Che questa division avesse bisogno di darsi una svegliata era sotto gli occhi di tutti. Tra il malinconico sgretolamento degli Indianapolis Colts dopo il ritiro di Andrew Luck, il perenne stato di confusione in cui vivono gli Houston Texans – esacerbato dalla querelle Watson – e l’incompetenza generale che stava per diventare sinonimo di Jacksonville Jaguars, appariva evidente che questa division stesse vivendo una crisi d’identità con pochi eguali nella storia.
Fortunatamente c’erano i Tennessee Titans a tenere alto l’onore, ma dalla seconda parte dello scorso campionato abbiamo forse assistito a uno spostamento di potere che potrebbe ridefinire la division per il prossimo lustro.

Il collasso dei Titans culminato in un finale di stagione da sette sconfitte consecutive è coinciso con l’ascesa dei Jacksonville Jaguars, o meglio, di un Trevor Lawrence al quale sono bastati un paio di mesi per mettere a tacere le malelingue che parlavano di lui come bust generazionale dopo una sola stagione fra i professionisti.
Se amalgamiamo quanto appena detto al tragicomico inverno degli Indianapolis Colts – che se non altro sono finalmente venuti a patti con la realtà dei fatti – converremo facilmente che tutto ciò di cui necessitava quest’accozzaglia di squadre, Jaguars a parte, fosse ripartire da capo.

Cosa fa una squadra in questo periodo storico quando vuole ricominciare? Si assicura un nuovo allenatore e quarterback.
Texans e Colts hanno seguito questo modus operandi, mentre i Titans hanno optato – giustamente – per un approccio più parziale e graduale andando ad aggiungere un quarterback che, a differenza di Young e Stroud, molto probabilmente dovrà pazientare prima di assaggiare il campo da titolare. E sì, chiariamolo subito, non dovremmo nemmeno discutere sulla riconferma di Vrabel, sarebbe stato blasfemo anche solo metterlo in discussione.

Jacksonville è pronta a decollare e a non guardarsi più indietro. Allo stato attuale delle cose sembrano esserci tutti gli ingredienti per emulare quanto fatto dai Colts di Manning decenni addietro ed egemonizzare la AFC South, anche se probabilmente sto esagerando.
Solo il tempo saprà dirci se i vari quarterback selezionati al draft riusciranno a trascinare fuori dalle sabbie mobili della mediocrità le rispettive franchigie, ma appariva lapalissiano che una mezza rivoluzione fosse imprescindibile.
Mi limito a dirvi che nel 2022 il record cumulativo della AFC South è stato di 23-43-2 (35.3% di vittorie), o se preferite il terzo peggiore nella storia della NFL.

Come dicevo poc’anzi, i Jacksonville Jaguars sembrano avere tutto il necessario per essere protagonisti in AFC a lungo.
Under center possono vantare un quarterback potenzialmente generazionale, l’allenatore ha un pedigree di primissima qualità e, in generale, il roster è sufficientemente completo – seppur non irresistibile – per garantir loro competenza perenne.
Il Trevor Lawrence visto nella seconda metà del 2022 ha confermato tutto quello che gli analisti avevano previsto prima del draft di due anni fa, se non addirittura di più. Sempre lucido e preciso, cauto con il pallone ma mai asettico, a Lawrence sono bastate una manciata di partite per giustificare terabyte di hype.

Con l’innesto di Calvin Ridley e la riconferma di Evan Engram, il supporting cast a disposizione del biondo quarterback appare completo e ben assemblato. Se è stato in grado di dominare per un paio di mesi con Christian Kirk come go-to-guy viene naturale abbandonarsi alla più pavloviana delle salivazioni sostituendolo con Ridley, ricevitore di cui molti di noi potrebbero aver dimenticato l’unicità.
L’addio di Taylor obbliga il rookie Harrison a essere performante fin da subito, ma il giovane ha tutte le qualità per affermarsi immediatamente come titolare di qualità.

Non abbiamo ragioni per pronosticare cali di rendimento, semmai il contrario in luce dell’aggiunta di Ridley.
Nemmeno in difesa ci troviamo davanti a chissà quale novità, e va bene così. Dopo aver speso – e spanto – per tutta la primavera del 2022, il front office ha saggiamente alzato il piede dall’acceleratore decidendo di dare continuità a un reparto che ha ancora enormi margini di crescita.
Dopo una prima stagione in chiaroscuro ci si attende tantissimo da Travon Walker, la prima scelta assoluta al draft più ignorata di cui io abbia memoria. Lui e Josh Allen potrebbero dare vita a un pass rush feroce e inarrestabile, anche se mi rendo conto che quanto appena detto possa costituire un’enorme forzatura fondata quasi esclusivamente sul loro status di scelte alte – se non altissime – al draft.

