Questo è un colpo che avevo in canna da tempo, mancava solo il pretesto che, (s)fortunatamente, è arrivato fra domenica e lunedì.

Jonathan Taylor, comodamente uno dei giocatori più brillanti dei tutt’altro che impressionanti Indianapolis Colts, è un running back che in quanto tale sa che quasi sicuramente la prossima primavera, una volta free agent, non riceverà un contratto commisurato alla sua produzione e importanza. Taylor condivide insieme a tanti altri colleghi una più che comprensibile frustrazione per la propria condizione e, una decina di giorni fa, ha preso parte a una riunione Zoom fra running back che non è particolarmente piaciuta a Jim Irsay, proprietario dei Colts.

Definire Irsay eccentrico sarebbe un eufemismo, mi limiterò a dire che sia… un personaggio. Infastidito dai venti rivoluzionari, Irsay ha ottenuto un faccia a faccia con Taylor per fare luce su quanto successo durante la riunione e, in caso, chiarire: poche ore dopo la conclusione della riunione su Twitter – continuerò a chiamarlo così per il resto dei miei giorni – fioccano tweet su una sedicente richiesta di trade.
Meno male che doveva essere un incontro chiarificatore.

Posso capire le ragioni d’entrambe le parti. Comprendo perfettamente il desiderio di Taylor di giocarsi il rinnovo – che a Indianapolis evidentemente non arriverà – altrove così come non fatico a capacitarmi della riluttanza di un front office a investire su un running back, ma non è questo il punto.

Ciò che mi intristisce è che nemmeno a un giorno di distanza dalla richiesta di trade di Taylor si cominci a vociferare di un infortunio alla schiena rimediato lontano dal campo che potrebbe essere costretto a espiare nella non-football injury list, purgatorio nel quale potrebbe trascorrere l’intero autunno senza uno stipendio.
Indovinate un po’ chi ha riportato questa notizia – prontamente smentita dal giocatore stesso? ESPN, ossia la casa di Adam Schefter, l’insider più potente e pervasivo che questo sport abbia mai conosciuto.

La lingua italiana pullula di topoi sul potere della prima impressione. Mai come in questo periodo storico la prima impressione soffre di solitudine, approfondire sembra essere definitivamente passato di moda. Gli insider, Adam Schefter in primis, hanno un ruolo centrale nella nostra esperienza NFL poiché sono coloro che giorno dopo giorno ci ingozzano di prime impressioni che, troppo spesso, vengono elevate a vere e proprie opinioni che possiamo essere addirittura disposti a difendere a spada tratta.

Va da sé che poter contare su informazioni accurate, imparziali e trasparenti sia fondamentale per far crescere in modo sano un movimento in costante espansione in un mondo che gira sempre più in fretta.
Il fatto che pure questa volta le “fonti” abbiano usato ESPN – aka Schefter – come megafono ci restituisce piuttosto bene la centralità che questi insider sono andati a guadagnarsi nel dibattito pubblico NFL.

Il discorso va ben oltre l’importanza della prima opinione. Front office, agenti e in alcuni casi addirittura proprietari si rivolgono a persone con milioni di follower per portare avanti la narrativa che preferiscono o di cui hanno più bisogno. Noi – plurale maiestatis obbligatorio – siamo così affamati di notizie che ogni volta finiamo inevitabilmente per trasformare uno spiffero in bufera andando a concepire opinioni sempre e comunque fondate su informazioni manipolate e parziali.
No, così non va bene.

Ai nostri occhi Taylor ora è un ciarlatano che, dopo non essere stato in grado di ottenere quello che voleva, ha tirato fuori dal cilindro un infortunio alla schiena per non prendere parte al training camp in segno di protesta. Taylor, professionista ed essere umano esemplare se ne esiste uno – fatevi il favore di andare a sentirlo parlare -, ha veementemente negato il tutto ma ormai è troppo tardi, per una parte consistente di appassionati il leading rusher del 2021 altro non è che l’ennesimo milionario viziato et cetera et cetera.
Non sarebbe stato meglio lasciare ai Colts l’onore di metterci al corrente “dell’infortunio” di Taylor?
Non credo di dovermi dilungare in spiegazioni.

