Per chi, come il sottoscritto, ha vissuto decenni di tifo illudendosi che qualcosa potesse davvero cambiare, il concetto di speranza è stato un qualcosa di seppellito senza possibilità di replica. Washington è stata sinonimo di circo, derisibili decisioni manageriali, scandali insabbiati, e, più in genere, vergogna e incompetenza sotto ogni punto di vista. Guardare le partite era un esercizio di agonia e auto-punizione, un atto di continua fiducia mai ripagata, un entusiasmo andato irrimediabilmente a calare anno dopo anno, comprendendo sempre più che il problema vero della franchigia era situato in vetta alla piramide, a causa di un milionario viziato che aveva sempre trattato la squadra come un giocattolo, pensando che con il denaro avrebbe comprato tutto, anche le vittorie facili. L’abbiamo scritto più volte su queste pagine, non è stato facile dimenticare di essere la barzelletta della lega per un tempo che è parso un secolo intero, con gli allora Redskins sempre pronti ai nastri di partenza della free agency per comprare gli articoli più costosi. E che ahimè, avevano già lasciato i loro giorni trionfali alle spalle. Ricordare Bruce Smith, Deion Sanders, Albert Haynesworth fa male. E ha fatto altrettanto male doversi rendere conto che anche senza i grandi nomi e sessioni di mercato più ragionate a livello analitico, i risultati non sono cambiati. Perché il vero problema era l’ambiente letteralmente tossico che Dan Snyder aveva creato sotto il suo indiscutibile comando.

La nuova era ha avuto necessità del suo congruo tempo per trasportare la squadra in una nuova realtà, quella che stiamo vivendo oggi, dove i Commanders sono sorprendentemente una delle compagini più calde del momento. Certo, in questi venticinque anni c’è stata qualche fiammata, data dal ritorno di Joe Gibbs sulla linea laterale, l’arrivo della sensazione RGIII, durato troppo poco ma dannatamente eccitante da vedere in campo, quando strappava lacrime di pura gioia sezionando i Saints all’esordio assoluto o spazzando via i Cowboys a casa loro nel Giorno del Ringraziamento, salvo poi infortunarsi ed essere medicalmente gestito in una maniera del tutto irrispettosa per la carriera di un ragazzo che non si è più potuto esprimere al massimo delle sue potenzialità. Poi un nuovo abisso, appesantito dalla decisione di accontentare il buonismo, la cancel culture, e togliere di mezzo il simbolo con cui questa franchigia era stata grande e vincente fin dai primissimi anni di attività, qualche anno di anonimato, e quindi un rebranding ruffiano e frettoloso, detestato dai fan, una privazione d’identità che ha lasciato il segno su qualsiasi appassionato ai colori burgundy and gold. Qualcuno, quel nuovo nickname, non si sogna nemmeno di pronunciarlo, perché non appartiene alla cultura tradizionale sportiva dell’organizzazione più bistrattata delle ultime epoche.

Un anno fa Washington aveva assaggiato l’aria del cambiamento. Nuova proprietà, ma ancora troppi pezzi del vecchio regime da cui disintossicarsi. I primi risultati si vedono oggi, con uno staff di allenatori completamente nuovo, un roster per tre quarti rivoltato come un calzino, comprendente un quarterback giovanissimo, che sta giocando come un navigato veterano Nfl, rendendosi per gran parte responsabile del 4-1 con cui i Commanders hanno cominciato la presente stagione. Lo stadio è tornato a riempirsi, e i suoi colori sono di nuovo quelli di casa, non rappresentati per la maggioranza dalle jersey dei tifosi della squadra ospite come già occorso negli ultimi anni. Chi ha giustamente ammutinato Snyder ha ripreso entusiasmo, con la giusta diffidenza vista la quantità di sofferenza sportiva patita, ma il rumoreggiare degli spalti indica una netta ripresa della fiducia per il futuro della franchigia, un aspetto oramai dimenticato tra le sabbie della disperazione.

Darsi alla gioia più sfrenata è assai difficile per chi porta ustioni importanti dentro sé, ma Jayden Daniels sta facendo tutto il possibile per rendere completa questo ritorno alla tradizione vincente di una volta. Giusto il tempo di ambientarsi nella giornata d’esordio, al momento l’unica sconfitta riportata, e poi via allo show: 82% di completi nelle prime quattro gare – esclusa, dunque, quella disputata domenica contro i Browns – e record di Tom Brady per percentuale di passaggi positivamente recapitati nello stesso arco temporale gentilmente messo da parte; primo quarterback della storia a scrivere un 85% in due gare consecutive con un minimo di 15 tentativi; capacità di evasione dalla tasca e utilizzo degli arti inferiori nettamente superiore alla norma, tanto che ci sarà da rivaleggiare con Lamar Jackson per chi metterà più yard su corsa a referto a fine anno.

Numeri che non dureranno in eterno, certo, ma che danno l’idea di come il sistema ideato da Kliff Kingsbury stia producendo gli effetti desiderati al di là di ogni ragionevole dubbio. Le differenze si sono viste da una partita all’altra, dal quarterback completamente imbrigliato e costretto a lanciare solo passaggini corti e laterali della prima giornata, si è passati all’apertura schematica che privilegia le vere qualità di Daniels, un vero mago nell’evitare l’arrivo dell’edge rusher per poi spostarsi di lato tenendo gli occhi in profondità verso i ricevitori, nonché la capacità di partire e andarsene con le proprie gambe, accelerando in campo aperto conoscendo esattamente la posizione della catena del primo down. Da tali caratteristiche sono nate le giocate più entusiasmanti dell’anno, che hanno quasi sempre coinvolto Terry McLaurin, ossia quel wide receiver il cui valore pareva essere disperso nel nulla, ma che ha sempre tenuto la testa bassa dimostrando una grande professionalità, giocando con un numero di quarterback differenti che nemmeno lui probabilmente ricorda più, e che ora sorride felice, perché ha trovato una sorta di fratellino minore che gli recapita dolcezze di squisita prelibatezza, spesso terminanti in endzone. Se c’è una persona che merita di esprimere gioia dopo aver segnato, dopo tutte le sofferenze trascorse, è proprio Scary Terry.

