Come già accennato qualche episodio fa, la narrazione sportiva vive, respira e si alimenta di cliché.
Uno dei cliché più imperscrutabili ed enigmatici recita che la parte difficile non sia vincere, ma riconfermarsi. Osservando le carte sul nostro tavolo ci risulta impossibile non aggrottare le sopracciglia: questi Green Bay Packers non solo hanno tutto il necessario per riconfermarsi, ma potrebbero addirittura elevarsi a dinastia.
Possono vantare una difesa che l’anno prima aveva concesso, in media, la miseria di quindici punti a partita nella quale spicca un Clay Matthews sempre più verosimile candidato al premio di difensore dell’anno.
La profondità del reparto offensivo è così incomprensibile che sembra sintetica, uscita direttamente dall’ultimo capitolo di Madden NFL: Rodgers può indirizzare il pallone a Jordy Nelson, Greg Jennings, James Jones, Donald Driver, Jermichael Finley e al secondo round del draft hanno selezionato questo Randall Cobb che sembra eccellere in ogni aspetto del gioco.
E poi, ovviamente, c’è lui, Aaron Rodgers.
Liberatosi definitivamente dell’ingombrante ombra di Brett Favre, il numero 12 ora può affrontare il resto della carriera preoccupandosi esclusivamente di essere la miglior versione di se stesso, non di qualcun altro: lusso tutt’altro che banale.
In sole tre stagioni il reietto al draft del 2005 non solo ha polverizzato il legittimo scetticismo di un’intera città, ma si è pure affermato come uno dei migliori quarterback della lega portandosi a casa un Super Bowl che, piaccia o meno, ne ha già definito la carriera.
Ora può finalmente giocare sereno, consapevole di non aver più nulla da dimostrare a nessuno, anche se è perfettamente consapevole che per salire la scala dei più grandi di tutti i tempi sia necessario rimpinguare la bacheca con almeno altri due anelli in modo da incalzare Joe Montana.
[Brady, a quei tempi, di anelli ne poteva vantare “solamente” tre.]
Definire l’inizio promettente sarebbe l’eufemismo del secolo.
Green Bay è nettamente la miglior squadra del campionato, è perfino imbarazzante per chi si è imposto di cantarne le imprese. Solamente l’attacco dei leggendari Patriots del 2007 ha concluso una stagione con più punti a referto della loro versione del 2011: 560 punti in sedici partite, o se preferite 35 punti tondi tondi a uscita.
Non troppi mesi dopo aver esorcizzato il demone Favre, Rodgers s’è catapultato in un’atmosfera piacevolmente solitaria, quella riservata al miglior giocatore della lega.
I suoi numeri, molto semplicemente, non hanno senso. Più di 4600 yard completando il 68.3% dei lanci tentati per 45 touchdown a fronte di sei ridicoli intercetti. Se ai touchdown lanciati addizioniamo pure quelli “corsi” il totale schizza a 48: imbastire una discussione sull’MVP sarebbe un esercizio retorico inutile, quel premio è obbligatoriamente suo.
Non deve quindi sorprendere che i Packers abbiano concluso con un impressionante 15-1 macchiato da uno sciocco scivolone ad Arrowhead contro Kansas City, quando sul 13-0 Green Bay s’è fatta sorprendere dagli assolutamente mediocri Chiefs di Kyle Orton disposti a tutto pur di tenere Rodgers e soci relegati a bordocampo.
Miglior record della NFL, fattore campo per tutti i playoff e una settimana di prezioso riposo. Dopo una veloce sbirciatina dall’altra parte della lega ci si può cominciare a leccare i baffi pregustando un incrocio coi New England Patriots di Tom Brady al Super Bowl: Brady contro Rodgers, il miglior giocatore della lega contro l’uomo a cui ha appena rubato lo scettro.
Prima, però, è necessario liquidare la pratica NFC.
Al Divisional Round li attendono i New York Giants, entrati ai playoff per il rotto della cuffia grazie alla decisiva vittoria di Week 17 contro i Dallas Cowboys che è valsa loro la NFC East.
New York è una squadra tanto talentuosa quanto lunatica, hanno quello che serve per giocarsela ad armi pari contro chiunque ma, per un motivo o per l’altro, qualcosa di immateriale sbarra loro la strada verso la competitività stabile.
