Risposta sintetica: no.
Quella di Herschel Walker resta – e probabilmente sempre resterà – imbattibile per il semplice fatto che non solo Minnesota non abbia ottenuto ciò che desiderava, ma che il loro sacrificio abbia reso possibile la nascita della dinastia dei Dallas Cowboys.
Seattle, fino a prova contraria, con le scelte dei Broncos non ha costruito una dinastia, anche se immagino abbiano il tempo per farlo. Dubito che succederà, ma questo è un altro discorso.

Denver ha sacrificato Noah Fant, Shelby Harris, Drew Lock, due scelte al primo round del draft (Charles Cross e Devon Witherspoon), due scelte al secondo round del draft (Boye Mafe e Derick Hall) e una al quinto round del draft del 2022 (Tyreke Smith): in cambio Denver ha ottenuto 11 vittorie in due stagioni che, naturalmente, non son valse loro nemmeno una capatina ai playoff. La supremazia dei Chiefs non è stata neanche lontanamente messa in discussione ma non possiamo in nessun caso affermare che non ci abbiano intrattenuto.

Eppure Wilson doveva essere il catalizzatore del definitivo salto di qualità di una squadra che, a detta di tutti – me compreso -, si trovava a un quarterback dal successo. Ciò che più amo del senno di poi sono le risate che sa regalare, figuratevi che i per forza di cose in-ricostruzione-Seattle-Seahawks ai playoff ci sono andati con Geno Smith mentre Denver… non serve tornare sul luogo del delitto, l’ho detto letteralmente un paio di righe fa.

Ora che stanno uscendo i retroscena ritengo appropriato ripercorrere un passo alla volta gli ultimi interessanti mesi dei Denver Broncos.
Stando a quanto dichiarato da Wilson, dopo la vittoria di Week 8 contro i Kansas City Chiefs il front office lo ha messo davanti a un aut aut: o posponeva la clausola che avrebbe reso garantiti i 37 milioni previsti per il 2025 in caso di “bocciatura” alle visite mediche di marzo 2024, o si accomodava in panchina per il resto della stagione.
Già decisa ad andare oltre e a rivolgersi a qualcun altro per il 2024, Denver ha lasciato abbondantemente intendere a Wilson che il suo tempo in Colorado fosse agli sgoccioli dato che la priorità del front office non era quella di vincere partite e salvare una stagione partita nel peggiore dei modi, ma evitare che si infortunasse per salvaguardare la fondamentale flessibilità salariale.

Wilson ha chiaramente rifiutato e, dal nulla, Denver è tornata in corsa per i playoff: relegarlo in panchina, a quel punto, avrebbe causato un’insurrezione popolare. La striscia positiva dei Broncos è stata però resa possibile dal mese di grazia del reparto difensivo che, durante la serie di cinque vittorie consecutive, ha messo a segno 16 turnover che hanno regalato ai Broncos un insostenibile differenziale di turnover di +13: a Wilson e all’attacco è stato sostanzialmente chiesto di prendersi cura del pallone e di sfruttare le ottime posizioni di campo.

Solamente in una partita – quella contro i Vikings – Wilson ha lanciato per più di 200 yard e, sebbene le statistiche lascino sempre il tempo che trovano, l’attacco dei Broncos non poteva contare su un gioco di corse storicamente produttivo come quello dei Ravens del 2019. In parole povere le speranze di successo di questa squadra passavano quasi esclusivamente dal reparto difensivo, non dal quarterback che avrebbe dovuto permettere loro di fare trentuno. Non investi cifre del genere su un quarterback il cui unico compito è non vanificare il lavoro del reparto difensivo.
Dal canto suo Wilson, questo va detto, ha fatto quello che doveva fare evitando i turnover e mantenendo una buona efficienza in red zone, troppo poco per il giocatore per cui il front office ha barattato presente e futuro della franchigia.

