Dalle parti di Bourbon Street si è tornati a festeggiare. Anzi, difficilmente vi si rinuncia, d’altro canto parliamo pur sempre dell’identità di una città unica nel suo genere; tuttavia, se gli amati Saints vincono, la quantità di allegria e bicchierate non può che avere una qualità migliore per tutti. Avevamo lasciato la squadra allenata da Dennis Allen presa da secche offensive preoccupanti, le quali avevano prodotto fortissimi dubbi riguardo l’investimento effettuato per Derek Carr nel ruolo di quarterback, per quanto le problematiche dell’attacco fossero non esclusivamente riconducibili all’ex-Raiders. Tra le lacune, c’era difatti una linea offensiva incapace di reggere la pressione nella stessa misura in cui non apriva varchi idonei per le corse, un ricambio generazionale tra ricevitori che ancora stavano cercando di adeguarsi alle diverse velocità dei defensive back professionisti, e non ultima la presenza di Pete Carmichael Jr., coordinatore offensivo emblematico nel suo rappresentare l’ultimo tassello rimasto dell’era-Sean Payton, disegnatore di un reparto tutt’altro che entusiasmante, poco creativo, e soprattutto inadeguato nel trasportare l’ovale in meta. E nella Nfl odierna, se non si è in grado di mettere punti a tabellone con costanza, la stagione non potrà mai indirizzarsi verso il successo.

Chi aveva definito Derek Carr bollito, per il momento si deve ricredere…

All’ingresso del presente campionato c’era poco di consono per far virare consistentemente il pensiero verso un drastico cambiamento della situazione, nel senso che gli elementi dell’insieme bene o male sono rimasti quelli, con l’eccezione di un fronte ritoccato dalla presenza del rookie Taliese Fuaga, insignito della responsabilità di tackle sinistro dopo un ottimo training camp, che aveva del tutto risposto alle aspettative relative al bestione uscito da Oregon State. Il record di vittorie in carriera inferiore al 40% registrato da Allen da capo allenatore, non faceva altrettanto sperare positivamente.

Dopo due settimane è invece parso di rivedere quella New Orleans offensivamente densa di fuochi artificiali, capace di grandi numeri, al momento tradotti in un differenziale spaventoso tra punti segnati e subiti, +62 rispetto alle due avversarie calpestate sinora, un doppio quarantello già esibito, nonché l’impressione di un reparto completamente rivitalizzato. Sono ritmi insostenibili e lo sappiamo bene, non sempre Carr avrà il lusso di affrontare una squadra allo sfascio come Carolina demolendone le secondarie già nel primo tempo, tuttavia la distruzione dei Cowboys in casa loro ha tolto un pò di quella patina da prima di campionato e opposto ai Saints una difesa che una settimana prima aveva giocato benissimo contro Cleveland, solo per ottenere risultati conformi a quelli subiti dai poveri Panthers.

Chris Olave è maturo a sufficienza per diventare una vera star.

Oggi, l’attacco che un anno fa si era giocato i playoff sostanzialmente nella prima parte del cammino con una serie di prestazioni ben sotto il par, è il primo della lega per punti prodotti, nonché quarto per yard racimolate. Tutto molto provvisorio, ovvio, ma significativo dell’iniezione d’ingegno evidentemente apportata da Klint Kubiak, appuntato quest’anno per restituire linfa vitale attraverso un attento studio delle difese e una corretta applicazione schematica atta a scoprirne i punti deboli, ad ennesima conferma che i rami dell’albero cresciuto da Mike Shanahan sono forti, e soprattutto duraturi nel tempo. I nuovi Saints sono infatti un misto di tradizione della scuola anni novanta e innovazione attuale, un’identità decisamente ardua da ritagliare per degli avversari che finora, più che altro, sono apparsi sguarniti e confusi dall’attuazione di tale piano offensivo. Klint, figlio di quel Gary Kubiak cresciuto sotto l’influenza del Shanahan più anziano – e collaboratore pure del più giovane Kyle fino a non molto tempo fa – ha congruamente assorbito le tendenze schematiche del padre miscelandole con l’attuale asse che dai 49ers conduce dritto ai Rams di Sean McVay, dal quale l’attacco di New Orleans ha senz’altro mutuato una pertinente attuazione del concetto di motion, andando a esplorare tutte le intenzioni della difesa.

