Qua la situazione è veramente tragica.
Scrivo di football dal 2016 – passi in avanti fatti? Non molti – e non ho ricordi di una offseason così mogia, piatta e sterile. Sfuggevole e repentina come una stella cadente, la free agency ha illuminato la nostra notte giusto per un paio di secondi e, a dire il vero, la luce non era poi così intensa, o almeno non sufficientemente da lasciarci a bocca aperta.
Dopo che i Carolina Panthers hanno scalato il tabellone nel tentativo di risvegliarsi dal sonno dogmatico in cui sono precipitati dopo il crollo fisico di Cam Newton, pure il draft ha smesso di fornirci spunti narrativi particolarmente interessanti.
Figuratevi che siamo arrivati a quel punto dell’anno in cui per stravolgere un po’ gli ingessati mock draft e creare dibattito si catapultano al primo round quarterback che con ogni probabilità verranno selezionati durante il secondo o il terzo giorno: ricordate di Malik Willis ai Lions con la seconda scelta assoluta?

Sia nel football americano che nella vita reale, se si è impossibilitati a guardare avanti la miglior cosa che ci rimane da fare è riflettere un po’ sul passato – nella speranza imperitura che ciò ci permetta di comprendere meglio il futuro: era da anni che volevo scrivere questo articolo.
Per ragioni dannatamente umane, ci dà quasi più soddisfazione parlare di fallimenti che di storie di successo – arriverà un articolo pure su di loro, tranquilli – e nulla alimenta meglio i nostri dibattiti che discutere di bust, soprattutto se ci si sofferma a ragionare sui giocatori selezionati dopo suddetti bust.
Partirò dal 2010 e mi fermerò al 2019, è ancora troppo presto per giudicare la classe del 2020 con cognizione di causa, quindi mettetevi comodi che probabilmente uscirete da questo articolo doloranti.


2010 – Tim Tebow, quarterback, Denver Broncos

Selezionato con la scelta numero: 25 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Rolando McClain, Jahvid Best e Sergio Kindle.

Io senza Tim Tebow quasi sicuramente non sarei qua.
Ho cominciato a seguire distrattamente la NFL fra 2009 e 2010, ma il 2011 è stato l’anno che mi ha convinto a bruciare le vesti di occasionale per dedicarle anima e corpo: il 2011, fatalità, è passato alla storia per l’uragano Tebowmania.
Chi ha visto sa, chi non ha visto deve solamente sapere che in un modo o nell’altro, quasi per volontà divina, i Denver Broncos riuscivano consistentemente a vincere partite sulla sirena compensando miracolosamente a 55 minuti di raccapricciante inettitudine offensiva con volate vincenti alimentate dal suo impareggiabile atletismo. A posteriori è più che lecito affermare che i meriti di tali vittorie andassero attribuiti al commovente lavoro del reparto difensivo e a un Matt Prater apparentemente infallibile negli ultimi 15 minuti di gioco.
Immaginatevi assistere settimanalmente a scene del genere alla tenera età di quindici anni.

Tim Tebow è tutto ciò che chi è prevenuto reputa essere Lamar Jackson, ossia un running back che di tanto in tanto lancia. Tebow, purtroppo per lui, a causa di una meccanica da film dell’orrore e un braccio sinistro non sicuramente progettato per lanciare con precisione il pallone da football non è mai stato in grado di adempiere ai doveri di un quarterback: credo che l’orribile 47.9% di completi in carriera ci dica tutto quello che dobbiamo sapere sulla sua efficienza come quarterback.
È stato divertente, è stato iconico, è stato indimenticabile, ma il front office di Denver con Tebow ha preso uno dei più grossi granchi nella storia NFL, anche perché nel secondo round sono stati selezionati dieci Pro Bowler, fra cui un certo Rob Gronkowski da Arizona.
Mi piace pensare che abbiano deciso di rivolgersi a Peyton Manning anche grazie al suo “contributo”.


2011 – Jake Locker, quarterback, Tennessee Titans

Selezionato con la scelta numero: 8 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Christian Ponder, Danny Watkins e Jonathan Baldwin.

