Nelle scorse settimane abbiamo analizzato le sconfitte dolorose, brucianti, di Baltimore e Detroit, giunte a un passo dall’agognato Super Bowl solo per vedersi negare il sogno della partecipazione, lasciando le prospettive stagionali in frantumi, cocci da raccogliere per tutta la durata della offseason. Nessuna delle sensazioni descritte in quegli articoli riteniamo tuttavia possano anche solo avvicinarsi al grado di delusione provato in queste ore a San Francisco, una franchigia tradizionalmente vincente che non riesce ad alzare un Vince Lombardi Trophy da ben 29 primavere, ossia dai tempi di Steve Young, Jerry Rice, George Seifert. L’iconica foto di Young intento a tenersi stretto quel trofeo così a lungo inseguito e raggiunto in quella magica e dominante serata vissuta al Joe Robbie Stadium di Miami contro gli allora San Diego Chargers, è tutto ciò che resta oggi da ricordare di una consuetudine eccellente, la quale nei tempi recenti si è sempre arenata a pochissimi metri – o a centimetri, dato il più recente epilogo – dal traguardo.

Kyle Shanahan, diretto discendente di quel Mike che molto ebbe a che fare con quelle prestigiose vittorie in rosso e oro, sta in qualche modo vivendo un’esperienza simile a quella di Jim Harbaugh, suo predecessore nel portare San Francisco al raggiungimento minimo del NFC Championship, obiettivo colto per tre stagioni consecutive con l’apice della finalissima disputata contro Baltimore nel febbraio del 2013, persa all’ultima azione di gioco – coincidenza molto più che sinistra – nonostante fossero solo cinque le yard a separare i Niners dall’esalazione del tanto atteso sospiro di sollievo. Quella sensazione di così vicino porta con sé delle inevitabili similitudini nei confronti dell’esperienza attuale, salvo la differenza insita nel fatto che Harbaugh aveva lasciato San Francisco in una situazione di apice, decidendo di affrontare l’esperienza collegiale a Michigan poi conclusa con successo lo scorso gennaio, prima di fare rientro tra i professionisti firmando – guarda caso – con gli stessi Chargers che rievocano quegli ultimi momenti adornati di gloria.

Shanahan ha infatti condotto la franchigia alla disputa di quattro Championship (2-2 il bilancio compilato) e due Super Bowl, entrambi persi contro l’intrigante ombra di Andy Reid, un personaggio che in passato ha curiosamente condiviso l’etichetta che Shanahan sta disperatamente cercando di scrollarsi di dosso: the best coach to never win a Super Bowl. Si deve soffrire per giungere in alto, per carità, se poi sia necessario soffrire in quel modo e così tanto, quello è un altro discorso. Se possa essere un passaggio obbligato per trasformare la carriera alla stregua del baffo di Kansas City, allora i Niners attendono un segno, perché allora ne sarà valsa la pena. Ora come ora restano i fatti già scritti nei libri di storia, i quali riconducono alla stretta attualità, tracciando connessioni non proprio piacevoli da riesumare. Negli ultimi quindici giorni non si è fatto altro che leggere cenni al fatto che Shanahan fosse l’offensive coordinator di quegli Atlanta Falcons i cui numeri 28 e 3 provocano ancora incubi irrisolvibili, e di come fosse a capo delle operazioni quando San Francisco dovette inchinarsi per la prima volta a Re Mahomes, dopo aver giocato una partita esemplare per tre quarti e mezzo, solo per vedersi sfilare il trofeo dai guanti a seguito della furiosa rimonta con sorpasso di quei favolosi Chiefs di perfetto assetto offensivo.

