Arthur Blank, classe 1942, 82 anni compiuti a fine settembre, era conscio di possedere una finestra temporale ridotta davanti a sé; inoltre, si era semplicemente stancato di perdere. Il proprietario degli Atlanta Falcons aveva riempito i principali titoli dei giornali americani allargando il borsone dei bonifici bancari che mensilmente giungono nel conto corrente di Kirk Cousins, scelto quale principale fonte di risoluzione ai numerosi problemi offensivi della franchigia georgiana. Il numero sette è stato fonte di disgrazia presso il quartier generale locale, in qualità di numero massimo di vittorie che la squadra era riuscita a raggiungere in cinque delle ultime sei stagioni complete, una cifra che lascia in un limbo derelitto, né carne né pesce, a debita equidistanza sia dai playoff, sia da una chiamata di rilievo al draft.

Avanti velocemente alla metà del presente campionato – incredibile come la Nfl vada via come un treno – e l’investimento di ben 180 milioni di dollari, nel primo dei quattro anni dell’accordo, pare stia funzionando adeguatamente, facendo persino dimenticare la selezione di Michael Phenix Jr, che tante polemiche e dubbi aveva innescato la scorsa primavera. I Falcons comandano saldamente una Nfc South non certo irresistibile, sono lontani dall’essere una compagine completa al punto da competere ad altissimi livelli, ma hanno già raggiunto la quota di sei vittorie nelle nove partite sinora disputate, risultato che, guardando un attimo nello specchietto retrovisore, porta in ogni caso un sapore di scommessa vinta.

Il collettivo georgiano veniva da anni di oculati investimenti che avevano indubbiamente aggiunto talento al reparto offensivo, e per quanto è stato possibile vedere fino a questo momento, Kirk Cousins è a tutti gli effetti il tassello mancante del puzzle. Spesso criticato per la mancanza di efficienza nei primetime game, colui che era partito come un’umile riserva pescata al quarto giro al solo fine di fornire un backup a Robert Griffin III, è rimasto saldamente attaccato al giro del professionismo costruendosi una reputazione magari non eccellente ma solida, al punto da meritarsi il posto da titolare negli anni trascorsi a Minnesota. I Falcons hanno inesorabilmente ripreso a girare offensivamente grazie alla sua esperienza e alle sue capacità tattiche, i risultati sinora ottenuti ne sono chiare indicazioni, e finalmente le numerose armi che l’attacco può sfoderare dopo anni di paziente assemblaggio, possono esprimersi al massimo delle loro capacità, trovando una loro valorizzazione, evitando di respirare quella scomoda sensazione di spreco che ha attraversato – negli anni scorsi – le menti di Drake London, Kyle Pitts, e Bijan Robinson.

La situazione è infatti molto diversa se confrontata alla triennale gestione di Arthur Smith, le cui idee offensive – nonché i quarterback messi in campo – mai avevano staccato i Falcons dalla mediocrità offensiva. Se a tale considerazione si sommava una difesa poco incisiva nel portare pressione agli avversari, allora i motivi di quei numerosi sette non sono poi così del tutto infondati. Si è ripreso a lavorare da lì, con un cervello offensivo completamente nuovo, che vede disegni eseguiti da Zac Robinson, che qualcuno ricorderà quale quarterback di Oklahoma State, nonché discepolo delle ideologie offensive praticate quale passing game coordinator di Sean McVay, le cui idee vengono conseguentemente realizzate dal braccio del Capitano Kirk, il quale sembra nettamente ripreso dal grave infortunio al tendine d’Achille che ne aveva bruscamente terminato l’esperienza ai Vikings.

La trasformazione di Atlanta si legge trasparentemente nei numeri: il reparto offensivo è il dodicesimo di lega per punti segnati, ottavo per yard messe a referto, settimo per passaggi da touchdown portati a compimento. Sul fatto che tali cifre siano frutto dell’inserimento di un elemento di affidabilità ed esperienza nel ruolo più importante del gioco, sussistono assai pochi dubbi. Certo, i Falcons vincono ma non sono sempre convincenti nel farlo, spesso non riescono a chiudere anzitempo le partite oppure hanno avuto bisogno di una super-prestazione offensiva, come quella che il medesimo Cousins ha messo assieme contro Tampa Bay (già sconfitta due volte) lo scorso 3 ottobre, mandando a referto 509 yard e quattro passaggi vincenti, tra cui quello valevole per la vittoria al supplementare. Nelle ultime due settimane le cose sono anche andate meglio, non tanto per l’esagerazione statistica, quanto per efficienza esecutiva: ancora contro la povera difesa dei Bucs, il veterano ha completato quasi l’80% dei tentativi aggiungendo al computo altre quattro mete su lancio, e nella più recente affermazione contro i Cowboys, a un certo punto della gara Kirk aveva lo stesso numero di passaggi incompleti e touchdown, esattamente tre. A conferma della positività delle sue prestazioni, basti sapere che mai nei tredici anni di professionismo, Cousins aveva registrato un rating superiore al 140 in settimane consecutive, centrando invece tale obiettivo nel corso degli ultimi quindici giorni.