Il draft del 2011 è stato fra i più clamorosi del ventunesimo secolo – se non di sempre: solamente nel primo round sono stati selezionati futuri Hall of Famer come Von Miller, J.J. Watt, Julio Jones, Patrick Peterson, Tyron Smith, Cameron Heyward e Cameron Jordan.
Assodato che finché il proprio fisico glielo ha permesso Cam Newton sia stato un grandissimo quarterback, quanto accaduto fra la scelta numero 8 e 12 è storico per le ragioni non particolarmente edificanti: con la numero 8 i Titans hanno selezionato Jake Locker, con la 10 i Jaguars Blaine Gabbert e con la 12 i Vikings Christian Ponder.
Che disastro.

Gabbert, nonostante tutto, è ancora in NFL e si è trasformato in affidabile backup che, tra le altre cose, ha pure avuto l’onore di vincere un Super Bowl insieme a Tom Brady, mentre per quanto riguarda Ponder e Locker il discorso assume sfumature ben più drammatiche.
Locker, limitato da una miriade di infortuni che non gli hanno mai permesso di scendere in campo per più di 11 partite in una stagione, ha giocato il proprio ultimo snap fra i professionisti nel 2014: quando si seleziona un quarterback così presto al draft ci si aspetterebbe qualcosina in più che 23 misere partite da titolare.
Ponder è durato poco più del collega.


2012 – Trent Richardson, running back, Cleveland Browns

Selezionato con la scelta numero: 3 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Justin Blackmon, Brandon Weeden e A.J. Jenkins.

Qua i Marroni hanno violato il primo peccato cardinale del draft: non devi selezionare un running back al primo giro, figuriamoci con la terza scelta assoluta.
Quanto appena detto mi lascia alquanto perplesso, ma se i matematici di Pro Football Focus – che da anni hanno elevato questa regola a mantra del sito – ne sono convinti chi sono io per smentirli?

Per soffiarlo ai Tampa Bay Buccaneers Cleveland era stata addirittura costretta a cedere un bilico di scelte ai Minnesota Vikings per salire solamente di una posizione, in quanto il rischio che i Bucs li battessero sul tempo e si impossessassero della preziosa terza scelta assoluta era più che concreto.
Dopo un paio di partite promettenti, Richardson s’è affermato come uno dei running back più inefficienti della lega – 3.6 yard a portata da rookie – tanto che i Browns, dopo solamente 17 partite in Ohio, lo hanno impacchettato e spedito ai Colts che a seguito di due stagioni deludenti hanno riconosciuto il proprio errore tagliandolo nei primi mesi del 2015.
Attualmente gioca per i Caudillos de Chihuahua in Messico e, giusto per chiudere con il botto, mi sento obbligato a riportarvi che durante i tre anni in NFL abbia guadagnato in media 3.3 yard a portata, un numero che si commenta da solo.


2013 – Dion Jordan, defensive end, Miami Dolphins

Selezionato con la scelta numero: 3 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Dee Milliner, Luke Joeckel ed E.J. Manuel.

Il draft del 2013 è universalmente visto come uno dei peggiori del ventunesimo secolo – vorrei scriverci qualcosa a riguardo – e parlare di un solo bust mi sembra alquanto irrispettoso verso un’annata storicamente disastrosa, ma queste sono le regole del gioco – che a breve violerò.
Sono stato indeciso fino all’ultimo fra lui e Joeckel, ma una provvidenziale camminata chiarificatrice ha sciolto ogni dubbio: Dion Jordan in carriera ha giocato da titolare solamente cinque partite, serve altro?
Sì, un giocatore scelto con la terza chiamata assoluta al draft che ha costretto la propria squadra a bruciare pick per salire di posizione – alla storia a quanto pare piace ripetersi – è stato in grado di scendere in campo da titolare solamente in cinque misere occasioni: così fa male.

