A volte non basta una vita per compiere le imprese più grandi, per raggiungere i traguardi più impossibili e vincere le sfide più ardue. A Patrick Mahomes, invece, grazie alla vittoria di domenica a Las Vegas, sono bastati meno di 29 anni per vincere 3 Super Bowl, ottenendo in tutti e 3 i casi il premio di MVP della partita e rendendo la sua storia ormai definitivamente già tradizione e leggenda di questo sport, ove mai vi fosse ancora bisogno di ulteriori conferme. Probabilmente questo Super Bowl non ha rappresentato la miglior prestazione in assoluto dell‘ex Texas Tech da quando è a Kansas City, complice soprattutto una prima frazione di gioco in grande difficoltà, ma io credo che il premio di “most valuable player” sia comunque giusto e che la sua presenza sia stato il fattore determinante di questa partita e della conquista del Lombardi Trophy da parte dei Chiefs. In generale, la pratica comune vigente è quella di premiare il QB della squadra vincitrice come il miglior giocatore in campo; ciò accade soprattutto nei casi in cui si vinca grazie ad una grande prova di squadra e nessun giocatore traini realmente il gruppo verso il successo, ma non è questo il caso.
Se non fosse stato per il cambio di passo effettuato dall’attacco nel secondo tempo e per il meraviglioso drive finale della partita (chiuso dal touchdown ricevuto da Hardman) entrambi guidati egregiamente dal QB con il numero 15, a quest’ora il trofeo del Super Bowl si troverebbe già in California. Le 210 passing yards e 59 rushing yards ottenute dopo l’halftime, sfociate nei 19 punti segnati negli ultimi 4 drive offensivi giocati, sono i numeri che ci indicano come il cambio di rotta effettuato da Mahomes e compagni tra il primo e il secondo tempo sia stato l’evento fondamentale di questa partita, oltre all’apporto costante della difesa, che ha permesso all’attacco di non trovarsi con un parziale troppo ampio da rimontare.
La prima parte della gara è stata influenzata dalla costante pressione della defensive line di San Francisco che, nonostante sia stata effettuata con soli 4 difensori, è risultata comunque tremendamente efficace. Nella seconda invece, il quarterback dei Chiefs ha ovviato alla pressione usando maggiormente le sue gambe, andando in scrambling o eseguendo un paio di designed run, in cui la finta di handoff su Pacheco è riuscita a spostare l’attenzione di Bosa, indirizzandolo verso il running back e liberando lo spazio per il numero 15 di Kansas City (su tutte quella con cui è stato convertito il 4 and 1 durante l’overtime). Oltre a ciò, sicuramente accelerare il tempo di rilascio e coinvolgere maggiormente Kelce (spostato da coach Reid verso le corsie esterne dopo una prima metà di gioco anche per lui opaca e nervosa) è servito a rendere la manovra offensiva più fluida ed efficace, recuperando così l’inizio lento e portando a termine il terzo comeback, visto che anche i due precedenti Super Bowl sono stati ottenuti rimontando lo svantaggio iniziale.
La partita di Mahomes, come già detto, è stata sicuramente arricchita dalla capacità di portare a termine quel meraviglioso drive finale nel tempo supplementare, chiudendo definitivamente la lunga e tirata partita e dimostrando come sempre la sua freddezza nel momento cruciale. Il drive, chiuso da una ricezione di Hardman nella end zone avversaria, è stato arricchito dalla già citata conversione del 4° down e da un blitz battuto perfettamente grazie ad un lancio nelle mani del ricevitore Rashee Rice su un 3° down. La ricezione valevole per la partita dell’ex Jets è stata ottenuta grazie ad una motion pre-snap verso l’interno seguita da una traccia esterna, persa dai due difensori concentrati proprio sui movimenti del QB, dal suo scrambling e dalla sua pericolosa capacità di correre, dimostrata ampiamente nel corso del match. Appurati i meriti di Mahomes durante la partita, penso che questa cavalcata sia stata in assoluto la sua più grande impresa da quando gioca nella NFL, in quanto la vittoria è arrivata dopo una corsa in cui Kansas City ha sconfitto squadre più talentuose e attrezzate (San Francisco inclusa), facendosi trasportare dal talento, dall’estro e dalla lucidità del suo quarterback.
