raggiungono il secondo Super Bowl in tre anni

  1. Gli eagles lo scorso anno si sono suicidati.. quest anno stanno dimostrando veramente chi sono. Poi hanno un Berkeley in più. Quadrati in tutti i reparti. Speriamo bene. Go eagles

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