Stiamo pur sempre parlando di una squadra estremamente giovane che si è scoperta competente giusto l’altro ieri, quindi non possiamo permetterci di escludere a priori una possibile regressione, ma qualora Lawrence dovesse riprendere da dove si era fermato fatico a immaginare uno scenario in cui non riescano a riconfermare il titolo divisionale dello scorso anno, plausibilmente in modo più perentorio.

Se esiste qualcuno che può realisticamente candidarsi al ruolo di anti-Jaguars sono proprio i Tennessee Titans, squadra dura a morire se ne esiste una.
Occorre essere oggettivi, il roster ora come ora appare tutt’altro che irresistibile e ritengo lecito affermare che questa sia la loro versione più debole nell’era Vrabel.
Il ciclo Tannehill sembra essere avviato verso i titoli di coda e, ciò che preoccupa maggiormente, la linea d’attacco trabocca d’incognite: questo semplice fatto non può lasciar sereno veramente nessuno se si considera il ruolo fondamentale che hanno avuto nell’aiutare Derrick Henry ad affermarsi come indiscusso re della NFL.

C’è poco da fare, il tempo scorre solamente in una direzione e l’impressione che il ciclo dei Titans stia volgendo al termine è sempre più reale. Henry a gennaio festeggerà il trentesimo compleanno sorpassando un traguardo che spesso rende obsoleto un running back – anche se non mi stupirei se ridesse in faccia pure a questo luogo comune -, Tannehill ne ha recentemente compiuti 35 ed è in scadenza contrattuale e pure il neoarrivato DeAndre Hopkins sembra aver imboccato il viale del tramonto.
Ciò nonostante, sono troppo ben allenati per essere esclusi aprioristicamente da qualsiasi discorso playoff. Li conosciamo troppo bene per darli per morti ad agosto, Vrabel è stato consistentemente in grado di sopperire a ogni possibile mancanza tecnica grazie a doti di leadership fuori dalla norma e quella scaltrezza che solo un allievo di Bill Belichick può vantare.

Qualora dovessero restare sani e, soprattutto, se la linea d’attacco dovesse esprimersi a livelli perlomeno decorosi questo reparto potrà essere molto più pericoloso di quanto possiamo aspettarci, anche perché voci dal training camp parlano di un Treylon Burks pronto a esplodere.
Sono sicuro che in caso di rendimento insoddisfacente di Tannehill Vrabel non avrà problemi a gestire il ménage à trois under center fra Tannehill, il dimenticato Willis e Levis. Credo sia fin troppo consapevole della fortuna avuta a portarsi a casa Levis al secondo round del draft ed è nel miglior interesse della franchigia non sabotarne lo sviluppo con inutili melodrammi.
Mi piace pensare che il suo 2023 seguirà l’esempio stabilito dai Chiefs anni fa con Smith e Mahomes, dove il promettente rookie è stato relegato in panchina per tutto l’anno ad apprendere l’arte a distanza di sicurezza.

Sul versante difensivo non ho da segnalarvi novità clamorose, l’innesto più oneroso è stato quello del sottovalutato Arden Key che, di fatto, andrà a sostituire la scommessa persa Bud Dupree. Tennessee ha disperato bisogno di produttività dal pass rush e ammetto che la sterilità in questo aspetto del gioco mi perplime assai se si mette a fuoco quanto lo stesso front seven sappia essere dominante in run defense.
Correre contro Tennessee sarà molto difficile ma credo che chiunque proverà ad attaccarli via aria dove sembrano essere ancora permeabili e fragili.

Malgrado le premesse siano tutt’altro che ideali, anni di vigile osservazione m’hanno insegnato a non commettere l’errore di sottovalutarli, anche se questa volta appaiono in uno sconfortevole stato di transizione che raramente è sinonimo di successo.
Li posizionerei un gradino sotto i Jacksonville Jaguars, ma il fattore esperienza è sicuramente dalla loro parte, senza dimenticare che giocare senza l’opprimente favore dei pronostici può essere l’arma in più di cui hanno bisogno per fare lo sgambetto ai Jaguars.

I casi di Texans e Colts sono alquanto peculiari. Una panoramica del roster sarebbe a mio avviso insensata in quanto entrambe le squadre stanno attraversando i primi stadi di due ricostruzioni diametralmente diverse.
Che i Texans dovessero premere il bottone reset era chiaro da anni, più precisamente dall’inizio del caso Deshaun Watson che tra una cosa e l’altra li ha relegati in un limbo d’incertezza e passività per più di un anno.
Indianapolis, d’altro canto, è stata messa davanti alla necessità di ripartire da capo dalla cruda realtà dei fatti. Dopo numerosi e vani tentativi di sopperire all’assenza di Luck rivolgendosi a veterani a fine carriera, Indy ha deciso di percorrere la strada più battuta e di trovare il proprio quarterback del futuro affidandosi al draft.