Domenica notte è andata anche peggio, in quanto i 49ers hanno ancora una volta goduto dell’occasione per portarsi a casa il bottino intero, assaporando il possibile gusto della vittoria: l’hanno sfruttata male, alcuni particolari episodi non hanno deposto a favore – quante volte accade un infortunio come quello occorso al fondamentale Dre Greenlaw, con il tallone d’Achille a cedere al momento del rientro in campo? – e gli errori di esecuzione hanno provocato un peso poco sostenibile nel riuscire a tenere in equilibrio l’inerzia complessiva di una gara dove i californiani non hanno assolutamente demeritato. L’unico neo? Avrebbero dovuto e potuto chiuderla prima, nel primo tempo, quando l’asse Mahomes-Kelce era semplicemente un disegno sbiadito grazie alle ottime marcature messe in atto dal coordinator Steve Wilks, quando Christian McCaffrey – fumble iniziale a parte – aveva trovato spazi costanti e portato a spasso potenziali placcatori con voglia ed entusiasmo dando il là ad una prestazione da 160 yard complessive, quando il signorino Purdy, per nulla intimidito dal palcoscenico più grande mai calcato nella sua esistenza, centrava sistematicamente le mani dei ricevitori, o quando a farlo ci pensava semplicemente Jauan Jennings, che ai tempi della High School era uno dei migliori quindici quarterback del ranking nazionale, salvo poi approdare in NFL da wide receiver, eseguendo uno dei trick play più memorabili della storia della finale, davanti agli occhi sbigottiti di uno navigato come Steve Spagnuolo.

Il dominio era stato evidente nei primi trenta minuti, il conteggio delle yard impietoso, il cronometro gestito alla perfezione, vi era stato solo un piccolo sussulto a ridosso dell’halftime show, per tre punticini che non davano l’idea di quanta fosse stata la differenza vista in campo fino a quell’istante, con l’aggravante, tuttavia, di aver registrato a referto solamente dieci punti. Si sa, l’esperienza a questi livelli è tutto, e Shanahan sapeva benissimo che prima o poi il gigante dormiente si sarebbe eretto in piedi cominciando a mettere a punto i noti meccanismi, se non altro perché la ferocia agonistica di Mahomes è sempre somigliata a quella di Tom Brady, Michael Jordan, Kobe Bryant, paragoni tutti che, con tre anelli a nemmeno trent’anni, possiamo scomodare senza timore reverenziale alcuno. Funge inoltre da aggravante quel non approfittare di un poco usuale intercetto di Patrick per aprire la ripresa, e qui sì una certa qual colpevolezza ai Niners la sia può addossare, per come l’attacco ha vanificato l’enorme prestazione difensiva, producendo 3 yard per quasi tutto lo svolgimento del terzo periodo. Senza dimenticare il pasticcio di Ray-Ray McCloud in quella sgraziata azione di punt return, che nell’azione successiva ha rimesso immediatamente in rialzo le quotazioni di una Kansas City letale nel punire gli errori degli altri, o l’extra point mancato dal comunque ottimo Jake Moody, matricola in ogni caso in grado di dimostrare freddezza sotto pressione.

Per moltissime ragioni, questa tipologia di epilogo è più affliggente delle precedenti. La prima volta che accade – Buffalo Bills versione anni Novanta docet – si pensa sempre che ci sarà un nuovo anno, un nuovo tentativo di scalata, e ci si potrà riprovare. Ma il football non è una disciplina fatta di continuità, nessun roster di 53 giocatori è uguale all’anno precedente, sussistono decine di casistiche d’infortuni, c’è la free agency, vi sono giocatori che invecchiano prima che non in altri sport, c’è il salary cap con tutta la sua complessità contabile, le matricole, i nuovi allenatori e coordinatori, altre idee, altri schemi. I 49ers non sono gli stessi che persero contro i medesimi Chiefs al termine del campionato 2019, che vennero sconfitti in due Championship consecutivi per un intercetto di Jimmy Garoppolo contro i Rams, e per il gomito andato di Brock Purdy nell’impietosa partita che promosse gli Eagles.

Si pensava che l’attuale edizione di squadra necessitasse solamente di semplici ritocchi per compiere il gradino conclusivo verso la vetta, e per lunghi tratti di regular season l’idea è risultata assolutamente coerente. Nell’ottobre del 2022 era giunta la maxi-trade per Christian McCaffrey, con l’intento di sacrificare quattro scelte in cambio di un talento unico nel suo genere in un ruolo determinante per il sistema di Shanahan, in precedenza falcidiato dai continui infortuni dei suoi assegnatari. Stesso discorso per la più recente addizione di Javon Hargrave, con 40 milioni di contratto, per fungere da stantuffo nel mezzo della linea difensiva, e rendere il fronte ancora più carico di protagonisti di rilevante impatto. Charvarius Ward aveva portato quel pedigree da campione a seguito del titolo vinto proprio con Kansas City, divenendo un interprete fondamentale per la difesa aerea. Aggiungiamoci Bosa, Samuel, Kittle, Aiyuk, Williams, Greenlaw, Warner. I Niners erano attrezzati in ogni singolo settore – con la possibile eccezione del lato destro della linea offensiva – per eccellere. Avevano dato l’impressione di poter dominare, al di là della mini-striscia negativa sopraggiunta nelle ultime due settimane di ottobre, della netta sconfitta contro i Ravens, segnando quasi 500 punti in regular season e ritrovandosi a vincere nei playoff pur dovendo recuperare situazioni di svantaggio, modalità non certo pertinente alla tipologia costruttiva di un team abituato a staccare l’avversario da subito, per poi gestire il corso della gara.