Cos’è successo, vi chiederete: infortuni e sospensioni, sospensioni e infortuni. Joeckel, se non altro, 50 partite le ha giocate e malgrado sia durato solamente cinque stagioni può dire di aver dato un contributo tangibile – seppur in negativo – alla propria squadra. Jordan, invece, a Miami ha spezzato solo un numero indecente di cuori.


2014 – I Cleveland Browns

Selezionato con la scelta numero: Justin Gilbert con l’ottava scelta assoluta e Johnny Manziel con la ventiduesima. Fortuna vuole che abbiano preso Joe Bitonio al secondo round.

Candidati presi in considerazione: Greg Robinson, Justin Gilbert, Calvin Pryor e Marcus Smith.

Altro giro, altro draft, altro disastro Marrone.
Quando pensiamo al 2014 troppo spesso ci focalizziamo esclusivamente su Johnny Manziel, giocatore arrivato in NFL con così tanto hype che vederlo sciogliersi – soprattutto dal punto di vista umano – davanti ai nostri occhi ha profondamente cambiato il nostro approccio al draft: vi capisco, figuratevi che ai tempi ero convinto che Cleveland avesse finalmente trovato il proprio salvatore, il Mosè che avrebbe aperto le acque del Mar Rosso per trascinarli fuori dalla più accidiosa irrilevanza sportiva.
Non è andata così.

La scelta di Justin Gilbert, però, è a mio avviso ancora più spettacolare poiché ogni singolo giocatore selezionato fra la numero 5 e la numero 17 è stato convocato almeno una volta al Pro Bowl… ogni singolo giocatore tranne Justin Gilbert, per l’appunto.
Per mettere le mani su di lui Cleveland è passata oltre i vari Odell Beckham Jr., Aaron Donald, C.J. Mosley, Zack Martin, Ryan Shazier e Anthony Barr, tutti individui che sarebbero tornati comodi a una squadra disperatamente bisognosa di talento pressoché ovunque. Il percorso di Gilbert in NFL s’è protratto solamente per tre stagioni.
Precisazione necessaria: non ho menzionato Blake Bortles perché, malgrado il mesto epilogo, nel corso della carriera ha avuto un paio di gioie, come per esempio un AFC Championship Game nel 2017 e un 2015 da 35 touchdown.


2015 – Kevin White, wide receiver, Chicago Bears

Selezionato con la scelta numero: 7 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Dorial Green-Beckham, Shane Ray e Hau’oli Kikaha.

L’ironia di cui è pervaso questo articolo qui evapora brutalmente, Kevin White è stato uno dei giocatori di football americano più sfortunati di cui io abbia memoria e – tentare di – essere simpatici qui sarebbe alquanto fuori luogo.
Arrivato in NFL dopo un 2014 oltremodo dominante a West Virginia, in quattro anni a Chicago il povero White è sceso in campo coi propri compagni solamente in 14 partite, un numero che merita approfondimenti.

Una frattura da stress alla tibia della gamba sinistra gli è costata tutta la stagione da rookie e siete fin troppo al corrente di come episodi del genere tendano a deragliare carriere. Nel 2016 le cose sono andate leggermente meglio, dove per meglio si intendono quattro partite giocate prima di rimediare una frattura al perone della stessa gamba infortunata l’anno prima.
L’intuitivamente decisivo 2017 è durato giusto 47 snap, giusto il tempo di fratturarsi la scapola sinistra ed essere messo ai box ancora una volta per tutto il resto della stagione.
La sua avventura a Chicago si sostanzia in 408 snap in quattro anni scanditi da una sfortuna generazionale che ci ha regalato, nostro malgrado, uno dei più grandi what if del ventunesimo secolo.
La buona notizia è che si stia ancora barcamenando in NFL – nel 2022 indossava la casacca dei Saints – e sono genuinamente contento che il flusso dei bonifici da centinaia di migliaia di dollari debba ancora arrestarsi.


2016 – I ricevitori del primo round – eccezion fatta per Will Fuller

Selezionato con la scelta numero: Corey Coleman ai Cleveland Browns con la quindicesima scelta assoluta, Will Fuller agli Houston Texans con la ventuno, Josh Doctson ai Washington Redskins con la ventidue e Laquon Treadwell ai Minnesota Vikings con la ventitre.