Durante la regular season abbiamo avuto modo di constatare i limiti tecnici di questo attacco, che ha guidato la lega in drop sui lanci e che, rispetto agli altri anni, sembrava sicuramente aver accusato le perdite subite. Ai playoff, invece, oltre all’apporto della difesa e del suo coordinator Steve Spagnuolo, senza il quale comunque questo successo non sarebbe mai arrivato, il quarterback ha saputo sovvertire pronostici e statistiche, facendomi sentire personalmente in difetto per aver immaginato una sua sconfitta. Come lui stesso ha detto, infatti, i Chiefs non sono mai sfavoriti. Questa dinastia ha qualcosa di speciale, più dei titoli o di questioni tecniche.
Kelce e Mahomes non sono solo due grandi giocatori di football, ma due celebrità alla ribalta, al centro dell’attenzione grazie a serie tv, gossip e clip sui social, che li hanno resi a mio avviso il volto della NFL in questo momento e che mi ricordano altri grandi protagonisti delle dinastie degli sport a stelle e strisce, al centro dell’attenzione non più solo per le giocate in campo, ma anche per quello che avviene fuori (basti pensare al clamore che la relazione tra il tight end e la cantante Taylor Swift sta esercitando). Non credo serva scomodare nomi altisonanti della storia di questo sport con paragoni e classifiche varie, anche perché molti di loro, vista la mia età, non ho avuto la fortuna di vederli giocare e non so se quello di domenica sia stato un ulteriore tassello che porterà Mahomes ad essere il più grande quarterback di sempre.
Quello che so è che questa è assolutamente la sua era e noi, in quanto testimoni della sua grandezza, siamo fortunati a viverla. Nonostante la squadra fosse sulla carta più scarsa delle altre potenze della lega, Mahomes è riuscito egualmente ad aggiudicarsi l’anello e adesso è veramente come dice lui: i Chiefs sono sempre i favoriti!
Forse era così anche prima di domenica e a sbagliare eravamo noi a reputarlo sfavorito, io in primis.
Scusaci Patrick!
Studente universitario, appassionato di football americano e, più in generale, degli sport a stelle e strisce.
Tifoso delle franchigie di Chicago dopo aver vissuto qualche mese nella Windy City, qualora ve lo stiate domandando, tra Cubs e White Sox tifo per i Southsiders.
Da qualche anno ho lasciato la Boxe con la speranza di diventare il nuovo Michael Jordan o, nel peggiore dei casi, il nuovo Walter Payton.
Io non ricordo un MVP più tecnicamente meritato di questo. Voglio dire: il miglior giocatore (e per distacco) della squadra vincitrice che negli ultimi 30 minuti di gioco ha messo a segno personalmente TUTTE le giocate decisive dell’attacco (non può giocare pure in difesa) e se è un quarterback, pazienza.
58 Superbowl, 28 NON quarterback hanno vinto il premio. Sono rimasti fuori a volte tizi come Roethlisberger, Peyton Manning, Wilson e lo stesso Brady (il quale a volte invece…). Persino Montana!
Certo, la difesa di Kansas City è stata eccezionale (come quella di San Francisco, in testa fino a 10 secondi dalla fine: l’hanno persa gli special team) ma nessuno ha brillato sugli altri (Spagnuolo -la mente- non era premiabile).
Mahomes è uno dei pochi – pochissimi – giocatori NFL che si merita lo stipendio fino all’ultimo dollaro. E’ ovvio come senza il resto della squadra (e del coaching staff) non avrebbe potuto raggiungere i traguardi già conquistati, ma è nella natura del gioco.
MVP semplicemente perché essendoci lui in campo c era il terrore e la sicurezza che qualcosa potesse accadere, che la potesse sempre rimontare. Che se gli lasci l ultimo drive sai già come va a finire. Brady sensation style