La filosofia offensiva di Washington è funzionale e sistematica, oltre che completamente diversa da quant’era preventivabile. Kingsbury, ben lontano dalla Air Raid Offense praticata a Texas Tech e in parte agli Arizona Cardinals, privilegia un gioco che tende anzitutto a dare priorità al successo delle corse, la cui efficienza è stata superiore alla media già dalla seconda settimana di gioco, quando i Commanders non trovavano l’area di meta e hanno dovuto sconfiggere i Giants con sei field goal di Rich Seubert. Ottimi varchi aperti dalla sorprendentemente buona linea offensiva per le corse, che hanno vissuto sull’alternanza di Bryan Robinson, una delle poche scelte azzeccate dalla gestione-Rivera, Austin Ekeler, tutt’altro che finito e letale anche in fase di screen pass, e persino da Jeremy McNichols, tagliato o finito in practice squad in tutte le esperienze vissute ma oggi già titolare di tre segnature, e naturalmente Daniels, che è una minaccia quando parte in scramble e può giocare il sistema in maniera del tutto collegiale, ma assai produttivo. Nelle ultime venti yard, o nei terzi e quarti down con briciole da prendere, subentra sempre un power running sostenuto dalla presenza di tre tight end contemporaneamente in campo, rendendo assai difficoltoso per le difese vincere la lotta in trincea. Avere un tale successo sulle corse e poter giocare la play-action o la run/pass option in maniera efficace apre chiaramente spazi in profondità, e Daniels è stato sinora eccellente nel leggere i movimenti dei safety più profondi cercando le singole coperture, abbinando all’intelligenza una capacità di lanciare con precisione in corsa lateralmente da vero e proprio fenomeno.

C’erano enormi dubbi sulla difesa, che ha fatto acqua per anni e aveva dato la stessa impressione nella disfatta iniziale contro i Buccaneers. Il reparto coordinato da Joe Whitt e supervisionato da Dan Quinn ha in seguito concesso una media di nemmeno 20 punti a partita, anche se il campione non è significativo avendo onestamente affrontato attacchi di qualità inferiore come Giants, Browns e Cardinals, con la punta dei 33 punti concessi ai Bengals, in una gara vinta grazie soprattutto alla produttività offensiva. La difesa ha avuto bisogno di tempo per far affiatare i tantissimi nuovi elementi che la compongono, e ognuno sta lentamente cominciando a dare un contributo significativo. Frankie Luvu sta iniziando a prendere la leadership dell’intero reparto con giocate di forza e perspicacia tattica, accumulando sack tanto quanto Bobby Wagner sta collezionando placcaggi dietro la linea di scrimmage, dando un pò di respiro alle latitanti secondarie – prive di uno shutdown corner comprovato – e nascondendo l’inizio di campionato incolore di Jonathan Allen e Da’Ron Payne, i due uomini di linea più pagati, curiosamente tra i meno incisivi di queste prime cinque uscite.

Ovvio, gli entusiasmi rimangono da calibrare, e vanno vissuti in maniera cauta. Il sistema sta privilegiando la cura dei possessi da parte di un rookie che sta sbagliando pochissimo, ma che sta ancora imparando, per quanto lo faccia velocemente, il gioco professionistico. L’attacco ha giocato male contro Cleveland per quasi tutto il primo tempo, ma quando accende non ce n’è per nessuno.  Arriveranno partite più dure, dove la difesa sarà soggetta a fronteggiare un talento di differente spessore. Ci si dovrà confrontare con prime della classe, squadre più forti – l’abitudine dei Commanders nel fronteggiare, come da regole del calendario, le ultime delle altre division quasi ogni anno è purtroppo consolidata dalle pessime stagioni passate – Daniels prenderà decisioni meno accorte sotto pressione e magari il gioco di corse non funzionerà come ora. Tuttavia, leggere 38, 42 e 34 nel settore punti segnati delle ultime tre uscite non può non dare un’emozione, per chi ha visto orrori offensivi a profusione. E vedere il numero di vittorie già aumentato rispetto a un anno fa non può che far sorridere.

E’ prematuro cominciare a parlare di playoff e quant’altro, ma a Washington, per il momento, è sufficiente la speranza. Un futuro più roseo, la possibilità di tornare nel giro che conta, di restaurare la grande tradizione storica di questa squadra, che di gloria ne ha vissuta tanta e altrettanta ancora ne merita, dopo essere stata maltrattata e insultata da un megalomane vile ed egoista. Il simbolo di tale speranza porta le treccine, è nato quando Snyder era proprietario da un anno, ed è un gran bel giocatore di football.

 

2 thoughts on “Washington, storia di una speranza ritrovata

  1. Io sono uno di quelli che non concepisce (in nessuno dei sensi) il nuovo nome, con il cervello che evidentemente non l ha ancora registrato per diversi motivi

    • Se anche non lo registri non c’ è nessun problema, spero sparisca presto, perché qualcosa succederà prima o poi. Magari con il nuovo stadio arriverà un rebranding che si avvicini alla decenza…

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