Candidati presi in considerazione: Paxton Lynch, Darron Lee e Robert Nkemdiche.

Lasciamo per un attimo perdere Will Fuller, giocatore che quando in campo ha spesso saputo farci divertire, concentriamoci sugli altri tre. Se sommiamo le yard ricevute in carriera da Coleman, Doctson e Treadwell otteniamo 3115 yard, o se preferite una cinquantina scarsa di iarde in più di quelle ricevute cumulativamente da Tyreek Hill e Jaylen Waddle nel solo 2022.
Qua non serve aggiungere altro.

Paxton Lynch può dichiararsi veramente fortunato a essere stato selezionato in un anno così anomalo per i ricevitori, sennò nessuno lo avrebbe salvato da un centinaio di parole in cui tentavo di spiegarvi la magnitudine dell’errore dei Denver Broncos che erano genuinamente convinti di aver trovato il successore di Peyton Manning.
Vi dico solo che il buon Jerry Jones se n’è uscito dal primo round con il cuore spezzato visto che era letteralmente disposto a tutto pur di accaparrarsi Lynch: al quarto round i Cowboys si sono consolati con Dak Prescott. Che brutto vivere!


2017 – Mitchell Trubisky, quarterback, Chicago Bears

Selezionato con la scelta numero: 2 al primo round.

Candidati presi in considerazione: John Ross, Taco Charlton e Gareon Conley.

Il caso di Mitch Trubisky potrebbe metterci davanti a quello che mi sento di definire come “il bust perfetto”: lasciatemi spiegare, ci sono tutti gli ingredienti.
Per prima cosa abbiamo una franchigia così bisognosa di un quarterback da sacrificare tre preziose pick per salire di una sola posizione: visto da fuori smerciare due scelte al terzo round e una al quarto per muoversi di un solo gradino appare più come urlo d’aiuto che altro. A titolo informativo, con una di quelle pick i ‘Niners si sono aggiudicati Fred Warner.
Il vero bust, per essere tale, deve aver spezzato milioni di cuori e disatteso tonnellate di aspettative: agli occhi del front office dei Bears Trubisky sarebbe dovuto essere il salvatore, il primo vero grande quarterback nella – ai tempi – quasi centenaria storia di una delle squadre più iconiche della lega. Abbiamo visto com’è finita.

Ciò che però sa rendere “perfetto” un bust è il rimpianto generato da chi lo ha seguito: erano disponibili sia Patrick Mahomes che Deshaun Watson. Questo è forse l’aspetto più doloroso in assoluto poiché a un certo punto, volenti o nolenti, il Trubisky di turno lo riesci anche a metabolizzare, ma osservare domenica dopo domenica Mahomes dipingere football con la lancinante consapevolezza che quel fenomeno sarebbe potuto essere il tuo quarterback tende a togliere la voglia di vivere.
Non servono riassunti, non servono rassegne statistiche, il ricordo della debacle Trubiskiana è ancora fresco nella nostra testa, ma ammetto che riordinare i vari addendi sia stato particolarmente divertente, oltreché indubbiamente sadico.


2018 – Josh Rosen, quarterback, Arizona Cardinals

Selezionato con la scelta numero: 10 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Sam Darnold, Billy Price e Kerryon Johnson.

Qui sono costretto a riciclare l’aggettivo “perfetto” perché il povero Josh Rosen si è trovato nel cuore della tempesta più perfetta di cui io abbia memoria.
Selezionato da una squadra pronta a ricostruire ma non particolarmente entusiasta di farlo, a Rosen è stato messo a disposizione un roster qualitativamente tragico nonché un coaching staff ponte visto che Wilks è durato giusto una stagione al comando della panchina dei Cardinals: farcela in condizioni del genere è pressoché impossibile per chiunque.
Col senno di poi potremmo quasi dire che Rosen sia stato selezionato per palesare ulteriormente la necessità di ripartire da capo.