Da un punto di vista statistico il 2023 dell’ex franchise quarterback dei Seahawks è stato eccellente, 26 touchdown a fronte di soli 8 intercetti sono numeri da leccarsi i baffi – soprattutto in un anno così funesto per i quarterback.
Tuttavia i numeri, specialmente nel 2023, non sono mai stati più fuorvianti. Wilson non ha assolutamente giocato male, tutto il contrario, ma raramente è stato il motivo per cui i Broncos sono usciti dal campo vincitori. Hanno vinto con lui, mai grazie a lui: questo non può bastare a giustificare un contratto del genere.
A proposito di contratto. Fatemi premere enter.

Contratto, dicevo. Ironia vuole che in questi due anni Wilson abbia giocato “sotto il contratto dei Seahawks”, non sotto la folle estensione datagli a scatola chiusa prima del season opener del 2022, un quinquennale da circa 245 milioni di dollari – di cui 165 garantiti – da cui non ha ancora attinto un centesimo: tagliarlo a marzo – al momento lo scenario più plausibile – costerebbe ai Broncos 85 milioni di dollari in dead money. Tagliarlo dopo il primo di giugno permetterebbe loro di spalmare la cifra su due anni, 35 nel 2024 e circa 50 nel 2025.

Al momento non ci è dato sapere come agiranno in vista della prossima stagione, se affideranno l’attacco a Stidham nella speranza di ricavarci un quarterback titolare capace di concretizzare la brillantezza schematica di Sean Payton, se utilizzeranno Stidham come quarterback ponte nella speranza di vincere quel poco che basta a mettersi nella posizione di selezionare uno dei migliori quarterback disponibili al draft del 2025. Non lo so.

L’unica cosa di cui sono certo è che quello di cui siamo appena stati testimoni sia un fallimento epocale che potrebbe essere superato solamente dal capolavoro firmato dal duo Browns-Watson.
Questioni etiche a parte, Watson avrà ancora a disposizione il tempo per ribaltare la narrativa – anche se è alquanto esilarante constatare quanto meglio stiano giocando con Joe Flacco in prepensionamento under center.

Da qualsiasi lato la si giri, questa trade resta putrida.
Imputare ogni fallimento a Russell Wilson sarebbe intellettualmente pigro, oltre che errato. Wilson non ha mantenuto le promesse e a suon di «let’s ride» si è trasformato in uno degli atleti più insopportabili dell’intero panorama sportivo americano, ma Denver non lo ha messo nella posizione di avere successo.

Nel 2022 ha incassato 55 sack in 15 partite, un numero che ci mette davanti a un vero e proprio assedio che ha finito per renderlo paranoico e insicuro nella tasca, non esattamente il presupposto ideale per aver successo nella posizione più importante del gioco.
Gli è stato affiancato Nathaniel Hackett, offensive coordinator in nessun caso pronto a un ruolo del genere – che era stato ingaggiato nella speranza di convincere Aaron Rodgers a svernare in Colorado: la disastrosa gestione degli ultimi due minuti del season opener del 2022 contro Seattle fu alquanto profetica.

L’errore più imperdonabile è stato commesso dal front office che ha ignorato i sempre più evidenti segnali di declino fisico esibiti durante gli ultimi anni ai Seahawks. La mobilità che a Seattle lo aveva reso unico nel suo genere a suon di giochi di prestigio fuori dalla tasca ha cominciato a essere erosa dal passare del tempo: questo era sotto gli occhi di tutti e il front office di Denver ha imperdonabilmente deciso di ignorarlo commettendo un gigantesco errore di valutazione.

Chiedergli di trasformarsi in un pocket passer a quel punto della carriera è apparso fin da subito folle visto che a garantirgli una giacca dorata e un busto a Canton è stato proprio il mix senza precedenti di atletismo e improvvisazione: confinarlo nella tasca era il miglior modo per neutralizzarlo, e infatti è proprio quello che è successo. Soprattutto dietro una linea d’attacco spesso inadeguata.