Il giorno prima, tra l’altro, i San Francisco 49ers avevano timbrato il biglietto per il Championship Game aggiudicandosi una delle partite più emozionanti e convulse della storia contro i New Orleans Saints: che soddisfazione sarebbe arrivare al secondo Super Bowl consecutivo a scapito di quei ‘Niners che parecchi anni prima lo avevano snobbato per Alex Smith?
Lettori e lettrici, si apre ufficialmente la stagione dei rimpianti.
Se c’è una squadra capace di ribaltare i pronostici ai playoff è proprio quella blu di New York: il punteggio finale recita un perentorio 37 a 20 per gli ospiti. Una stagione da quindici vittorie, un MVP e fior di record cancellata con un secco colpo di spugna di Eli Manning.
Probabilmente Green Bay stava già pensando a San Francisco, non c’è altra spiegazione, e l’ultima cosa che puoi permetterti di fare è sottovalutare – specialmente ai playoff – una squadra caustica come i New York Giants.
Rodgers il suo l’avrebbe anche fatto, ma la linea d’attacco non è riuscita a difenderlo dall’assedio del pass rush newyorkese che con quattro sack non gli ha mai permesso di trovare il ritmo.
Quando il quarterback riusciva a eludere a la pressione avversaria a tradirlo c’hanno pensato proprio i ricevitori, il punto di forza di questa squadra: nove drop sarebbero inaccettabili in qualsiasi partita, figuriamoci ai playoff.
Per non parlare dei tre fumble commessi, tutti ovviamente recuperati dai Giants.
C’è qualcosa di poetico nel fatto che a risvegliarli dal sogno ci abbiano pensato gli stessi Giants che qualche anno prima avevano mandato i titoli di coda all’epopea di Favre in Wisconsin: pure in questo caso la squadra della Grande Mela è andata ad aggiudicarsi il Super Bowl prendendo lo scalpo ai favoritissimi New England Patriots.
Le soddisfacenti analogie che ci permettono di definire burloni gli dei del football.
Il bello dello sport è che, pandemie o lockout a parte, c’è sempre l’anno dopo per rifarsi – anche se quest’aforisma democristiano non può in alcun modo rendere meno dolorosa la consapevolezza di aver sprecato un’occasione colossale non solo di vincere un altro Lombardi, ma anche di dare vita a una nuova grande dinastia. Proprio nella città nella quale è nata la prima in assoluto dopo la fusione fra NFL e AFL.
Il 2012, seppur meno brillante dell’impareggiabile 2011, vede i Packers compensare a un tentennante avvio da 2-3 con un ottimo 9-2 che permette loro di aggiudicarsi il secondo titolo divisionale consecutivo.
I numeri di Rodgers, se così si può dire, peggiorano… anche se è buffo parlare di peggioramento al cospetto di una stagione da 39 touchdown e 8 intercetti: come direbbero quelli bravi, problemi da primo mondo.
Snobbare la regular season non è fra gli obiettivi di questa serie d’articoli, ma è lapalissiano che i Packers di Rodgers si siano affermati come squadra che ai playoff si qualifica pressoché automaticamente.
Se il 2011 ha insegnato loro qualcosa è che sia meglio essere freddi a settembre che presentarsi in ipotermia a gennaio dopo un autunno rovente: a definire la stagione di questa squadra da oggi in poi ci penserà esclusivamente il mese di gennaio e, se tutto va bene, febbraio.
La regular season per loro altro non è che un lungo e tortuoso percorso di preparazione ai playoff: questo è ciò che separa una buona squadra da una grande squadra.
Dopo aver liquidato i Vikings dell’MVP Adrian Peterson 24 a 10, con una stagione di ritardo Rodgers può finalmente prendersi la propria personalissima rivincita con i San Francisco 49ers, nel frattempo affidati all’esplosivo Colin Kaepernick.
Prima di trasformarsi in uno dei personaggi più controversi e polarizzanti nella variegata storia della NFL, Colin Kaepernick è anche stato un quarterback per il quale non esistevano risposte, un’arma di distruzione di massa che settimanalmente spingeva il defensive coordinator avversario a porsi diverse domande sulle proprie scelte professionali.
