Mancano 43 secondi di gioco, il Super Bowl LVI è sul filo di lana. I Los Angeles Rams, per l’occasione padroni di casa, stanno difendendo un vantaggio di tre soli punti, cercando di contrastare un’avanzata che Joe Burrow pare rendere inesorabile a ogni snap giocato. Nonostante siano riusciti a giungere fino a metà campo, i Bengals sono però in difficoltà: Aaron Donald ha alzato il volume della radio nel momento più delicato della gara, i secondi trascorrono, arriva un quarto tentativo determinante, con una sola yard da prendere. La sua pressione è incontenibile, sembra un razzo in procinto di schiantarsi come un camion sull’obiettivo prefisso, Burrow non può fare altro che guardarsi attorno in tutta fretta e rimediare una soluzione di fortuna. Prova a lanciare verso il running back, ma nulla, il suo lancio cade a terra incompleto, e in quello stesso momento termina il sogno del primo Super Bowl di sempre per Cincinnati.

Si focalizza spesso un particolare momento, proprio come quello sopra descritto, per alimentare la propulsione di un particolare ciclo positivo, seguendo il concatenamento di ragionamenti che porta a pensare di poter tornare nel palcoscenico più prestigioso in breve tempo, e variare la narrativa. Mentre scendono i confetti, si pensa sempre a quel “we’ll be back” divenuto oramai simbolo di ogni sconfitta importante di una squadra futuribile. Dimenticandosi però che certi automatismi nella Nfl non costituiscono garanzia di corretto funzionamento, e spesso ci si ritrova a vedere una particolare compagine tentare disperatamente di ritornare a quel punto, quale logico progresso rispetto alla stagione precedente. Tuttavia, nel football, il logico sembra essere territorio esclusivo dei Chiefs, unica eccezione per una disciplina troppo complessa per essere assoggettata a previsioni certe, o garanzie che, una volta raggiunto un determinato punto del cammino, se ne possa predire un ulteriore avanzamento.

Tale lezione, in Ohio, la si conosce fin troppo bene. Per passare dal Super Bowl alla finale di Conference persa l’anno successivo, e giungere fino al 9-8 della più recente stagione, è sufficiente lo spazio di un infortunio al giocatore più importante del roster, che ha levato di scena quel carismatico quarterback dagli occhi di ghiaccio, prorompente nell’espressione della sicurezza nei propri mezzi. Lo scorso anno, per quanto siano stati lodevoli nel reggere la competizione schierando la riserva Jake Browning per comandare le operazioni – simbolo del grado di preparazione raggiunto da coach Zac Taylor – i Bengals si sono ritrovati fuori dai playoff, nonché destinatari di una preoccupante serie di quesiti, le cui numerose risposte andranno reperite in tempo per cominciare la prossima campagna.

Per quanto molti dei destini vadano a incrociare lo stato di salute di Cool Joe, se non altro perché la sua cronistoria medica comincia a farsi cospicua generando il solito pacchetto di dubbi riguardanti la possibile longevità su singola stagione, la prima parte della offseason di Cincinnati si è dovuta focalizzare essenzialmente sulla difesa, reparto che ha mostrato le maggiori lacune, rendendosi in grossa parte responsabile della mancata gita alla postseason in misura maggiore della forzata assenza del quarterback titolare. I Bengals hanno continuato a essere una compagine competente in attacco, ma troppo sottoposta alla concessione di giochi a lunga gittata, regalando un alto numero di yard ai running back avversari, individuando di conseguenza secondarie e linea difensiva quali urgenti aree di miglioramento, al fine di tornare a essere un’unità capace di generare resistenza e turnover.

L’organizzazione ha dunque agito perseguendo una tattica particolare, andando a prelevare giocatori che in passato avevano procurato forti mal di testa ai Bengals medesimi, guardando sia all’interno che all’esterno della propria division, una Afc North peraltro sempre molto fisica, nella quale il gioco di corse possiede ancora una rilevanza decisiva. Parte della precarietà difensiva è addebitabile a una coppia di safety del tutto nuova, priva di esperienza, la cui mancanza di comunicazione si è rivelata essere alla base delle scarse statistiche rimediate da Cincinnati in fase di concessione di azioni esplosive. Non è stato per nulla semplice, infatti, sostituire degnamente Jessie Bates III, che ha salutato la compagnia per trasferirsi ad Atlanta dopo il tag ricevuto due anni fa, in una dinamica che ha visto l’esordio a tempo pieno di Jordan Battle e l’impiego di Dax Hill – primo round 2022 – in una posizione che forse nemmeno è la sua, dato che le caratteristiche fisiche ne privilegerebbero un ritorno alla posizione di slot corner, ruolo che ricopriva nella maggior parte delle circostanze nell’esperienza collegiale a Michigan.

