Con la conclusione del Super Bowl e le tristi vicende di cronaca nera che hanno profondamente disturbato la parata dei bi-campioni Chiefs, si è ufficialmente conclusa la stagione 2023. Si apre quindi una pausa come sempre lunga, snervante, ma corredata dalle numerose attività di una offseason sulla carta entusiasmante al punto da far dimenticare la malinconia per la sete insaziabile di football giocato: franchise tag, free agency, trade, Draft, sono termini che terranno banco per i prossimi due mesi senza sosta alcuna, con le varie voci di corridoio a occupare gli spazi principali delle testate giornalistiche e dei profili social degli insider più informati della Lega, dando luogo a infinite ipotesi costruttive dei roster per il campionato venturo. L’occasione è propizia per valutare sotto nuova luce le squadre che non hanno avuto successo e comprendere a che punto sia il processo di ricostruzione che da tempo coinvolge alcune di queste. Tra esse spiccano senz’altro i Chicago Bears, padroni assoluti di quanto accadrà – per loro, e conseguentemente per gli altri – per via della detenzione di quella prima scelta che li pone a un bivio la quale direzione andrà decisa a stretto giro di tempo: saranno loro i protagonisti indiscussi di questa primavera, perché dalle loro decisioni operative coinvolgenti il ruolo più importante del football americano – il quarterback – avrà luogo un’interessante reazione a catena.

La franchigia della Windy City si troverà a scegliere il primo giocatore collegiale del 2024 in virtù dello scambio effettuato con Carolina dodici mesi fa, quando i Panthers decisero di effettuare la scalata per arrogarsi la matematica certezza di scegliere Bryce Young: nel mezzo della contropartita c’era l’attuale prima scelta di una squadra che si è rivelata essere la peggiore – e non di poco – di tutto lo scorso torneo, regalando dunque ai Bears una posizione di assoluto privilegio, come se portarsi a casa D.J. Moore all’interno della medesima operazione, non fosse già stato sufficiente. L’attenzione dell’intera NFL è oggi interamente catalizzata dalle ipotesi che avvolgono il destino di quella prima assoluta, ben conoscendo l’enorme importanza rivestita dal quarterback nelle economie di qualsiasi squadra punti al Vince Lombardi Trophy. Le carte provenienti dal mazzo della offseason saranno quindi distribuite da Ryan Poles, general manager di scuola Chiefs, il quale avrà certamente guardato il Super Bowl con grande curiosità: d’altro canto faceva parte del front office quando Kansas City decise di salire di diciassette posizioni per prendere quel ragazzino da Texas Tech, per il quale nessuno, all’epoca, poteva predire un destino oggi già arricchito da tre titoli; lo stesso che ha chirurgicamente eseguito l’ultimo drive del più recente Super Bowl alla perfezione, elevando il suo già eccellente gioco nel maggior momento di bisogno. Cosa serva per vincere il titolo, a Poles non lo si deve certo insegnare.

Partendo da questo presupposto, è chiaro che ogni decisione esecutiva del general manager – che qualche anno fa a Boston College proteggeva Matt Ryan – debba obbligatoriamente cominciare da Justin Fields. Vale a dire da colui che solamente tre anni fa era stato selezionato per diventare il simbolo del nuovo ciclo dei Bears, in un’era sempre più votata al regista atletico con spiccate doti di improvvisazione su corsa e contemporaneamente capace di lanciare in maniera precisa, una combinazione che l’ex-Ohio State non è mai completamente stato in grado di tradurre dal campo collegiale a quello professionistico. Magari lo sarà – il giocatore fatto e finito alla C.J. Stroud è l’eccezione, non certo la regola – ma Chicago non dispone del tempo necessario per attendere oltremodo l’arrivo di un franchise quarterback, e di certo non va sottovalutata la disponibilità di una classe di passatori primissimo livello, un elemento che fa gola, e che può stravolgere completamente il destino di una squadra. Fields è un giocatore elettrizzante – dato assolutamente oggettivo – ma oggi non completo, e di conseguenza (ora) non attrezzato per rendere una squadra consistentemente vincente. Possiede dei mezzi atletici fenomenali, in particolare quando le coperture non consentono il lancio e lui fa partire tutta l’energia della parte bassa del corpo, trasformandosi in un running back imprendibile, capace di confezionare giocate a lunga gittata come fosse l’esercizio più facile del mondo. Tuttavia, l’evoluzione come passatore puro non porta alla descrizione di un condottiero che possa far pensare troppo in grande, e tolte le scorribande a piedi, rimane il profilo di un regista che fatica moltissimo nel creare continuità offensiva, nell’inquadrare correttamente le sottili finestre che si aprono tra i linebacker e le secondarie, e il suo eccessivo affidamento alle capacità motorie ha spesso portato al deleterio accumulo di sack.