L’inizio è incoraggiante, Sam Shields riporta in end zone un intercetto lanciato da Kaepernick, ma è tutto inutile, il numero 7 dei 49ers è su un altro pianeta rispetto a chiunque e conclude la giornata con il record – che resiste tuttora – di rushing yard guadagnate da un quarterback in una singola partita, 181 su 16 portate con due touchdown – ai quali ne vanno aggiunti i due lanciati con il braccio destro.
Il 45 a 31 ‘Niners è perentorio, lapidario. Questo punteggio ci restituisce ancora una volta una squadra lacunosa e puntualmente molle a gennaio, il momento dell’anno nel quale sono chiamati a battere un colpo: altroché dinastia, qui è diventato tutt’altro che banale vincere una singola partita ai playoff.
Il 2013 non può che essere bollato come anno buttato, seppur addolcito da una soddisfazione di cui vi parlerò fra poche righe.
Il carro comincia a perdere le ruote, James Jones è perseguitato da fastidi fisici, Randall Cobb dopo una manciata di partite viene costretto ai box da una gamba rotta e Jermichael Finley vede la propria carriera finire a causa di un infortunio al midollo spinale.
La produzione offensiva passa dalle gambe di Eddie Lacy, massiccio running back che a fine anno vincerà il premio di rookie dell’anno, ma durante Week 9 ecco il patatrac definitivo.
I Packers navigano su un tutto sommato tranquillo 5-2, sono primi in division e ad attenderli al varco ci sono i soliti Chicago Bears per una partita dal peso specifico enorme per la corsa al titolo della NFC North – oltre che per una rivalità che trascende i confini sportivi.
Prima serie offensiva della partita, il possesso è dei Packers e con metodicità stanno percorrendo il campo. Terzo-e-otto sulle nove dei Bears, snap piuttosto delicato.
Rodgers riceve lo snap, completa la prima lettura, esce dalla tasca come suo solito ma i Bears sono pronti, lo conoscono troppo bene: Shea McClellin si divincola dal “proprio” offensive lineman e si lancia alla rincorsa del quarterback, riuscendo ad atterrarlo piuttosto brutalmente da dietro.
Rodgers è dolorante e ha tutti i motivi per esserlo: clavicola rotta, i tempi per il recupero non sono ben chiari.
Le sconfitte cominciano ad accumularsi e nulla sembra poter attutire una caduta libera imposta da infortuni e sfortuna.
Malgrado la strada per il titolo divisionale sia più che spianata, i Bears li emulando cominciando a tentennare e si costringono nella posizione più scomoda possibile, quella di un winner takes all durante l’ultima settimana di regular season: gli avversari, ovviamente, sono i Green Bay Packers.
Ci sarà Aaron Rodgers.
Riassumere un evento complesso e articolato come una partita di football americano attraverso una sola giocata a primo acchito è intellettualmente pigro e inappropriato, ma in questo caso un paio di numeri e un simbolo sintetizzano accuratamente ore di gioco: 4&8.
Ultimo quarto, sei minuti abbondanti rimasti sul cronometro, Green Bay è sotto solamente di una lunghezza – 28 a 27 Bears il punteggio – ma è tediosamente lenta a muovere le catene.
Con meno di un minuto rimasto da giocare, l’intera stagione di Rodgers e compagni passa da una conversione su quarto down: sulle 48 dei Bears, i Packers devono guadagnare almeno otto yard per tenere vive partita e stagione.
La pressione dei Bears è feroce, ma problemi di comunicazione in secondaria permettono a Randall Cobb di sgattaiolare alle spalle di ogni singolo avversario: a separarlo dalla end zone c’è solo un oceano d’erba semi-ghiacciata.
Rodgers, sopravvissuto all’assalto degli orsi in pass rush, carica il braccio destro e manda in orbita un pallone che trova Cobb completamente solo per il touchdown del sorpasso, della vittoria e della qualificazione ai playoff.
48 days until Packers football.
4th and 8.
48 yards.
Randall Cobb, Bear Killer ™️ pic.twitter.com/ZPe2NqzOSn— sam. (@sammwichh) July 25, 2022
La settimana dopo, per il secondo anno consecutivo, i loro sogni di gloria vengono spezzati dai San Francisco 49ers, questa volta con un meno roboante – ma ancor più doloroso – 23 a 20 sigillato da un piazzato di Phil Dawson a tempo scaduto.