Il fattore di scoraggiamento è proprio rappresentato dalla presenza di questo nutrito agglomerato di superstar. Se non hanno vinto con questo roster, quando mai potranno riuscirvi? E’ un quesito durissimo a cui rispondere, ed è chiaro che la componente emotiva sarà determinante nell’impostare quel senso di rivalsa con cui certamente San Francisco affronterà il 2024, in cerca di vendetta, di cancellare delusioni che si stanno pericolosamente impilando una sopra l’altra danneggiando psiche e morale – quello di domenica è stato il terzo Super Bowl perso nella storia della franchigia, dopo che la stessa aveva vinto i primi cinque. Il problema è, rimane, e rimarrà, la presenza di quello là con il 15. Il che significa accettare di correre il rischio di vedersi rovinare una possibile propria dinastia come successe a Dan Marino negli anni Ottanta rimanendo a bocca asciutta – e a San Francisco ne sanno qualcosa – o di divenire delle novelle New Orleans o Green Bay, che per anni hanno tentato di far tornare Brees e Rodgers alla finalissima senza mai riuscirvi. Con la sostanziale differenza che loro, un titolo, l’avevano già vinto.

Servirà d’esperienza, come tutto nella vita, ma resta una sconfitta cocente, ricca di se e ma. Quel terzo tentativo con quattro yard da prendere dentro le ultime 20 yard, che se trasformato avrebbe drasticamente aumentato le possibilità di vittoria anziché accontentarsi del calcio del provvisorio vantaggio in overtime, viaggerà nella mente dei Niners come il peggiore degli incubi. D’altro canto, se Steve Spagnuolo ha vinto più Super Bowl da coordinatore proprio grazie a quel tipo di blitz creativo, un motivo solido c’è sicuramente. C’è chi dà la colpa alla linea, che non ha saputo tenere il solito e decisivo Chris Jones nei momenti salienti, chi sostiene che Purdy non sia un playmaker sufficiente a fare la differenza a certi livelli e che chiunque sarebbe in grado di condurre un reparto offensivo del genere, chi punta il dito contro la linea difensiva, la cui risonanza dei nomi – con l’eccezione del sommo Nick Bosa, che più di dieci pressioni non poteva certo portare – non è stata all’altezza della fama raccolta.

Vi sono pochi dubbi, pur con tutte le variabili del caso, che i 49ers possiedano tutta la documentazione in regola per ritentarci, per quanto la finestrella sia diventata piccina. Non perderanno certo il talento dall’oggi al domani. Per i brutti sogni, per i fantasmi, per i sortilegi, l’unica cura è vincere. Il successo cancella i fallimenti del passato, basta guardare com’è considerato oggi Andy Reid rispetto ai tempi di Philadelphia. E se c’è un allenatore che più degli altri non merita di essere ricordato per le partite che ha perso, questi è proprio Kyle Shanahan, se non altro per il ciclo qualitativo che ha saputo erigere, per l’innovazione schematica offensiva che molti concorrenti tentano di copiare, per la stabilità che lui e Lynch hanno donato alla squadra con tutto l’intento di restaurare la sua tradizione storica.

L’augurio, per tutto il sentimento di giustizia poetica che si può arrivare a provare per loro, è che prima o poi salgano di nuovo sul tetto di quel mondo che Joe Montana e Steve Young hanno già osservato dal punto più sommo. E se a guardare da quella posizione ci fosse l’ultima selezione del Draft 2022, tanto meglio.