La posizione degli Indianapolis Colts è veramente particolare. Dopo uno sguardo veloce al roster ci si renderà conto che non sia poi così tanto diverso da quello messo a disposizione di Matt Ryan lo scorso anno, quando erano convinti di poter arrivare fino in fondo: ha senso quindi parlare di ricostruzione?
Non saprei rispondervi, o almeno, abbiamo iniziato a parlare di ricostruzione solamente nel momento in cui la loro stagione è deragliata definitivamente. Sia quello che sia, Anthony Richardson – già proclamato titolare – sarà calato all’interno di un contesto timidamente competitivo, anche se pure questa volta il supporting cast messo a disposizione di un quarterback dei Colts lascia decisamente a desiderare.

Mi sembra democristiano dire che servirà pazienza con Richardson, ma se prendiamo per vero quanto detto dagli analisti siamo obbligati a pensarla così. Il quarterback dei Colts possiede mezzi atletici fuori dal comune che nemmeno i vari Justin Fields e Lamar Jackson possono vantare, ma avrà bisogno di tempo per essere sgrezzato affinché impari ad ammaestrare i propri doni.
Sarà necessario che impari ad ammaestrare il bazooka che ha termosaldato alla spalla destra, il livello in NFL è troppo alto per pensare di poter vincere affidandosi esclusivamente ai propri mezzi atletici.

Preoccupa e non poco la posizione di Jonathan Taylor, giocatore di cui Richardson avrebbe assoluto bisogno. In questo momento non è al training camp – motivi personali – e non credo di dovermi dilungare sull’importanza di un running back della sua caratura per lo sviluppo di un giovane quarterback.
L’avventura di Shane Steichen come allenatore è partita in modo tutt’altro che tranquillo, il caso Taylor e la pressione di far rendere fin da subito quello che agli occhi di Jim Irsay è il successore naturale di Peyton Manning e Andrew Luck lo stanno mettendo in una posizione tutt’altro che invidiabile.
Ciò che pare certo è che con Richardson under center siano destinati a trasformarsi in una delle squadre più divertenti da guardare della lega.

Sui Texans è ancora più complicato esprimersi con qualsivoglia grado di certezza: dopo un paio d’anni di apatica irrilevanza sono tornati a essere una franchigia perlomeno interessante e questo, cari lettori e care lettrici, è già tanto.
Da gennaio in avanti Houston ha inanellato mosse a mio avviso vincenti, anche se è facile parlare senza il contraddittorio offerto dal campo. Reputo inappuntabile la scelta di affidarsi a un homo novus come DeMeco Ryans, soprattutto dopo quanto fatto vedere ai 49ers dove ha sostituito armoniosamente Robert Saleh.

La voglia e il fisiologico bisogno di rompere con il passato si possono intercettare nel fatto che siano andati ad assicurarsi un pilastro in panchina, in attacco e in difesa attorno ai quali costruire le eventuali fortune del futuro.
Analisti e affini hanno criticato aspramente la decisione di sacrificare così tante scelte al draft per completare il back-to-back con protagonisti Stroud e Anderson Jr., ma come ho già detto ad aprile Houston aveva proprio bisogno di questo, di una clamorosa e vitale iniezione di adrenalina per scrollarsi di dosso il torpore che li attanagliava.

Dopo un paio d’anni d’accidiosa irrilevanza, Houston è perlomeno tornata a essere una squadra con prospettive di cui valga la pena parlare. Per come stanno le cose, Stroud e Anderson Jr. potrebbero rivelarsi due bust clamorosi, ma se non altro la loro progressione fra i professionisti ci regala qualcosa di cui tenere traccia, qualcosa da osservare settimana dopo settimana.
Un discreto finale di 2021 ci aveva spinti a illuderci che potesse essere Davis Mills la risposta per il futuro, ma la sua parabola da quarterback titolare s’è rivelata essere un fuoco di paglia a cui forse abbiamo dato eccessiva importanza poiché alla disperata ricerca di qualcosa d’interessante da dire su questa franchigia.

La speranza – nonché augurio – è che trovino un modo per non bruciare Stroud compromettendone irreparabilmente l’autostima, vi confesso che la batteria di ricevitori a sua disposizione mi lascia alquanto perplesso così come la qualità della linea d’attacco che dovrà proteggerlo, ma sto divagando: possiamo celebrare tutti insieme il ritorno degli Houston Texans in NFL?
Ça va sans dire che il record sarà assolutamente irrilevante, le aspettative sono giustamente basse e la loro stagione sarà valutata in funzione dello sviluppo di Stroud, Anderson Jr. e di Ryans come allenatore.

Insomma, la “peggior division della NFL” si è messa nella posizione di sbarazzarsi di quest’umiliante etichetta e, anche se sarà necessario più tempo di quello messo a disposizione da un singolo campionato, credo che saprà regalarci tanti spunti narrativi: già questo non è poco.
Poi, nel caso in cui i Titans dovessero riuscire a tenere interessante la corsa al titolo… beh, direi che avremo molto di cui parlare in autunno.

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