Metà stagione. Questa la quantità di misurazione temporale bastata a C.J. Stroud per dimostrare di che pasta fosse effettivamente fatto, nonché fornire risposte ai detrattori che avevano etichettato i Texans quali perdenti da un confronto che perdurerà almeno per un decennio a seguito dell’ultima tornata di scelte, quando Bryce Young, il numero uno assoluto, aveva ricevuto la maggior parte dei favori degli addetti ai lavori, e infine per determinare che a Houston non si vuol più sentire la parola sconfitta così frequentemente, visto che già è un miracolo aver trovato l’uscita da quel buco nero dentro il quale la franchigia era caduta nel post-Deshaun Watson.
Non sarebbe dovuta andare così. Il pronostico più ottimista aveva incatenato i texani al fondo del grande mare NFL, dov’è difficilissimo vincere, distinguersi, emergere. Avrebbero dovuto concorrere nuovamente per un’alta posizione di scelta, senza che peraltro fosse di loro proprietà (il primo round di Houston sarà, infatti, dei Cardinals per lo scambio Will Anderson Jr.), percorso normalmente seguito dalle compagini che perdono una quantità spropositata di partite effettuando cicli ricostruttivi lunghi e non sempre fruttiferi, peggio ancora se, come si usa di questi tempi, la fretta di affermarsi conta inesorabilmente il trascorrere dei minuti, ed è l’aspetto più importante di qualsiasi altro. Houston è lontana dall’essere un prodotto finito, esperto, in grado concorrere per una piazza solida all’interno di un panorama che ne aveva perso le tracce, ma far ritrovare la propria presenza e sfruttare nel contempo le incertezze o le disgrazie altrui per arrivare a sorpresa è di certo un ottimo modo di ripresentarsi nel giro che conta, in attesa di comprendere se si possa carpire quel qualcosa in più.
Se i Texans risiedono dove si trovano ora, lo devono senz’altro al loro nuovo, giovane, talentuoso leader. Doveva essere una squadra in grado di giocare secondo la mancanza di esperienza che la l’aveva contraddistinta in pre-stagione, ma Stroud ha essenzialmente bruciato le tappe. Eccome se le ha bruciate. Di certo, quand’è trapelato il risultato del fatidico test S2, che avrebbe lo scopo di quantificare l’intelligenza e la capacità reattiva di chi deve scendere in campo sotto pressione e lanciare nel giro di millesimi, non ci si attendeva che l’ex-Ohio State avrebbe già chiuso oggi ogni discorso per il premio di rookie offensivo dell’anno. Di intelligenza e capacità reattiva ne ha mostrate in abbondanza e altrettante quantità ne ha da vendere, è un ragazzo che crede profondamente nelle sue capacità e – soprattutto – in quelle dei compagni, che non hanno esitato a seguirlo, spaccandosi in due per lui in attesa di poter capire fin dove egli li possa condurre. Senza queste due qualità, fondamentali per un regista di football, in singola partita non si lanciano per 470 yard, cinque passaggi da touchdown, e un rating di 147.8 nell’annata da esordiente, facendo a fette i precedenti record dedicati ai rookie. E di certo non si mette in piedi una seconda metà di gara – chiedere ai Buccaneers per informazioni più approfondite – sbagliando solamente quattro lanci, correndo dietro al punteggio fino a riprenderlo per i capelli, affrontando l’ultima serie di giochi con il ghiaccio nelle vene, con l’occhio dello scrutinio costantemente addosso, completando cinque conclusioni in quaranta secondi, fino a trovare un altro ragazzo in rampa di lancio, l’atletico Tank Dell, pronto a ricevere il pallone della vittoria. 39-37 Texans, Tampa a casa con il morale a pezzi, i critici zitti, e Houston inaspettatamente in corsa per i playoff della AFC.
Stroud sa bene di non essere infallibile, per quanto stesse viaggiando a ritmi letteralmente assurdi fino alla partita contro Arizona. Matricola. Mai sceso in campo prima in NFL. Due soli intercetti. Contro i Cardinals, impegno senz’altro più agevole di altri, ne ha lanciati tre in una sola gara. La qualità più importante di C.J. è infatti il saper mantenere una calma esemplare dinanzi all’errore, azione che normalmente porta sensazioni negative che arrivano dritte al cervello, vincolando nel modo errato la mentalità del giocatore. Ma lui ci mette quella capacità di cancellare già matura, andando a convincere il proprio allenatore di mettergli ancora tutto sulle spalle a partire dal drive successivo, nonostante l’errore commesso più e più volte. Una fede incrollabile in se stesso, forgiata da un’adolescenza impervia, che l’ha fatto maturare prima di tanti altri coetanei, gli ha fatto conoscere il valore del sacrificio, gli ha fatto assaporare con pieno gusto ogni piccolo traguardo raggiunto, senza pensare di essere arrivato chissà dove solo perché in possesso di una quantità anormale di talento.