 

 

9 thoughts on “Una nuova notte da incubo a San Francisco

  1. Tutto giusto, non ho ancora smaltito la delusione… Forse gli schemi d’attacco dei 49ers erano un po’ limitati e prevedibili forse quei 2 minuti finali si sarebbero potuti gestire meglio!!! Anche la sfortuna(vedi punt) ci ha messo del suo, però durante la partita mi sono accorto spesso che la difesa de Kansas city era più furba(piccole trattenute che però impedivano sempre a Bosa e Company di arrivare sul QB).Ci rifaremo…🤞

  2. Sembra che Moody e McCloud abbiano ricevuto una valanga di mazzi di fiori provenienti dal Missouri. Sui bigliettini d’accompagnamento: “Grazie per il punto” e “Grazie per i 7 punti”.

    • Sul tendine d’Achille di Greenlaw, sai cosa c’era scritto? Mi piacerebbe proprio saperlo. È senno di poi, ma con lui in campo, forse, l’ultimo TD non sarebbe avvenuto così liscio, o non sarebbe avvenuto proprio. In quel caso i bigliettini, i tifosi di KC, li avrebbero usati per altro…… 🤣, 🤬

      • Greenlaw comunque non giocava negli special teams degli 8 punti regalati, sicchè…

  3. Abbiamo fatto 29, speriamo che almeno entro i 31 si porti a casa questo maledetto 6° anello. Certo che le “dinastie” sono sempre e solo avvenute con il connubio HC e QB, dove quest’ultimo era (ed è) un talento cristallino. Noi Niners stiamo ancora pagando quel maledetto Draft in cui scelsero Alex Smith anziché l’omeopatico Aaron. Da quel momento abbiamo avuto solo degli Smith com QB, nessun talento vero. Purdy è della stessa pasta, o Shanahan riuscirà a modellare un QB infallibile o il talento non si acquista solo con l’allenamento.
    Spero che Wilks lasci e che arrivi un DC al livello di Demeco Ryans. Altrimenti tutto il talento in difesa andrà sprecato.
    See you sono. Go Niners

    • Una partita non fa primavera, ma stavolta Wilks ci aveva preso. Non sto dicendo che con una sola partita, peraltro persa, lui si sia redento: confido piuttosto che là dentro sapranno valutare se Wilks l’anno prossimo possa essere quello dei Lions o quello dei Chiefs, per fare un esempio. Secondo me in questa offseason dovranno fare diverse riflessioni e prendere diverse decisioni. non lo so, ma nemmeno Shanahan mi sembra del tutto esente da ombre.

      Sul QB, metti il dito in una piaga ancora aperta. Scegliere Smith invece di Rodgers fece sorridere, mentre fecero proprio ridere i motivi addetti per quella stramba decisione.

      • Giusto per rincarare la dose sulla follia che pervade la nostra dirigenza quando si parla di QB, si può anche aggiungere che l’anno in cui c’erano mahomes e watson al draft noi avevamo la terza scelta e abbiamo preso un difensore perchè un QB non ci interessava, salvo poi fare la trade per Garoppolo a settembre dello stesso anno, come si fa a non inc… arrabiarsi?!? :-)

  4. Non erano i Chiefs imbattibili e si è visto in stagione. I 49ers sono imbottiti di talento e avranno un altra occasione. Ma dovranno assolutamente sfruttarla entro un paio di stagioni perché la division gli darà in prospettiva parecchio filo da torcere. L’anno buono, quello dove tutte le parti combaciano, comunque era questo….

  5. Confermo tutto giusto a parte il prendersela con la linea difensiva da parte di noi so chi.
    Bosa era incollato ad ogni snap a Mahomes, soprattutto nel primo tempo, Young ha portato due sack (in uno si sono accontentati della flag), se l attacco non produce il distacco non è colpa della difesa, che non poteva durare a quei ritmi all infinito e più che altro contro Mahomes.
    All overtime sono tra quelli che subito ha pensato di giocarsela, non fosse altro per la posizione di campo e anche perché si vedeva benissimo che Mahomes un field goal lo avrebbe preso facilmente. Non dategli palla.
    Non solo la moneta ma anche quella flag a inizio drive ti aveva portato avanti, per me è uno spreco di San Francisco al 90% questo Superbowl.

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