Almeno questa volta ci sono delle attenuanti, è oggettivamente già tanto che Green Bay sia riuscita a prendere parte ai playoff, la speranza è di godere di sufficiente salute – e fortuna – per rifarsi nel 2014.
Tutti i segnali sembrano suggerire che sì, il 2014 sarà l’anno del riscatto con la erre maiuscola.
Rodgers è indemoniato, come avesse nuovamente qualcosa da dimostrare e qualche malalingua da zittire. L’attacco dei Packers è il migliore della lega, Lacy si è confermato essere un running back estremamente efficiente e il duo Nelson-Cobb ha prodotto complessivamente più di 2800 yard e 25 touchdown.
In quello che a mio avviso resta un grottesco furto, Rodgers soffia l’MVP a un J.J. Watt che se non lo avete visto non ci potete credere. Oltre ai canonici 20-eppassa sack, Watt si toglie pure lo sfizio di segnare tre touchdown offensivi che se sommati a una pick six e un fumble riportato in end zone danno come risultato cinque touchdown totali, gli stessi touchdown messi a referto da LeSean McCoy.
Che il 2014 possa essere l’anno di Rodgers e dei Packers viene ribadito durante il Divisional Round quando, contro i Dallas Cowboys, gli arbitri tolgono a Dez Bryant la ricezione che ha spaccato in due Twitter. Green Bay avrebbe avuto l’opportunità di rispondere, questo è fuori questione, ma… chissà come sarebbe andata.
È o non è una ricezione? Nemmeno nel 2023 abbiamo trovato una risposta univoca a questa domanda esistenziale.
In ogni caso, i primi tre quarti dell’NFC Championship Game contro i Seattle Seahawks sembrano aderire perfettamente al filo conduttore dell’ineluttabilità: Seattle, inspiegabilmente, s’è dimenticata come giocare a football americano.
Nei primi trenta minuti di gioco i Seahawks commettono quattro turnover che, però, Green Bay non sfrutta nel migliore dei modi concludendo sopra “solamente” 16 a 0.
Fortuna vuole che poco dopo un timido e improbabile touchdown dei Seahawks – lanciato dal punter Jon Ryan al tackle Garry Gilliam – Wilson sparacchia il quarto intercetto della sua giornata: sotto di due possessi con circa cinque minuti da giocare, è lecito affermare che la stagione dei Seahawks sia ai titoli di coda.
Questo è l’anno dei Packers e ora, a cinque minuti dalla sirena, devono solo bruciare un po’ di tempo e, magari, muovere un paio di volte le catene: ordinaria amministrazione per i Green Bay Packers di Aaron Rodgers.
Vero?
In un battito di ciglia gli dei del football sembrano voltare le spalle ai Packers: tutto quello che può andare male va puntualmente peggio.
Il loro drive si impantana immediatamente e riescono a far trascorrere solo un misero minuto, poco meno del tempo necessario ai Seahawks per percorrere il campo e portarsi sotto di un solo possesso grazie a un touchdown di corsa di Russell Wilson.
Con due minuti rimasti sul cronometro e un solo timeout a disposizione, Seattle deve categoricamente recuperare l’onside kick, un’occorrenza che la scorsa stagione si è verificata solamente nel 5% dei tentativi.
Brandon Bostick, tight end di profondità con un ruolo marginale nell’attacco dei Packers, deve concentrarsi esclusivamente sul proprio uomo da bloccare, le mani che devono ricevere l’onside kick sono quelle di Jordy Nelson, appositamente interpellato per recuperare il possesso e scrivere la parola fine a quella che per loro si sta trasformando in una farsa.
Dal nulla, o per volontà degli dei del football, Bostick ignora il proprio compito e smanaccia il pallone nel tentativo di riceverlo, dando così allo sconosciuto Chris Matthews l’opportunità di trasformarsi istantaneamente in eroe: possesso Seahawks.
Il touchdown – con conseguente conversione dei Seahawks – è una formalità, Green Bay è sotto di tre punti ma fortunatamente Rodgers fa quello che deve fare e mette Crosby nella posizione di spedire ai supplementari una partita assolutamente vinta fino a qualche istante prima.
