Siccome gestire la presentazione di trentadue squadre mi sembrava essere un impegno eccessivamente gravoso, ho pensato di imboccare una strada diversa, forse meno battuta ma a mio avviso soddisfacente, ossia quella di procedere per division: vi spiego.

Ad agosto, dopo mesi di instancabile labor limae, un numero sostanzioso di squadre ha valide – ai loro occhi – ragioni per pensare di aver fatto il necessario per garantirsi il trono della rispettiva division. O almeno, così la pensano prima di misurarsi con la realtà dei fatti che spesso si presenta sotto le spoglie delle tre coinquiline divisionali: in NFL, fortunatamente, le division contano ancora. E pure parecchio.

Analizzare le prospettive di quattro sorelle da un punto di vista esterno è senza dubbio intrigante e, a mio avviso, più esaustivo dato che nel processo di costruzione di un roster si tende sempre a tenere in considerazione i punti di forza delle tre sorelle divisionali per, naturalmente, neutralizzarli. È altresì vero che spesso le prospettive di una squadra siano definite dallo stato delle tre squadre con cui condividono suddetta division.
Non lo dico perché la AFC North è una division che per ovvi motivi mi sta particolarmente a cuore – ma va? -, ma perché lo penso: questa potrebbe essere la singola division più competitiva dell’intera NFL.

Sì, con Rodgers l’asticella in AFC East si è alzata ulteriormente. Sì, malgrado le delusioni dello scorso autunno la AFC West resta competitiva e intrigante. E sì, ho ben presente che la NFC East nel 2022 abbia spedito ben tre squadre ai playoff, ma quale altra division può vantare quattro legittime contendenti al trono divisionale?
Se per rispondermi puntate il dito in direzione della NFC South vi guardo male.

Ogni discorso riguardante la AFC North non può che partire dai Cincinnati Bengals. Quando under center puoi vantare un fenomeno generazionale come Joe Burrow sei costretto a puntare in alto, e non potrebbe essere altrimenti: stiamo pur sempre parlando di una squadra che nelle ultime due stagioni s’è fermata a tre punti di distanza prima dal Super Bowl e, lo scorso gennaio, dalla possibilità di giocarne un altro.

Cincinnati negli ultimi tempi ha dimostrato più volte di non aver particolari problemi a giocarsela ad armi pari con i Kansas City Chiefs, figuratevi che dei quattro testa a testa con Mahomes Burrow ne ha vinti ben tre. Per i Bengals il discorso division potrebbe essere quasi liquidato come una formalità, sono sufficientemente esperti e attrezzati per affrontare la regular season con il pilota automatico che intanto il loro campionato – quello vero – inizia a gennaio.
Tuttavia, malgrado l’eccellenza dei vari Burrow, Chase, Higgins e Hendrickson, il livello medio in AFC North è così alto che assegnarla loro d’ufficio non ha più alcun senso: non mancano le incognite.

La più grande riguarda ovviamente la salute di Joe Burrow, spedito ai box agli albori dei training camp da un infortunio al polpaccio che gli sta costando preziosi snap estivi. Mettere in preventivo ruggine, a questo punto, è assolutamente lecito.

 

Il roster, nello specifico, ci presenta un paio di novità piuttosto interessanti, prima fra tutte quella portata da Orlando Brown Jr., affidabile e solido – seppur mai spettacolare – tackle che innalza ulteriormente il livello di una linea d’attacco sì potenziata ma con ancora parecchi margini di miglioramento. Sono molto curioso di vedere all’opera il reparto difensivo che dopo aver perso Jessie Bates e Vonn Bell si presenta ai nastri di partenza con parecchi punti interrogativi nel retro della difesa.