In questo articolo “me la prendo” con Schefter in quanto re degli insider, ma credetemi, il problema è ben più vasto e va oltre il buon Schefter.
La figura dell’insider è in un certo senso necessaria, alla fine sono loro i protagonisti indiscussi di uno dei periodi più elettrizzanti dell’anno – la free agency – e non fosse per i loro tweet il nostro marzo sarebbe infinitamente più noioso. Abbiamo bisogno di loro tanto quanto abbiamo bisogno di vedere Justin Jefferson bruciare un cornerback correndo l’ennesima traccia perfetta, ma reputo necessario porre dei paletti.

Movimenti di giocatori, novità su rinnovi contrattuali e tutto ciò che riguarda la costruzione di un roster costituiscono esempi di notizie – non sempre – “sane” di cui cibarci, il resto è a mio avviso pattume. Ora datemi qualche centinaio di parole per fornirvi esempi concreti di quando un Adam Schefter inebriato dal proprio potere s’è dimenticato che uno degli obiettivi principali di questo fastidio chiamato vita sia semplicemente essere persone decenti.

Giorno dell’indipendenza del 2015 e fuochi d’artificio, trovatemi un’accoppiata più americana di questa.
L’incontenibile Jason Pierre-Paul sta festeggiando insieme ad amici e famiglia quando letteralmente in un istante la festa si trasforma in tragedia: qualcosa non va per il verso giusto e scoppia in mano un petardo/fuoco d’artificio a Pierre-Paul. La gravità della situazione è assolutamente sotto gli occhi di tutti, bastano poche parole per constatare la serietà della situazione.
Dopo qualche giorno di silenzio e apprensione, dal nulla ecco materializzarsi un disgusto cinguettio di Adam Schefter.

I medici hanno dovuto amputargli l’indice della mano destra e il mondo intero è venuto a saperlo così, per una soffiata del re degli insider che deve aver ottenuto da qualcuno una foto della cartella clinica di Pierre-Paul.
Non provate nemmeno a tirare fuori la parola “etica”, per avere successo nel proprio campo Schefter è stato costretto a vendere l’anima al diavolo e il desiderio di battere sul tempo la concorrenza sovrasterà sempre e comunque la volontà di essere una persona decente, ma è indubbio che una vicenda del genere sia oltremodo disgustosa.
Che ne è della privacy di un individuo fisicamente ed emotivamente in pena?

Passiamo a un altro caso, questa volta il protagonista è Dalvin Cook e il tweet in questione è quello sotto.

L’agente del giocatore, Zac Hiller, chiede al fidato Schefter di immettere nell’etere la notizia che il suo cliente sia vittima di un tentativo di estorsione da parte della sua compagna: da zero a cento così? È sicuramente peculiare che quello che appare a tutti gli effetti come un tentativo di difendersi da accuse molto serie di violenza domestica preceda l’accusa.
La presunzione di innocenza è un diritto sacro dell’uomo, ma non possiamo essere ingenui, ci troviamo davanti a un chiaro tentativo di manipolare l’opinione pubblica che leggendo la parola “estorsione” va automaticamente ad assolvere l’ex running back dei Minnesota Vikings e a colpevolizzare la partner.

Non voglio commettere l’errore di assumere per partito preso che Dalvin Cook sia colpevole, ma pure la compagna deve godere della presunzione d’innocenza: lasciamo che la verità – o quello che è – sia stabilita dalle forze dell’ordine, non da un tweet fazioso pubblicato su esplicita richiesta dell’agente del giocatore.
La versione della fidanzata sarebbe uscita solamente qualche ora dopo all’interno di un articolo pubblicato dal sito di ESPN, ma non cambia il fatto che l’opinione pubblica sia stata messa davanti prima a un tentativo di estorsione che di violenza domestica e che, come ripetuto già più volte, la prima impressione sia quella che in un paio di minuti si trasformerà in opinione.
Pure in questo caso Schefter avrebbe dovuto starne fuori – o perlomeno questo sarebbe stato il suo dovere morale.