Statistiche illuminanti, a maggior ragione se ottenute come domenica scorsa, con Pitts molto quieto e London (attualmente già giunto al career high di mete con sei) estromesso da un infortunio apparentemente non grave, che però contano fino a un certo punto se non si impara a vincere come si deve. E qui la parola passa alla difesa, che dovrebbe se non altro imparare a confezionare quella serie o due in grado di fare la differenza, togliere un pò di pressione dall’attacco, e rendere l’atmosfera di partita più rilassata. Una delle chiavi di lettura più importanti è la flebile pass rush sinora esibita, che prima del confronto con Dallas vantava solamente sei sack messi a referto in tutto il campionato: domenica Atlanta ha prodotto metà del precedente fatturato giungendo ad atterrare il quarterback in tre distinte circostanze, segno che qualcosa si muove e progredisce, ma è essenziale che Raheem Morris trovi un metodo per garantire maggior continuità, e mettere a segno vittorie di rilievo. Il roster non possiede un vero maestro del sack, piuttosto ci sono tanti giovani che stanno tentando di mettersi in mostra con risultati alterni, a volte la pressione arriva assieme al colpetto al quarterback quando però il pallone è già in viaggio, facendo quindi mancare quella possibilità di provocare il punt, o un significativo arretramento delle catene, nei momenti di maggior bisogno.

Questo problema difensivo spesso si è riflesso sulla gestione offensiva, creando delle situazioni nelle quali i Falcons hanno dovuto sudare le letterali sette camicie per scrivere la doppia vu negli almanacchi storici, oppure hanno dovuto richiedere gli straordinari a un gioco aereo che fortunatamente è spesso stato brillante. Tuttavia, nonostante le ottime cifre accumulate da Robinson e da un backup di lusso come Tyler Allgeier, all’attacco sembra mancare quella dimensione situazionale in grado di concedere alla squadra di poter mangiare il cronometro con il possesso prolungato nel quarto periodo, appunto perché la difesa non sempre riesce a chiudere i bocchettoni per tempo. Di conseguenza la porta per un rientro in gara dell’avversario è spesso aperta, e Atlanta, al di là delle oltre 4 yard a portata di media, non può permettersi di mettere in campo il suo letale uno-due, undicesimo per yard prodotte per tentativo, ma solo ventiseiesimo per mete realizzate, altro segno che individua la necessità di rivolgersi alle efficaci letture di Cousins per ottenere le risultanze migliori.

Non resta dunque altra soluzione, se non affidarsi alla graduale maturazione degli elementi difensivi che il roster propone, man mano che l’esperienza cresce. Ottimi segnali sono giunti dal linebacker Kaden Elliss, il quale ha scelto i Cowboys per mettere in mostra un arsenale di competenze totale, portando tonnellate di pressione andate a beneficio del contenimento delle corse, arrivando finalmente a mettere le mani sul quarterback e non solo affrettarne le decisioni, aspetto che fa tutta la differenza del mondo. Arnold Ebiketie sta guadagnando snap ed esperienza, apportando un buon contributo alla causa degli outside linebacker, altro settore finora allarmante anche a causa dell’invisibile apporto di un acquisto sinora ingiustificatamente pubblicizzato come Matt Judon, dando una mano al pilastro della linea difensiva, Grady Jarrett, il quale fa ciò che l’età e gli acciacchi gli consentono, cercando di fornire il massimo contributo possibile. Una pressione più consistente parrebbe infatti portare il miglioramento più sentito, se non altro perché le marcature dei corner e dei safety sono state sinora complessivamente soddisfacenti, ma non possono sempre essere tenute troppo a lungo in quelle circostanze dove il regista avversario di turno riesce a evadere dalla tasca creando ulteriori opportunità per i suoi ricevitori.

L’inserimento di Cousins nei meccanismi offensivi dei Falcons, sta dunque apportando le conseguenze desiderate alla stagione di Atlanta, che vedono quel dannato numero sette sempre più vicino all’evaporazione definitiva. A questo punto dell’anno, considerando la difficoltà di un calendario rimanente che vede due possibili vittorie contro deboli opponenti divisionali come Saints e Panthers e gare alla portata contro Raiders e Giants – tenuto pure conto che sono già stati battuti gli Eagles, seppure per un solo punto – si può dire che un piede e mezzo nei playoff ci sia già, eliminando di fatto un’assenza perdurante dalla stagione 2017, addirittura appartenente alla gestione Quinn/Ryan, quella del famoso (e ancor oggi maledetto) Super Bowl cui l’ambizioso Arthur Blank vorrebbe fare ritorno prima di ritirarsi definitivamente.

Le premesse per un campionato positivo sono già gettate e solidificate, il resto si vedrà a dicembre e gennaio, quando si gioca tutt’altro tipo di football e la pressione – quella vera – indica chi è davvero destinato a rimanere in piedi.

One thought on “Atlanta Falcons, l’innesto di Cousins fa respirare i playoff

  1. Che andranno ai playoffs appare ormai scontato: riuscire a non vincere la division contro i Bucs privi di Evans e Godwin avendo un calendario di gran lunga più semplice sarebbe un suicidio sportivo ad oggi impronosticabile, per cui ok, obiettivo raggiunto. Certo che se la stessa cifra più o meno data ad un Cousins in riabilitazione non fosse stata ritenuta eccessiva per mettere sotto contratto Lamar Jackson freeagent (addirittura liquidato in modo sprezzante: d’altronde con Ridder/Heinicke QB te lo puoi permettere, no?), magari ce la potevano fare anche un anno prima.

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