A questi Denver Broncos possiamo dire di tutto, ma non sicuramente di non averci provato.
Ecco, queste quindici parole rappresentano l’unico pensiero positivo che sono in grado di formulare pensando a loro. Nell’ultimo anno e mezzo le hanno provate veramente tutte.

Prima si sono lanciati nell’investimento della vita inviando una pletora di scelte al draft – e giocatori – ai Seattle Seahawks in cambio di Russell Wilson per affiancarlo a Nathaniel Hackett, la mente dietro gli ultimi due MVP di Aaron Rodgers. Mancava solo il quarterback, vero? Non proprio.
Constatato il fallimento, hanno fatto l’unica cosa che una franchigia nella loro posizione può fare, ossia mettere alla porta l’allenatore: mica vorrai cacciare il quarterback per il quale hai sacrificato il tuo futuro, no?

Per salvare il salvabile e mutare l’esito dell’esperimento Wilson si sono privati di un’altra scelta al primo round per Sean Payton: com’era il discorso? Fuck them picks, no? Se Payton è riuscito a tenere vincenti i Saints pure con i vari Bridgewater e Hill figuriamoci cosa mai potrebbe fare con un Russell Wilson “solamente da riabilitare”.
Ma non si sono fermati qui, appariva ovvio che la linea d’attacco necessitasse disperatamente di una mano, quindi si va a (stra)pagare Mike McGlinchey e Ben Powers e, giusto per non farsi mancare niente, si lancia pure una trentina di milioni in direzione di Zach Allen per puntellare la defensive line.

Il loro 2022 ci ha lasciato in bocca un sapore così rancido che era difficile approcciarsi a settembre con chissà quale ottimismo, ma razionalmente avevamo validissime ragioni per attenderci un miglioramento tangibile – non sicuramente un’impresa erculea – che sarebbe coinciso con un ritorno prima alla competitività e, successivamente, ai playoff.
Da quel Super Bowl vinto l’antifona non è mai cambiata di una virgola, questa squadra per tornare in alto aveva esclusivamente bisogno di un quarterback competente che non vanificasse l’ottimo operato di un reparto difensivo consistentemente di qualità.

Abbiamo passato anni ad associar loro qualsivoglia game manager e, quasi aritmeticamente, sommare i fattori che li avrebbero portati al successo: difesa di qualità più attacco disciplinato che si prenda cura del pallone e del proprio reparto difensivo più un gioco di corse affidabile uguale playoff, successo, Super Bowl, coppa Rimet.
Prendete ogni discorso fatto nell’ultimo anno sui Jets e tingetelo di arancione.

Dopo sei giornate è lecito affermare che i Denver Broncos di Sean Payton abbiano raggiunto profondità inesplorate – anche per una squadra reduce da una vera e propria tragedia sportiva come lo è stato il loro 2022. L’attacco è decisamente più funzionale dell’anno scorso, ma l’asticella non era assolutamente alta.
La grande novità, nonché principale ragione dietro l’eloquente 1-5 su cui stazionano, è rappresentata dall’involuzione – eufemismo – del reparto difensivo. Il principe azzurro che si trasforma in un rospo infetto.

Le statistiche, seppur indicative, non rendono giustizia a quanto male stiano giocando. Li troviamo ultimi pressoché in qualsiasi categoria statistica: punti subiti, yard concesse, yard per giocata, percentuale di passaggi completati dai quarterback avversari, rushing yard… potrei andare avanti.
Non sprecherò il resto dell’articolo in confronti numerici, ma mi sento in dovere di dirvi che solamente due anni fa potessero vantare la terza miglior scoring defense della lega. Ora ne concedono 33 abbondanti a partita, un numero che sfugge al dominio della logica. In metà delle partite giocate ne hanno imbarcati almeno 31. In una, come ben ricorderete, addirittura 70.

È peggio prendersene 70 da questi Dolphins o 31 dai Jets di Zach Wilson?
Queste sono le domande esistenziali su cui i loro tifosi si trastullano la notte nel tentativo – vano – di non pensare alla loro squadra del cuore.