Poi c’è il caso di Deshaun Watson, nello specifico un tweet pubblicato poco dopo che il grand jury rifiutò di incriminare – il che non bastava ad assolverlo definitivamente dalle accuse – Watson per i crimini di cui abbiamo parlato per mesi, se non anni.
A voi il tweet.

Questo altro non è che un comunicato rilasciato dall’entourage di Watson… con la stucchevole distinzione che a pubblicarlo non sia stato il suo agente, ma l’insider più influente del mondo NFL che in cambio di notizie in esclusiva ha accettato di trasformarsi in portavoce di un giocatore coinvolto in una vicenda ben più grande di lui.
Va precisato che successivamente Schefter si sarebbe scusato per le scelte lessicali all’interno del tweet, ma pure in questo caso la frittata è fatta.

Potrei andare avanti ore, ma sarò più didascalico.
Non possiamo dimenticare di quella volta che ha spoilerato il ritiro di Andrew Luck costringendolo a mettere in piedi la conferenza stampa più imbarazzante di cui io abbia memoria.
O anche quando durante un sabato di fine gennaio ha annunciato il (primo) ritiro di Tom Brady che sarebbe stato confermato solamente un paio di giorni dopo.
Credo che sia Luck che Brady si fossero guadagnati il diritto di annunciare personalmente il ritiro, ma probabilmente sbaglio.

Qualcuno di voi si è dimenticato della riprovevole mancanza di sensibilità dopo la morte del povero Dwayne Haskins? Nulla di imperdonabile, ma diciamo che ci sono modi migliori per comunicare al mondo una notizia così drammatica rispetto al suo “Dwayne Haskins, a standout at Ohio State before struggling to catch on with Washington and Pittsburgh in the NFL, died this morning when he got hit by a car in South Florida, per his agent Cedrick Saunders. Haskins would have turned 25 years old on May 3”.
Pure in questo caso si è scusato, anche se fa sorridere che lo abbia fatto in un video infestato di watermark del suo podcast.
Muore un ventiquattrenne e la tua preoccupazione principale è quella di mettere in rilievo quanto deludente sia stata la sua avventura fra i professionisti?
Umanità, caro Adam, umanità.

Non voglio assolutamente demonizzare la figura dell’insider, tutt’altro, vorrei solo che, vista la loro assoluta importanza nel dibattito pubblico, si attenessero a standard etici più alti rispetto a quelli del tifoso comune.
Peccare consistentemente di tatto quando di mezzo ci sono crimini sessuali o addirittura la morte è riprovevole. Questi comportamenti reiterati prendono a pesci in faccia quella “deontologia” che dovrebbe guidare la mano di ogni vero giornalista nel momento in cui impugna la tastiera o lo smartphone per condividere una notizia con il mondo intero.
Schefter dopotutto è e resta un giornalista.

Perciò, cari lettori e care lettrici, accogliamo sempre con rispettosa diffidenza le parole dell’Adam Schefter di turno che, alla fine dei conti, altro non è che il portavoce di qualcuno che si è reso disponibile a fornirgli quelle notizie.
Non possiamo aspettarci che ESPN, oggi più disperata che mai, metta Schefter davanti alle conseguenze delle proprie azioni, alla fine dei conti resta la loro risorsa più preziosa in un momento in cui l’azienda sta drammaticamente facendo la muta. In questo momento storico è praticamente intoccabile e, a mio avviso, sta abusando del suo stato speciale.

Abbiamo il dovere morale di fidarci di lui esclusivamente quando ci parla di mercato e affini, non quando affronta cose serie poiché le fonti di queste notizie sono inevitabilmente e tetramente contaminate. Se ESPN non è nella posizione di mettergli un freno ai tweet tutto ciò che ci resta da fare è decidere deliberatamente di non prestar loro attenzione.

3 thoughts on “Gli “insider” sono il problema della NFL di cui nessuno vuole parlare

  1. Indignazione più che legittima, è un problema enorme di credibilità di stampa, social e comunicazione in genere che riguarda la NFL come ogni altro ambito di attività sportiva e non…

  2. Il giornalismo è morto (e lo sport non sta tanto bene). Codesti individui sono solo feccia. Peggio dei paparazzi.

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