E’ un momento del tutto particolare per Fields, che proprio nella seconda parte dello scorso campionato pareva aver trovato una quadra, giocando in maniera discretamente efficiente, con i Bears ad accumulare vittorie grazie anche a una crescita difensiva esponenziale, ascoltando persino il suo nome acclamato dal pubblico di casa, un’emozione che l’aveva senz’altro aiutato a dimenticare tutte le frustrazioni vissute nei primi tre anni di carriera, infortuni compresi. Nulla di tutto ciò toglie l’idea che le azioni di Chicago non possano realmente decollare mantenendo la conformazione attuale, perché, a conti fatti, parliamo pur sempre del ruolo più importante del gioco. Il fatto che Fields, a livello professionistico, non sia la macchina offensiva vista nel biennio a Ohio State, pare un fatto oramai comprovato a tutto tondo: bene, anzi benissimo, le 1.143 yard percorse nel 2022 (solo il terzo quarterback ogni epoca a superare quota 1.000, dopo Vick e Jackson), le quali non compensano il mancato sviluppo degli istinti da passatore, con una percentuale di completi mai superiore al 61.4%, un accumulo di yards su lancio mai oltre le 2.600, 30 intercetti, 38 fumble e ben 135 sack al passivo, in una lega dove i colleghi viaggiano a livelli di rendimento nettamente superiori. I 40 passaggi da touchdown sinora completati in tre stagioni, pur conteggiando le assenze, corrispondono infatti alla sommatoria in singolo torneo di un qualsiasi quarterback di alto rango.

L’esposizione dei numeri suggerisce che non sia Fields il timoniere adatto a variare drasticamente i destini dei Bears, per quanto siano possibili quegli ulteriori margini di miglioramento intravisti, appunto, lo scorso inverno. Un cambio d’aria potrebbe rivelarsi la soluzione che accontenta entrambe le parti coinvolte, a maggior ragione se tenuto conto che Poles ha accumulato diverse cartucce dalla trade con i Panthers, e ancora potrebbe raccoglierne intavolando discorsi con tutte quelle franchigie in cerca di una soluzione a lungo termine nel ruolo, e che non possono permettersi di scegliere così in alto. In fondo, Se Sam Darnold due anni fa valeva una seconda e una quarta, non si capisce il motivo per cui Chicago non dovrebbe pretendere altrettanto, in particolare se il fabbisogno di quarterback è, come sempre, molto alto. Entrano quindi in gioco le voci che vorrebbero Fields diretto a Pittsburgh o Atlanta: la prima sembrerebbe aver mollato la presa sullo sviluppo di Kenny Pickett, addirittura meno efficiente di Mason Rudolph; la seconda ha perso il treno per i playoff proprio a causa della poca stabilità nella posizione, con Desmond Ridder e Taylor Heinecke senz’altro inadeguati a un contesto possibilmente vincente.

Dati alla mano, c’è assai poco in grado di far pensare che Poles possa passare sopra a uno dei talenti collegiali in uscita, per quanto la selezione di un quarterback alla prima assoluta sia tutt’altro che un assodato automatismo di successo. Se il problema dei Bears è il trovare con urgenza un playmaker, allora la chiamata di Caleb Williams dovrebbe ridursi a una semplice formalità. Il ragazzo possiede quell’innato talento nel manipolare la traiettoria dell’ovale, una caratteristica molto simile a quanto mostrato dal mago Mahomes in questi anni, facendo intravedere nell’esperienza a USC – al di là dei risultati di squadra dello scorso anno, nettamente sotto le attese – un potenziale in grado di aumentare a profusione la salivazione. Williams si è infatti distinto come passer in grado di flettere adeguatamente il torso per lanciare anche fuori equilibrio e giungere ugualmente al bersaglio, è preciso tanto nel corto quanto nel medio-lungo raggio d’azione, sa vedere il campo e valutare le opzioni disponibili. Non è allo stesso livello atletico di Fields, gli serve un pò di lavoro sulle meccaniche nel dropback, ne vanno limitati gli istinti che a volte lo portano a fare troppo e conseguentemente a sbagliare la decisione, ma sembra un giocatore più pronto di quanto non lo fosse Fields a suo tempo: se la valutazione odierna si basa sulla capacità di poter lanciare in maniera pulita con qualsiasi angolo d’azione – una cosuccia che il numero 15 tri-campione di Lega esegue tutto sommato bene – allora Williams non può che essere l’uomo adatto per tentare di risollevare le sorti offensive di Chicago. Se aggiunta la presenza nello staff di un autentico insegnante come Shane Waldron – il nuovo offensive coordinator – uno che sul curriculum vitae riporta il miglior anno statistico di Jared Goff ai Rams (2018) e la recente resurrezione di Geno Smith a Seattle, il ragazzo potrebbe davvero essere in ottime mani, pensando soprattutto all’attitudine che il coordinatore porta in sé, quella di adattarsi allo stile di gioco del quarterback con cui lavora, senza pretendere di imporgli un sistema predefinito.

Attendiamo con entusiasmo, dunque, lo sviluppo delle numerose valutazioni che Ryan Poles dovrà eseguire per una delle franchigie più gettonate nell’eseguire un salto qualitativo che possa tornare a meglio rappresentare una tradizione la quale necessita di tornare a essere vincente. Con uno staff in larga parte nuovo – oltre a Waldron, è arrivato anche Eric Washington a dirigere la progredita difesa, che ha vissuto un 2023 positivo grazie agli ottimi innesti nel back seven – e la prospettiva quasi certa dell’addizione di un regista di gran talento (non fosse Williams, ci sarebbe comunque Drake Maye, ma la tendenza attuale viaggia sicuramente verso il primo), vi sono tutti i presupposti per tentare di stabilire la squadra nei piani più importanti della NFC.

Un processo decisionale intrigante, senz’altro più che sufficiente per tenere viva l’attenzione anche in un momento dove l’assenza di azione agonistica, nonostante i pochi giorni trascorsi dal Super Bowl, è già difficile da gestire.

 

One thought on “Chicago Bears, i padroni dei destini di questa offseason

  1. A questo punto mi permetto di sollecitare un (ma anche più di uno!) NFL mock draft 2024 targato Playitusa da qui al 25 aprile! :) :)

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