La fila indiana per spodestare i Bengals è aperta da dei Baltimore Ravens finalmente sereni dopo aver completato le dodici fatiche d’Ercole necessarie a raggiungere l’intesa con Lamar Jackson per il rinnovo contrattuale. L’attacco, almeno sulla carta, promette fuochi d’artificio, anche se le prolungate assenze al training camp di Dobbins e Bateman abbassano sensibilmente la qualità del sonno di coach Harbaugh.
I Ravens che vedremo il prossimo autunno saranno completamente diversi da quelli che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo lustro. L’arrivo di Todd Monken – in cabina di regia come offensive coordinator al posto di Greg Roman – ridefinisce immediatamente l’aspetto del reparto, a questo punto decisamente orientato al gioco aereo.

Sotto gli ordini di Monken Baltimore proverà a battere gli avversari via aria. A testimonianza di quanto appena detto troviamo gli innesti primaverili di Odell Beckham Jr., Nelson Agholor e dell’elettrizzante Zay Flowers, messi a disposizione di Jackson per aiutarlo a compiere il definitivo salto di qualità come pocket passer.
Non mi aspetto che rinneghino le corse, ma credo che per la prima volta in carriera Jackson sarà messo in posizione di avere successo principalmente con il proprio braccio destro.
Resta da vedere se la linea d’attacco, magistrale in run blocking, riuscirà a eccellere pure nella protezione di un quarterback reduce da due finali di stagione passati a bordocampo, se non direttamente a casa.

In difesa i principali dubbi sono legati al pass rush, affidato a due giovani come Oweh e Ojabo. Il fatto che non siano andati a mettere sotto contratto un veterano free agent è estremamente incoraggiante, ma non ho particolare voglia di essere ottimista basandomi su un paio di report dagli allenamenti. La secondaria, seppur orfana dell’esperto Peters, induce alla salivazione: in particolare mi aspetto grandissime cose da Kyle Hamilton che con Marcus Williams potrebbe tranquillamente dar vita al miglior duo di safety della lega.

Affinché Baltimore possa competere seriamente con Cincinnati – oltre che con il resto della division – e fare strada a gennaio è prima di tutto fondamentale invertire il trend d’infortuni delle ultime stagioni. Presentarsi a dicembre con Tyler Huntley under center e con una difesa così rattoppata da risultare sfigurata raramente rima con successo, soprattutto in una conference così competitiva. La loro quest primaria sarà quella di eludere gli infortuni che hanno puntualmente deragliato le ultime stagioni.
A patto che Jackson e l’intero reparto offensivo non rigettino il marcato cambio di filosofia apportato da Monken.

Malgrado tutto, la singola squadra più affascinante della AFC North è quella che recentemente ha cambiato stemma, i Cleveland Browns.
Della trade di Watson abbiamo detto tutto quello che si poteva dire – se non di più -, dilungarsi in dietrologie non ha veramente più senso. Deshaun Watson è il quarterback dei Cleveland Browns, è stato appuntato dalla dirigenza come colui che li avrebbe fatti riemergere dal baratro dell’irrilevanza trasformandoli perlomeno in squadra stabilmente ai playoff: con tutte le attenuanti del caso, l’inizio non ha infuso chissà quale ottimismo nella fanbase più bistrattata dell’intera NFL.

Il giocatore visto nell’ultima metà della scorsa stagione era troppo sciatto per essere il vero Deshaun Watson, ma reputo saggio concedergli il beneficio del dubbio. Essere gettato nella mischia dopo anni – letteralmente – d’inattività in una squadra nuova con compagni con i quali non si ha avuto la possibilità di affinare l’intesa non può portare a niente di buono, e così è stato.
Abbiamo valide ragioni per aspettarci un Watson completamente diverso, un Watson privo di ruggine e finalmente a proprio agio nel sistema offensivo di Kevin Stefanski. Poter contare sull’aiuto del miglior running back della NFL è sicuramente incoraggiante, così come lo è dirigere un attacco dietro un vero e proprio muro: la linea d’attacco dei Browns, come oramai da tradizione, dovrebbe trovare spazio all’interno di una mostra d’arte moderna.