Con quest’ottica non è stato difficoltoso individuare in Geno Stone uno dei primi target da acquisire, in particolare dopo averlo subìto da avversario – suo l’intercetto che ha svoltato il confronto con Baltimore nella seconda settimana dello scorso torneo – detraendo nel contempo ai rivali Ravens un giocatore giovane, intelligente e portato per difendere molto bene in copertura, nonché reduce da un campionato terminato con 7 intercetti, proprio ciò che è mancato a Cincinnati. Il suo sarà un accordo biennale, esattamente come quello firmato da Sheldon Rankins, costato caro – 13 milioni all’anno – ma assolutamente necessario per creare pass rush dalla posizione di tackle, altro settore dove la difesa ha mostrato segni di sofferenza. Anche in questo caso il management ha deciso di prelevare uno dei giocatori che più di altri aveva fatto danni da avversario – 6 dei 29.5 sack di carriera sono giunti aggredendo proprio la linea offensiva di Cincy – inserendo nella rotazione interiore un pass rusher aggressivo, distruttivo se lasciato uno-contro-uno, accoppiandolo al rientrante B.J. Hill. Chiaro, Rankins ha 9 anni di esperienza e diversi infortuni importanti di cui tener conto, ragione per la quale potrà giocare un numero limitato di snap e trascorrere diversi momenti a rifiatare, ma il sistema praticato dal defensive coordinator Lou Anarumo gli consentirà di ritrovare importanza pure contro le corse, dato che la filosofia di Houston, squadra dove Rankins giocava nel 2023, vedeva il running back avversario come elemento secondario nelle attenzioni difensive. Tale aspetto, sarà rilevante per la sostituzione di D.J. Reader, che ha traslocato il suo corpaccione al servizio dei Detroit Lions.

La ristrutturazione del roster ha interessato – e interesserà – anche parte dell’attacco. Tiene infatti banco la situazione di Tee Higgins, da monitorare attentamente, anche se la richiesta di trade non dovrebbe preoccupare più di tanto, dato l’atteggiamento tutto sommato ferreo tenuto dalla franchigia per situazioni simili. Il ricevitore uscito quattro anni fa da Clemson non ha ricevuto alcuna offerta di rinnovo, comportamento probabilmente adottato visto il massimo di 805 snap offensivi giocati nell’anno da matricola, statistica mai più ripetuta in seguito nonostante due stagioni da oltre 1.000 yard, a causa di varie problematiche fisiche. Desta minor sorpresa la separazione da Joe Mixon, dapprima in odore di taglio e successivamente scambiato con i Texans, mossa i cui fondi del tè vanno interpretati sia da un punto di vista di gravami relativi al salary cap, che concernenti le problematiche vissute dal ragazzo fuori dal campo di gioco, un comportamento che Mixon ha tentato di aggiustare con il tempo, senza del tutto riuscirvi. L’emersione di Chase Brown da corridore di situazione dotato di forte velocità e fiuto per il big play, ha permesso inoltre ai Bengals di cominciare a guardare avanti, valutando di conseguenza Mixon come non più indispensabile, in un quadro che oggi vede Zach Moss – reduce da un’ottima stagione a Indianapolis – prenderne il posto a un prezzo assai più conveniente.

Si è lavorato anche in ottica tight end, un ruolo particolarmente prediletto – ma non troppo produttivo – tra le connessioni preferite da Burrow. L’arrivo di Mike Gesicki apporta un miglioramento statistico che potrebbe fare la differenza, nonché una duttilità tattica che metterà sicuramente il quarterback a suo agio. Tolto il pessimo anno scorso ai Patriots, Gesicki è infatti un giocatore da 52 ricezioni, 604 yard, 11.6 yard per pallone catturato e 4.5 touchdown a stagione, cifre medie registrate nel quadriennio trascorso a Miami; oltre a ciò, il suo essere così propenso alla ricezione e poco al blocco, consente uno schieramento che diventa sostanzialmente a quattro ricevitori anche quando il tight end è in campo, ovvero la disposizione preferita da Burrow, che può così effettuare lanci veloci e liberarsi dalla pressione sbilanciando l’assetto difensivo, metodo ideale per evitare l’accumulo di tutti quei sack che ne hanno minato l’efficienza fisica. Il draft porterà ulteriori risorse alla linea offensiva, migliorata rispetto a due anni fa ma sempre oggetto di ulteriori progressi, e ai due ruoli difensivi atti ad ampliare le rotazioni, con particolare attenzione a defensive tackle – serve assolutamente un giocatore di peso – e cornerback, infilandoci magari un wide receiver al secondo anno nell’ottica di perdere Higgins da qui ai prossimi dodici mesi.

Pur operando correttamente sulla carta, e potendo contare su un coaching staff eccellente nell’adattarsi a lavorare anche con la formazione rimaneggiata dalle assenze, le prospettive dei Bengals paiono estendersi fino a dove la presenza di Joe Burrow possa incidervi in maniera significativa, tentando un re-inserimento nel circolo delle squadre che possono mirare al Super Bowl. Il regista ha già dimostrato in passato di poter fare la differenza a piacimento, se risparmiato dai tremendi colpi della difesa, anche se il dubbio più evidente rimane quell’accumulo di infortuni, ormai divenuto un punto oscuro per predire con precisione il futuro della franchigia, con il timore che si possa ripetere quanto già occorso nel 2023. La stoffa? Quella c’è tutta e già si sa che è di alta sartoria.

 

 

 

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