Nelle ultime settimane hanno salutato prima Randy Gregory – fiore all’occhiello insieme a Wilson della free agency del 2022 – e poi Frank Clark, veteranissimo che potrebbe tenere seminari in giro per l’America su come portare pressione a un quarterback nel mese di gennaio – e spesso pure febbraio. Due addii del genere, seppur fatti passare in secondo piano dai disastri in campo, ci dicono tutto quello che dobbiamo sapere sullo stato di salute di questa squadra. E pure sulle loro ambizioni.

Si sta cominciando a vociferare con sempre maggior insistenza di scambi incentrati sui vari Jerry Jeudy, Courtland Sutton, Patrick Surtain e Justin Simmons, o se preferite gli unici pezzi pregiati di un roster palesemente inadatto.
Questo è il classico stadio che precede una ricostruzione totale, il fuori tutto che precede il fallimento dell’attività commerciale.
Sorge quindi spontanea una domanda: ricostruzione? Come può anche solo pensare di ricostruire una squadra che una ventina scarsa di mesi fa ha provato l’all-in?

A inizio anno hanno sacrificato una preziosa scelta al primo round per garantirsi l’unico antidoto capace di curare Wilson e ora vogliono ricostruire?
Che poi, più che la trade di Wilson in sé a deturpare il loro futuro troviamo la sciagurata estensione contrattuale datagli a scatola chiusa a settembre 2022.
Quel quinquennale da 245 milioni di dollari lo rende inamovibile, tagliarlo non è un’opzione verosimile e per scaricarlo a qualcun altro saranno costretti a sacrificare ulteriori scelte al draft, scenario tutt’altro che ideale per una squadra “in ricostruzione”.

Cosa possono fare, quindi, per uscire da quello che sta sempre più assumendo le sembianze di un incubo?
Incrociare le dita e pregare di inciampare nel Brock Purdy di turno, anche se ciò non toglierebbe comunque Wilson dall’equazione dato che dovrebbero comunque pagargli un contratto che limiterebbe notevolmente il margine di manovra del front office in offseason.
Potendo contare su Purdy “gratis”, i 49ers a marzo sono andati a rompere il salvadanaio per Javon Hargrave, giocatore di cui forse non avevano bisogno ma che ha innalzato ulteriormente il livello di una delle migliori difese della lega: Denver, finché condannata ad avere Wilson sul libro paga, non può fare mosse del genere.

Quest’anno i Broncos non si stanno rendendo ridicoli per colpa di Russell Wilson, o meglio, non è l’unico accusato come poteva esserlo dodici mesi fa, ma contro i Kansas City Chiefs, giovedì notte, ho visto un quarterback esaurito, sfiduciato e con un numero veramente basso di snap rimasti nel serbatoio.
Nelle prime quattro settimane non ha giocato particolarmente male, anzi, le statistiche sono pure carine, ma quanto successo contro i Chiefs è inaccettabile. In una serata in cui la difesa, vuoi per orgoglio o vuoi per disperazione, è riuscita a tenere l’attacco dei Chiefs inchiodato a 19 punti Wilson si è smaterializzato racimolando la miseria di 95 yard su 22 tentativi – 4.3 yard per lancio tentato: di cosa stiamo parlando?
Numeri del genere sarebbero inaccettabili pure se si giocasse sotto un monsone. Anche se ovviamente la linea d’attacco non ha fatto assolutamente nulla per semplificargli la vita.

Tagliandolo Denver sarebbe condannata a convivere con un dead cap che nel 2024 partirebbe da un minimo di 18.4 milioni di dollari per arrivare a un massimo di 35.4, mentre nel 2025 dovrebbero sobbarcarsi 49.6 milioni: con una spada di Damocle di queste dimensioni non puoi assemblare un roster competente e, intuitivamente, non credo che Sean Payton sia tornato ad allenare per cimentarsi in una complicatissima ricostruzione.
Guardate cos’è arrivato a fare per evitarne una con i suoi New Orleans Saints.

L’articolo su cui potete cliccare nel paragrafo precedente analizza tutti i possibili scenari e ciò che emerge è tanto lapalissiano quanto doloroso: qualsiasi strada decideranno di imboccare comporterà importanti perdite economiche. Perderanno soldi a temporeggiare, perderanno soldi a tagliarlo il prima possibile e, ovviamente, perderanno soldi a tenerlo perché sì, a questo punto si può affermare che sia irrecuperabile. O meglio, è irrecuperabile in una squadra con una difesa del genere.
Non sono affatto sicuro che al momento esistano 32 quarterback migliori di lui. Di contro, ne troviamo pochi così costosi.