Per rendere l’idea dell’inimitabile brillantezza di questo reparto mi basterà mettervi al corrente della trasformazione in cigno del brutto anatroccolo Ethan Pocic, centro snobbato dai Seattle Seahawks che in una sola stagione in Ohio si è affermato come uno dei migliori nel ruolo, obbligando il front office dei Marroni a dargli immediatamente un triennale.
Non fraintendetemi, tanto di cappello a Pocic per aver salvato la propria carriera quando chiunque aveva perso le speranze, ma la sua inspiegabile metamorfosi è in parte da attribuire alla competenza di chi gli sta attorno.

Questo è l’anno della verità per i Browns e, soprattutto, Watson. Gli ingenti investimenti degli ultimi anni devono obbligatoriamente tradursi in vittorie, competitività e rilevanza ai playoff: sarebbe folle pensare che in caso di ulteriore fallimento mostrino la porta al quarterback, ma reputo improbabile che Stefanski riesca a sopravvivere a una stagione da sei-sette vittorie.
Hanno fatto quello che, stando a loro, dovevano fare per compiere il definitivo salto di qualità e ora il front office esige risultati.

I rinforzi in offseason sono arrivati principalmente laddove servivano di più, ossia lungo la defensive line e nel receiving corp. Per la prima volta in carriera Myles Garrett non sarà il nemico pubblico numero uno, allocare troppe risorse su di lui potrebbe essere deleterio con Za’Darius Smith dall’altra parte. E non dimentichiamoci dell’aggiunta di Dalvin Tomlinson che il suo in run defense lo fa sempre.
In attacco, invece, i nomi nuovi più interessanti sono quelli di Elijah Moore e Cedric Tillman: se uno dei due saprà elevarsi a Robin del sottovalutato Amari Cooper, molto probabilmente il gioco aereo dei Browns potrà fregiarsi di un’ottima efficienza.

Come già ripetuto ad nauseam, è il momento della verità per i Marroni, i pezzi sono tutti al posto giusto e il roster appare finalmente completo e sufficientemente competente per puntare ai piani alti della AFC.
Non ci troviamo davanti al classico caso di Super Bowl or bust, ma i playoff non possono che essere il punto di partenza per una franchigia che vuole scoprirsi grande.

E poi ci sono i Pittsburgh Steelers, la squadra che non muore veramente mai.
L’unico motivo per cui finora qualcuno si è ostinato a relegarli sul fondo della fittizia graduatoria di division risiede nell’inesperienza del quarterback, in quanto fra i quattro signal caller della North Kenny Pickett è – al momento – quello oggettivamente meno brillante, anche se quando la tua competizione è costituita da Lamar Jackson, Joe Burrow e Deshaun Watson l’asticella è giusto un pelo alta. Senza dimenticarci che stiamo comunque parlando di un sophomore.
Indipendentemente dall’incaricato alla distribuzione del pallone ho sufficienti elementi per deliberare che proiettarli all’ultimo posto sia insensato.

Guardiamo in faccia i fatti, questi sono notoriamente incapaci di terminare un campionato con un numero di sconfitte maggiore rispetto a quello delle vittorie. Sono sopravvissuti all’atrofizzazione del braccio destro di Roethlisberger e all’annata da rookie di Pickett – con qualche pizzico di Trubisky qua e là – portandosi a casa 30 vittorie complessive nelle ultime tre stagioni, ovviamente miglior dato in division in questo intervallo temporale: ripeto, tutto ciò con Roethlisberger in avanzato stato di decomposizione e Kenny Pickett rookie.

Più che a Pickett, i dubbi sono indissolubilmente legati a Matt Canada, offensive coordinator che definirlo controverso sarebbe un eufemismo. Non giriamoci attorno, finora la sua tenuta in Pennsylvania è stata disastrosa e l’attacco degli Steelers ha stazionato nella parte destra della classifica di quasi tutte le graduatorie offensive.
Il palpabile ottimismo è però dato dall’incontrovertibile fatto che, finalmente, la linea d’attacco potrebbe smettere di essere l’anello debole di un’altresì robusta catena. Le aggiunte di Seumalo via free agency e di Jones e Washington al draft potrebbero permettere al front office di togliere il cartello “lavori in corso” posto all’esterno della loro aula riunioni.