Gli oltre 90 punti iscritti a tabellino e i 6 (!) possessi consecutivi terminati in endzone contro Dallas sono assolutamente esemplificativi di quanto appena asserito. Da un lato Kubiak ha trovato successo nell’imposizione delle corse alzando il livello di guardia delle difese, applicando un concetto caro ai Denver Broncos dell’era-Elway, la outside zone, una tipologia tattica che sta avendo successo anche grazie all’inserimento di un bulldozer come il già citato Fuaga, pesante ma assolutamente in agio nel muoversi lateralmente assieme agli altri compagni di linea. L’alto tasso di riuscita nei giochi di corsa, che finora hanno determinato un guadagno nei primi due down nel 51% delle occasioni, ha permesso la conseguente riuscita di quella trappola per topi chiamata play-action, che Carr sta giocando in modo delizioso, ricevendo una quantità di pressione minima, e quindi ideale per la sua tranquillità. L’esecuzione sinora perfetta delle finte su corsa sta portando i maggiori guadagni anche con soli due ricevitori a percorrere le tracce, segno della massima protezione che Kubiak sta mettendo a servizio del quarterback affiancando spesso due tight end a una linea ancora ballerina, con grossi benefici per l’esplosivo Rasheed Shaheed, il quale sta scrivendo qualcosa come 24 yard a ricezione ed è una minaccia reale sul profondo, e per Chris Olave, il quale giunto al terzo anno di Nfl sta mostrando uno sviluppo nella comprensione del gioco in grado di fargli compiere il desiderato salto di qualità.

Alvin Kamara rimane una minaccia costante per tutti.

La play-action viene chiamata nel 58% delle occasioni, dato più alto della lega, in tali circostanze Carr sta lanciando il 66% di completi per 240 yard e 3 mete, schierandosi peraltro sotto il centro. Sinora, il regista ha effettuato 16 cosiddetti true dropback, quindi privi di finte o screen, ovvero un numero minore rispetto alle situazioni di handoff fasullo, un dato assolutamente pazzesco. Se i ricevitori sono più di due, le tracce tendono a portare via il safety da un lato del campo liberando un wide receiver uno contro uno, senza contare tutti quegli snap dove un rinvigorito Alvin Kamara esce dal backfield e ricorda a tutti di possedere ancora delle movenze in grado di disorientare chiunque, per quanto la sua meta di 57 yard a Dallas abbia vissuto della complicità di un reparto che ha messo una sola volta Carr sotto vera pressione. Tale efficienza è chiaramente d’ausilio per una difesa in grado di tenere sufficientemente bene – a parte qualche big play concesso ai Cowboys, la quale ha confezionato statistiche di tutto rispetto come i 7 sack e i 5 turnover provocati, in attesa di osservare il reparto all’opera contro una squadra più forte sulle corse rispetto ai due affrontati sinora, che mai hanno tra l’altro inciso vista la propensione dei Saints ad ammassare forti distacchi già nel primo tempo.

Come già spiegato, l’andamento stagionale non potrà essere sempre tale, ma se non altro a New Orleans è tornato il divertimento, e con esso le vittorie, a seguito di uno scorso campionato ibrido, concluso a quota 9-8, che alla fine non ha soddisfatto nessuno. Certo, l’attacco di Kubiak sarà analizzato in dettaglio, verranno studiate opportune contromisure, si tenterà in qualsiasi modo di limitare la produzione dei running back per provare a far tornare il reparto prevedibile, come lo era stato un anno fa, quand’era giunta la conferma che per mettere in difficoltà Carr serve farlo lanciare tanto. Per il momento, invece, i Saints sono una macchina meravigliosa, efficiente, produttiva, che pare aver effettuato i corretti aggiustamenti per tornare a breve nel giro che conta, e a fare parecchio rumore nei pressi dei mesi più freddi.

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