C’era infatti un tempo in cui tutto andava bene, la famiglia Stroud viveva normalmente, tranquillamente, serenamente. Il piccolo C.J. aveva cominciato a giocare presto con la palla ovale, papà Coleridge si era accorto presto che quel nanetto aveva qualcosa in più. Nella felicità di quei momenti, di quei ricordi, Marcus non avrebbe mai immaginato tutte le difficoltà che si sarebbe dovuto preparare ad affrontare, senza riuscire a colmare quel senso di vuoto, di mancanza di una guida maschile, di rabbia durata per anni, trovandosi costretto a diventare un uomo prima del tempo. Coleridge Stroud III è stato imprigionato quando suo figlio aveva tredici anni, lasciando la famiglia in disordine, senza più un sostentamento economico adeguato, doveva pagare un conto severo ma giusto nei confronti della società, essendosi reso responsabile di furti, rapimenti, e numerose altre attività illecite prima che C.J. nascesse, dando luogo a una nuova tragica storia di una madre sola costretta a traslocare in un luogo lugubre dovendo crescere più figli, dare loro da mangiare tutti i giorni, e fornire un’istruzione a tutti. Così, il quarterback dei Texans ha imparato a non cercare scuse, a essere una persona rispettabile, a gestire l’ira, a praticare il perdono dopo anni in nemmeno rispondeva alle chiamate di papà – che oggi ha trasformato il luogo di detenzione dove resterà per altri trent’anni in un covo di tifosi dei Texans – a essere calmo nei momenti in cui chiunque altro va in panico. Una sofferenza servita di lezione per la vita che sta conducendo adesso, da vera e propria superstar locale, e stella in costante ascesa nel distretto professionistico dello sport dei suoi sogni.
Tali sogni non gli hanno precluso l’umiltà, la stessa che va sempre meno di moda. Un insegnamento ricevuto e portato avanti con impegno da quando si ringraziava per quel poco che la vita dava anziché lamentarsi perché non si poteva ottenere di più, come quando il quarterback scoppiò in lacrime dalla gioia quando, dopo la fase di snobismo passata alle superiori, arrivò la prima lettera universitaria, da Colorado. Un segno di interesse che precedentemente non aveva avuto, e che gli ha insegnato a non mollare, fino a far coincidere la sua traiettoria con Ohio State, dov’è succeduto a Justin Fields, facendo a brandelli più di qualche record dell’ateneo. Un atteggiamento traslato anche in fase di training camp tra i pro, dove Marcus si è dimostrato perspicace ma pure curioso, voglioso di migliorare e conoscere meglio il gioco, senza presumere di sapere tutto, come capita ad altri vanitosi. Un aspetto molto apprezzato dai compagni, i quali hanno imparato a credere che si sia sempre una possibilità in quell’huddle, in quella prossima azione con uno svantaggio da recuperare e pochi minuti per eseguire tutto alla perfezione, perché il condottiero è giovane, ma di valore. Quando ha visto che gli altri lo seguivano con convinzione, DeMeco Ryans gli ha immediatamente affibbiato i gradi di titolare, e lui si è fatto trovare molto più che preparato.
Intanto, giusto per farsi un baffo dei test pre-Draft, Stroud è lì, fermamente al terzo posto di Lega per yard lanciate – 300 in più rispetto a Patrick Mahomes, tanto per misurarsi con il gotha del football – con un ottimo rapporto tra touchdown e intercetti, 17 a 5. Peyton Manning, da matricola, aveva terminato a quota 27 contro 28. Un processore al posto del cervello, lanci precisi in finestre di spazio limitate, ovali perfettamente roteanti che cadono dritti dove il ricevitore si trova, giocate a lunga gittata. E tanti cari saluti ai confronti con Bryce Young, che arranca con dei Carolina Panthers senz’altro meno attrezzati di talento rispetto ai Texans, aspetto che salva solo in parte l’impietoso paragone. Houston ha sofferto tanto, troppo, a causa di un quarterback molesto, che altri hanno riempito di dollari per le prossime tre generazioni. Watson era il franchise quarterback che avrebbe dovuto traghettare i Texans in luoghi ancora sconosciuti, vista la giovane età della franchigia, i risultati c’erano. Poi il buio, il vuoto, l’assenza di speranza, undici partite vinte in tre anni cercando di ricominciare tutto daccapo.
Chi si sarebbe atteso gli Houston Texans in posizione favorevole per qualificarsi ai playoff è semplicemente saltato in corsa sul carro dei vincitori. Doveva essere una stagione di transizione, di lezione ed esperienza. Ne sta venendo fuori un campionato vincente, con la possibilità di agganciare i Jaguars in classifica nello scontro diretto di questa domenica, grazie a un rookie che sta dimostrando di essere niente meno che un fenomeno.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Non capisco nulla di Football, lo seguo solo per folklore, e tifo Texans (forse non è un caso?). Grazie per l’articolo. Non so perchè ovunque (tranne Mattia Righetti, grazie anche a te, Mattia) i Texans vengano sempre derisi (fino a poche settimane fa) ed al limite ora che hanno riacquisito un po’ di dignità, ignorati.
Non è una domanda polemica. Forse un po’ si ma non del tutto. C’è un motivo particolare per cui ad esempio scendono di posizioni sui fantomatici power ranking anche quando vincono e convincono?
Comunque, a prescindere, grazie di nuovo per l’articolo (e per quelli che hai scritto finora sui Texans). Stroud sembra un bravo ragazzo e da come lo descrivi forse lo è. A prescindere dalla casacca che indossa è una bella storia da raccontare
Ciao Alessandro, grazie! Credo che i Texans siano sottovalutati dai ranking perché ci si fida poco di una squadra precedentemente condotta male che ha vinto 11 partite in tre anni. Come vedi però le cose stanno cambiando, stanno salendo di quotazione dappertutto e Stroud si è rivelato essere un’ottima scelta. E sono divertenti da vedere!
I Texans sono una delle franchigie più giovani della NFL (se non la più giovane) e una delle due, se non ricordo male, a non aver MAI disputato un Superbowl.
Quindi poca storia, poca tradiZione e pure pochi elementi di classe superiore in squadra nel corso degli anni. Per tacere di allenatori limitati eccetera.
Da cui sottovalutaZione e prese in giro.
Se resta sano probabilmente Stroud diventerà il miglior giocatore della storia dei Texans.