Questo fallimento è decisamente troppo grande per essere addossato a una sola persona, qui hanno fallito tutte le parti coinvolte. Quarterback, linea d’attacco, ricevitori, difesa, coaching staff e, ultimo ma non ultimo, pure un front office che non ci ha pensato due volte a sacrificare il futuro della franchigia per salvarsi il posto.
Quello di cui siamo testimoni è un disastro collettivo che trova indubbiamente in Wilson il volto perfetto ma, ci tengo a precisarlo, non può essere imputato solamente all’ex giocatore dei Seahawks.

Salvo impronosticabili miracoli, i Broncos concluderanno la stagione con un numero di vittorie così ridicolo da essere premiati con una scelta nella top tre al prossimo draft che dovrebbe permettere loro di mettere le mani su un quarterback e, forse, risolvere in modo organico e sostenibile il problema che ha sabotato tutto il dopo-Manning.
Con l’unica differenza che, questa volta, non ci sarà una difesa di livello a guardare le spalle all’attacco. Dovranno ricostruire pure quella – no, non basta cacciare Vance Joseph, si diceva altrettanto con Nathaniel Hackett e i risultati li stiamo vivendo live. Sono a ben più di un giocatore di distanza dalla rilevanza.

Salvo miracoli, ho come l’impressione che in un futuro non troppo lontano parleremo dell’intera querelle Wilson come di uno dei più grandi fallimenti nella storia moderna della National Football League – anche se non è esclusivamente colpa sua.

4 thoughts on “I Denver Broncos sono irrecuperabili

  1. è già partito il totoTank.
    io vedo caldissimi i Patriots e sarei curioso di vedere Caleb Williams allenato da Belichik, anche per avere la prova se è effettivamente finito come coach o ne ha ancora.

  2. Ma certo che non è esclusivamente colpa sua, è colpa del suo ingaggio, maledettamente condizionante.

    Ma andiamo per gradi. C’è una realtà schifosa ma che va accettata: nella vita, mica solo nella NFL, quando commetti un errore e/o quando una storia finisce, prima ne prendi atto e meglio è.

    Wilson non mi faceva spellare le mani come giocatore, ma ai bei tempi era bravo. Però era un po’ che pareva in parabola discendente. C’era il dubbio che avesse ancora qualche cartuccia? Ok proviamo, ma non trattiamolo come se si fosse liberato un Mahomes giovane.

    Ma niente paura, il bello della NFL è che non si retrocede. Mattia parli di perdite economiche, ma in NFL non si può perdere denaro, proprio per definizione. Si ingoia l’amaro calice, ci rivedremo tra qualche anno. È tutto molto semplice. Sbagliate è umano, perseverare sarebbe diabolico.

  3. Come dice Lux già da un po’ era un QB più che normale. Puntare su di lui in quella maniera con tutte quelle scelte gettate al vento è stato proprio da stolti, e non a posteriori, la cosa lasciò perplessi da subito. Prendersi un QB alla Carr Cousins Tannehill ecc. ed attendere buone pesche a partire dall’ultimo draft con rafforzamento mediante buoni contratti dell’attacco in altre posizioni. Invece… spiace perché la cosa era abbastanza semplice.

  4. il fumble nel video, che (da ultimo) è costato la partita, è emblematico di quanto stia giocando male Wilson e di quanto stia giocando peggio la squadra. Il RB (che non sembra essere il primo target
    designato, farebbe si e no 3 yard su un 2nd e 10) manco si sogna di ostacolare Williams, che infatti arriva come un treno su Wilson. Certo, lui sicuramente avrebbe dovuto sbarazzarsi prima del pallone (anche qui, mai stato famoso per questo), ma rimane il fatto che questa squadra sbaglia cose elementari. Poi, per carità, giovedì è stato indifendibile, ma è la prima partita in cui quest’anno lo è. Wilson non è mai stato al livello di Brady, di Rodgers o di Brees, ma che arrivato in Colorado sia diventato più scarso di Lock non lo voglio credere

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