Una volta arrivati ai supplementari, di nuovo, gli dei del football strizzano l’occhio ai Seahawks facendo rimbalzare favorevolmente la moneta. Il possesso è loro, il touchdown è scontato, implicito, quasi dovuto.
E infatti, dopo mezza dozzina di snap, Wilson concepisce uno stupendo arcobaleno che sfocia dritto dritto nelle mani di Jermaine Kearse: al Super Bowl ci vanno i Seahawks.
Riprendersi da una sconfitta del genere a questo punto del campionato è semplicemente impossibile.
Questa volta i Packers si sono superati, non solo hanno sprecato l’ennesima opportunità di rimpinguare la collezione d’argenteria, sono andati a perdere una partita già vinta nel modo più paradossale, farsesco e comico possibile.
Cosa succede ogni maledetto anno ai playoff?
Com’è possibile che una macchina spesso perfetta sia puntualmente vittima di blackout simili?
Dal Super Bowl vinto contro gli Steelers il ruolino di marcia ai playoff recita un deprimente 2-4, non sicuramente un record consono a una squadra che durante la regular season, quando sana, è una delle più vincenti in assoluto.
Il numero di incontri ai playoff vinti da Rodgers nell’ultimo quadriennio è pari a quello di MVP: frase strana, ne sono consapevole, ma non sicuramente lusinghiera.
Nel 2011, nel bel mezzo di una campagna da 15 vittorie, chi poteva immaginarsi una simile sciatteria ai playoff da parte di una squadra che ha già dimostrato di saper come arrivare fino in fondo?
Hanno ancora tempo per trasformare i rimpianti in passaggi obbligatori di un lungo processo formativo, ma la sensazione che comincia ad aleggiare per la lega è che i Packers stiano sprecando clamorosamente occasioni che, a breve, potranno solo sognare.
Il talento di Rodgers è sconfinato, dal 2010 ha vinto abbastanza premi individuali e di squadra da essersi guadagnato un posto nella Hall of Fame dopo soli sette anni da titolare, ma c’è altresì da tener ben presente quell’inquietante 2-4 in postseason.
Cosa vogliono fare della loro vita i Green Bay Packers?
Siamo sicuri che Rodgers abbia la forza mentale necessaria per emulare un Tom Brady qualsiasi e, semplicemente, rifiutarsi di uscire dal campo sconfitto quando la posta in palio è davvero alta?
Lo scopriremo nei prossimi episodi.
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango male. Ora mi trovate su https://matiofubol.substack.com/
Che ricordi la stagione 2011! Tre partite a settimana su Sport Italia, con tanto di approfondimento giornaliero alle 14.00, con Bagatta e Peterson. Tema più discusso dai due: riusciranno i Packers a fare la stagione perfetta? Poi lo schock dell’eliminazione coi Giants: lì ho capito che il football è lo sport più imprevedibile tra tutti. Bei tempi: tanto football in chiaro, e perdipiù ero giovane!
Poi, vabbè, quella partita con Seattle è una delle più memorabili che abbia mai visto: e di partite memorabili non ne ho viste poche.
LE PARTITE SU SPORTITALIA! Roba che veramente mi sembra di parlare di seicentoventidue anni fa… Che tempi.
Da quello che ho capito, Sportitalia fece il passo più lungo della gamba, spendendo soldi per diritti sportivi che poi non sarebbero rientrati, come quelli per la Nfl o quelli per Nba tv (una partita al giorno). Tant’è che dovette chiudere e quella che poi è rinata ha deciso di essere parsimoniosa e basarsi più sulle chiacchiere che sulle dirette di eventi sportivi. I tre canali della vecchia Sportitalia li avevo messi ai n. 1-2-3 al posto della Rai, mentre questa nuova Sportitalia non riesco più a seguirla, ma capisco la loro posizione.
Poi la Nfl andò per un paio d’anni su Italia 2: lì il servizio era un po’ meno efficiente (talvolta la dirette saltavano e le partite potevi vederle solo il pomeriggio seguente in differita), ma era comunque un servizio gradito, anche perché internet non era quello di oggi. Le sintesi sul canale You tube della Nfl, che oggigiorno durano tra i 10 e i 15 minuti, all’epoca duravano al massimo 3 minuti; e talvolta ti ritrovavi sintesi da un minuto e mezzo!