L’ex UCLA è consistentemente stato il peggior quarterback in National Football League, ma con un briciolo di onestà intellettuale potremo convenire che non gli sia stata data neanche lontanamente una legittima opportunità di farcela.
Lo scabroso 2018, però, è valso loro la prima chiamata assoluta al successivo draft e regalare al recentemente assunto Kliff Kingsbury un Kyler Murray attorno al quale costruire un reparto offensivo giovane e moderno rappresentava semplicemente una tentazione troppo forte per essere ignorata e, che ne so, selezionare Nick Bosa.
Sebbene ancora in libera circolazione su e giù per la NFL, la sua avventura fra i professionisti è di fatto durata un anno.


2019 – Clelin Ferrell, defensive end, Oakland Raiders

Selezionato con la scelta numero: 4 al primo round.

Candidati presi in considerazione: Deandre Baker, N’Keal Harry e Drew Lock.

Clelin Ferrell è il perfetto emblema della Gruden-Mayock experience, ossia un giocatore che, detto fuori dai denti, non aveva alcun motivo di essere selezionato così in alto al draft. Il tempo, con loro non particolarmente galantuomo, ha avuto modo di dimostrarci che non abbiano selezionato un giocatore scarso o caratterialmente problematico, ma uno che solamente nel loro personalissimo big board poteva essere scelto con la quarta chiamata assoluta.
Poche settimane fa, giusto per fornirvi il contesto completo, Ferrell ha firmato con i San Francisco 49ers e, malgrado abbia tempo e modo per raddrizzare la propria carriera, il fatto che la sua permanenza prima ad Oakland e poi a Las Vegas sia già arrivata al termine giustifica più che adeguatamente la mia scelta.


 

2 thoughts on “I peggiori bust del draft NFL dello scorso decennio

  1. Dai che alla fine è venuto fuori un articolo più che interessante: chapeau.
    Ricordo anche io il disastro Raiders delle chiamate del 2019 (con le reazioni “comiche” dei loro tifosi, pari solo a quelle dei tifosi Giants alla chiamata di Daniel Jones alla 6) e l’esaltazione (ad arte) intorno a Malik Willis, poi finito alla scelta 86. Segno che nessun GM si era fatto impressionare…
    Sta accadendo lo stesso questo anno, e alcuni proiettano 4 QB nelle prime 5 chiamate.
    Ma Levis e Richardson non hanno quel talento ed io non credo andrà così.
    Questo ci porta al discorso RB al primo giro, proprio quello di cui si discute oggi ai Falcons che, seduti alla posizione 8, si ritrovano piuttosto scomodi.
    Se non ci sarà la corsa ai QB, infatti, finiranno col trovarsi Bijan Robinson come miglior prospetto disponibile, e con un GM dichiaratamente orientato al BPA, chiunque sia (e lo ha già fatto di brutto, prendendo Pitts alla 4).
    Il dilemma sarà allora proprio quello: lo prendi un RB addirittura fra i primi 10?

  2. Ho la soluzione alla noia della off-season Nfl: guardate il baseball. Gli altri anni lo seguivo distrattamente, quest’anno ho iniziato a guardarlo con più interesse e vi assicuro che è uno sport fantastico. E poi stanno per iniziare i playoff Nba e Nhl: c’è di che divertirsi, nell’attesa di settembre!

    Spezzo una lancia a favore di Tim Tebow, anche se ciò mi attirerà diverse pernacchie: la sua carriera è durata mezza stagione, e in quella mezza stagione ha preso una squadra all’ultimo posto nella division e l’ha portata al secondo turno dei playoff. Sarà stato brutto da vedere, le statistiche non saranno esaltanti, ma i risultati li ha ottenuti. Dopo una mezza stagione così, avrebbe meritato un’altra possibilità: non tanto da Denver (per me Peyton Manning è la luce celeste), ma magari da un’altra squadra. Invece, a parte qualche sporadica azione qua e là, non lo hanno più fatto giocare.

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