Underdog, termine amato dai media sportivi e non americani, esprime in maniera molto più poetica e accattivante il concetto di sfavorito.
Ciò che rende un underdog tale sono tutti i numeri, i dati, le statistiche e i pronostici che precedono una partita, fornendo analiticamente le etichette di favorito e sfavorito.

Il bello dello sport, però, è che il giudizio del campo è libero da qualsiasi condizionamento di questo tipo, i suoi verdetti, infatti, non tengono minimante conto delle etichette e anzi, i verdetti più emozionanti, sono proprio quelli in cui l’ordine prestabilito da numeri e analisi viene sovvertito.

È il caso dell’impresa di Green Bay, che domenica sera è andata a vincere da 7° seed a Dallas, battendo una corazzata come i Cowboys, ribaltando qualsiasi pronostico e, almeno dal mio umile punto di vista, giocando una partita praticamente perfetta e regalandoci una delle emozioni più forti di questa stagione.

Entrambe le squadre si presentavano al match cavalcando un ottimo periodo di forma. I padroni di casa, infatti, dopo la bye week avevano decisamente registrato una serie di migliorie offensive, su tutte le motion pre snap continue e il maggior coinvolgimento del ricevitore CeeDee Lamb, che hanno reso il reparto uno dei più efficienti della lega.

A testimoniarlo vi sono i numeri di Prescott: 36 i touchdown lanciati (primo nella lega in questa statistica) e soli 9 gli intercetti concessi (nulla a che vedere rispetto alla passata stagione, in cui il QB della squadra texana guidava questa classifica in negativo).

Anche gli ospiti, nonostante le difficoltà iniziali di Love alla sua prima vera stagione da starting QB, sono giunti ai playoff chiudendo la regular season in grande spolvero, vincendo 6 delle ultime 8. In particolare, colui che sembra essere cresciuto maggiormente con l’avvicinarsi del finale di stagione, è proprio Love, il quale chiude la regular season solo dietro al già citato Prescott per TD lanciati.

A mio avviso, la componente più importante della partita, in particolare del decisivo primo tempo chiuso a favore degli ospiti per 27 a 7, è stata il running game dei vincitori, capace di allungare notevolmente il tempo dei propri drive offensivi e aprire gli spazi necessari per sfruttare la play action.

Il piano tattico di Matt LaFleur è apparso da subito molto chiaro, cavalcando in lungo e in largo Aaron Jones, che chiude la partita complessivamente con 118 yards corse, 3 touchdown e una media di 5,6 yards per portata, portando nella prima e decisamente dominata metà di gioco il time of possession a favore della squadra del Wisconsin, lasciando per molto tempo Prescott sulla sideline e levando un po’ di
pressione dalle mani di Love.

Oltre a fare tutto ciò, l’efficiente gioco di corse di Green Bay ha, soprattutto, messo in condizione Love di servirsi al meglio della playaction, arma con cui ha punito più volte la difesa di casa.

Esemplificativo di ciò che dico, sono i primi due drive del secondo tempo dei Packers: nel primo, chiuso dal rushing TD di Jones, l’attacco guadagna terreno grazie ad una finta di corsa seguita da una big play lanciata su Dobbs (autentico mattatore della secondaria texana grazie alle 151 yards ricevute); nel secondo, proprio da un’altra finta di corsa seguita da un lancio, arriva la recezione del Tigh End Musgrave
che vale 7 punti sul tabellone.

Oltre all’esecuzione perfetta del disegno tattico del suo head coach, la meravigliosa partita di Jordan Love, chiusa con 272 yards lanciati e 3 touchdown, è arricchita dalla sua incredibile capacità di leggere il gioco, battendo costantemente blitz avversari o, addirittura, correggendo l’attacco con eventuali accorgimenti direttamente sulla linea di scrimmage, una volta studiato il posizionamento della difesa avversaria.

Oltre a ciò, vi è da evidenziare la capacità del QB ex Utah state di lanciare da posizione poco consone, spesso non sembrando neanche in perfetto equilibrio. In generale, la prova di maturità offerta da questo giocatore, ci deve secondo me far riflettere sulla funzionalità del suo percorso.

Ad oggi molti rookie quarterback, visti sicuramente i vantaggi del salary cap offerti nel farlo, vengono designati sin dal momento della scelta al draft come titolari, sperimentando il passaggio dal mondo del college a quello della NFL sul campo e crescendo già con il peso del reparto offensivo sulle proprie spalle.

Sarei folle a dire che questo approccio non funziona, basti pensare ai risultati ottenuti da CJ Stroud al suo primo anno o a tutti i QB che durante il loro rookie contract hanno portato la propria squadra ai playoff e oltre, ma ciò non significa che per tutti i talenti messo in campo dal primo giorno il percorso sia ogni volta lineare o, soprattutto, di successo.

Jordan Love, a differenza di molti suoi colleghi, nei suoi primi anni nella lega, ha giocato pochissimo, avendo, però, un posto sicuro dove crescere: ovvero l’ombra di un futuro hall of famer come Rodgers.

Il risultato? Love sembra molto più maturo di suoi colleghi che hanno molti più gettoni da titolare e quindi su carta più esperienza.

A questo punto, non dico che ogni giocatore debba necessariamente fare apprendistato alle spalle di un altro quarterback, anche perché non tutti dispongono di una leggenda come Aaron Rodgers per farlo e non tutte le matricole necessitano di tale percorso ma, ripensando ad alcuni talenti della lega mai sbocciati o ad altri che faticano a portare a termine il loro processo di maturazione, mi chiedo se la strada intrapresa da Green Bay non possa rappresentare un diverso tipo di modello da cui attingere.

Ritornando alla partita e alle emozioni dei play off, se è vero che l’attacco dei Packers è stato formidabile, il merito del successo va comunque attribuito anche alla difesa, capace di intercettare 2 volte Prescott, rallentare la sua connessione con Lamb e neutralizzare il run game di Pollard. Emblema di ciò è il linebacker Walker che, per capacità di lettura del gioco avversario tramite intuito e lucidità, è stato sicuramente una delle cause delle sole 56 yards corse da Pollard.

Oltre a ciò, vi è da evidenziare anche il lavoro fatto proprio su Lamb, in un accoppiamento che sembrerebbe un vero mismatch e che invece ha pagato al defensive coordinator Barry i dividendi sperati, forzando diversi incompleti e dunque rendendo Walker tra i protagonisti dell’impresa.

L’eredità di questa serata non è solo l’aver assistito alla meritata vittoria di un underdog in trasferta, ma anche la frustrazione di una grande squadra che, ancora una volta, abbandona i playoff anzitempo.

Sicuramente ci sono delle aspettative elevate che condizionano questo gruppo, sicuramente per una squadra che è sopranominata “America’s team” le pressioni sono più elevate, ma, proprio per questo motivo, i risultati ottenuti non possono essere ritenuti soddisfacenti, dunque, il rischio di nuovi cambi interni c’è, ma sono discorsi che non riguardano il campo, quindi per ora possono aspettare.

Molto più attuale è, invece, è il futuro prossimo dei Packers, che si scontreranno contro i 49ers il prossimo fine settimana e che mi hanno già smentito lo scorso fine settimana, dopo che nella consueta chiamata pre-playoff con il mio ex padrone di casa a Chicago avevo pronosticato i Cowboys come una delle due contendenti del Super Bowl di Las Vegas.

A mia discolpa c’è da dire che i playoff della NFL sono imprevedibili, emozionanti, ricchi di colpi di scena, 60 minuti di football in cui tutto può succedere, non a caso questo è il periodo più bello dell’anno: godiamocelo!!

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.