Con una linea d’attacco finalmente competente – sulla carta – Najee Harris potrebbe correre in modo efficiente e togliere pressione dalle spalle di Pickett che, a questo punto della carriera, ha bisogno di tutto l’aiuto di questo mondo. Anche perché le mani a sua disposizione non sono affatto malvagie, soprattutto se ci soffermiamo su quelle di un George Pickens che sembra seriamente intenzionato a ritagliarsi uno spazio nell’inimitabile lista di ricevitori di qualità sfornati dagli Steelers.
Tanti, troppi “se” o “ma” che potrebbero essere ridicolizzati dal campo, ma abbiamo valide ragioni per attenderci netti passi in avanti da un reparto che negli ultimi anni ha spesso tentennato.
Matt Canada permettendo.

Anche perché con una difesa del genere l’attacco non sarà sicuramente chiamato a cantare e portare la croce. Il terrificante front seven è rimasto sostanzialmente integro, anzi, hanno pure messo a segno una delle firme più sottovalutate dell’intera offseason rinnovando il contratto al mai-adeguatamente-celebrato Alex Highsmith che no, non arriva facilmente al quarterback esclusivamente grazie alla presenza di T.J. Watt.
Le novità più succose le troviamo in secondaria dove il venerando Patrick Peterson e il figlio d’arte Joey Porter daranno vita a un tandem di cornerback completamente inedito.
Sia quello che sia, potete stare certi che pure quest’anno metteranno a segno una marea di sack generando turnover più o meno a proprio piacimento.

La loro stagione non sarà valutata in funzione del record finale ma, piuttosto, basandosi sui progressi – o meno – di Kenny Pickett. Ripeto, sono i Pittsburgh Steelers, la squadra immune ai record negativi, quindi non ho dubbi che per l’ennesima volta riusciranno a vincere un numero soddisfacente di partite, ciò che mi interessa constatare è la modalità con cui arriveranno queste vittorie.
Se Pickett e l’attacco riescono a dare manforte al reparto difensivo possiamo ricominciare ad annoverarli fra le contender.

Un ultimo pensiero su questa division? Al momento vedo i Bengals un gradino sopra a chiunque – e non potrebbe essere altrimenti – ma mi risulta impossibile escludere aprioristicamente qualcuno dalla corsa all’oro, come abbiamo avuto modo di vedere tutte le squadre sono equipaggiate per togliersi soddisfazioni.
Non mi stupirei se i Ravens concludessero francobollati ai Bengals così come non batterei ciglio se a farlo fossero i Browns o gli Steelers. O se addirittura una di loro tre spodestasse Cincinnati.
Ci sentiamo fra qualche giorno per la AFC East.

2 thoughts on “NFL 2023 Preview: In AFC North chiunque vuole essere ottimista

  1. Se non è la migliore, questa è la division piú tosta. Bengals favoriti, le rivali però si sono organizzate in funzione anti Burrow: i Browns hanno cambiato defensive coordinator, i Ravens l’hanno cambiato l’anno scorso (i blitz di Martindale erano prevedibili), gli Steelers hanno blindato la coppia Watt- Highsmith.

  2. Da tifoso Steelers (perché Susan era di Pittsburgh) posso pensare di vederli arrivare davanti a una/qualcuna delle altre 3, ma fatico a vederli davanti a tutte. Di certo chi è favorito (Bengals) non appare dominante, può bastare poco a cambiare gli equilibri e magari può influire pure la variabile “calendario”: se la classifica intradivisionale resta equilibrata, dover affrontare o meno Chiefs e Bills rischia di essere un dettaglio non da poco.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.