Trovo ingiusto che paghi solamente Russell Wilson, pure il front office guidato da George Paton deve essere messo davanti alle proprie responsabilità perché, fino a prova contraria, sono stati loro a spedire a Seattle diversi bancali di scelte al draft e, soprattutto, a dargli un’estensione contrattuale a scatola chiusa destinata a compromettere il prossimo biennio.
Empatizzare con lui è diventato sempre più difficile, tuttavia mi sento piuttosto sereno ad affermare che non meritasse un’umiliazione del genere.

Da quando è atterrato a Denver Sean Payton ha fatto il possibile per dimostrare a Wilson, allo spogliatoio, al front office e al mondo intero che i Broncos fossero la sua squadra, non quella di Wilson. Se da un lato posso concordare che nel 2022 gli fosse stato concesso troppo potere – aveva un suo ufficio personale all’interno del quartier generale -, dall’altro non sono così ingenuo da provare a convincervi che un franchise quarterback sia un giocatore come gli altri.

Tom Brady, Peyton Manning, Drew Brees e Aaron Rodgers non sono mai stati giocatori come gli altri agli occhi delle franchigie di cui hanno fatto le fortune. Non voglio paragonare Wilson a fine carriera a questi mostri sacri, ma è stato il front office a mettergli in mano le chiavi della franchigia con quella trade e quel contratto: il potere gli è stato consegnato pacificamente e consapevolmente, non se lo è preso con un golpe, quindi è giusto che paghi chi ha reso possibile tutto questo.

Sarà davvero interessante vedere che ne sarà di Wilson e dei Broncos, anche se già so che ciò più mi affascinerà sarà constatare la reazione della NFL a un fallimento del genere: che sia già finita l’era delle trade folli per quarterback ultratrentenni? Se da un lato la storia di successo con protagonisti Stafford e i Los Angeles Rams ha spinto chiunque a sacrificare il proprio futuro per un presente con dopodomani come data di scadenza, dall’altro non possiamo credere che una tragedia – sportivamente parlando, sia chiaro – del genere non abbia ripercussioni sulla filosofia win now che ha monopolizzato la NFL nelle ultime offseason.

3 thoughts on “Quella di Russell Wilson ai Denver Broncos è stata la peggiore trade nella storia NFL?

  1. Mattia prendimi per pazzo, ma io questo signore qui lo vorrei tanto ai miei Falcons.
    Anche solo per un paio di stagioni, poi passo ad un altro veterano (immagino si noti che ho una certa avversione per i QB esordienti…)
    Se ho capito bene come funziona, lo puoi prendere anche a poco, tanto la differenza resta a carico dei Broncos.

  2. Mah, il bello della NFL e delle altre leghe è che per quanto marchiani possano rivelarsi certi errori, non si retrocede. Si paga e si va avanti. A rendere rischiosa l’operazione c’erano evidenti i segnali di una possibile parabola discendente ormai imboccata: lo hai scritto anche tu. Non dico che Denver non dovesse provare a rivolgersi a Wilson per vedere di trarne qualche ultimo ballo. Ma non in quei termini. Magari ha inciso la tribolazione societaria che mi pare abbiano attraversato nello stesso periodo. Ma niente paura, adesso si paga e si ricomincia. Qualche stagione faticosa sarà il giusto compenso per un errore ingombrante. E comunque questo non toglie di non trovare una matricola o un veterano che nel frattempo ti fa comunque un minimo divertire. Succede molto spesso. Non è la fine del mondo, è solo uno sbaglio. Grosso, ma uno sbaglio.

  3. Wilson è stato l’uomo sbagliato, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato E, soprattutto, con un allenatore impreparato (il primo anno) e con uno che lo ha mal sopportato fin dal primo giorno. Lui ne esce a pezzi, però se ne prendi 35 dai Commanders, 28 dai Bears e 31 dai Jets di Zach Wilson, non è che puoi pensare che sia tutta colpa del qb. Front Office e allenatore ancora più imbarazzanti di Wilson

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