Mi è piaciuta questa settimana di football, mi è piaciuta veramente.
Che potessi passare un bel weekend lo avevo già capito venerdì, quando la mattina un po’ rintontito dal sonno ho messo a fuoco il fatto che Baker Mayfield, da un paio di giorni ai Los Angeles Rams, fosse riuscito a rimontare tredici punti ai Las Vegas Raiders – condannandoli così all’ennesima stagione buttata – in una manciata di minuti.
Ve lo dico, sono ancora inebriato dai fumi dell’allegriana vittoria dei Ravens sugli Steelers perché prima di tutto è sempre bello battere gli Steelers – in particolare quando era da anni che non li battevi – e, in secondo luogo, vincere quando eri serenamente rassegnato alla sconfitta tende a lasciare in bocca un buon sapore che sopravvive alla notte: tutto questo per dirvi che sarà più difficile del solito restare lucidi.
Soprattutto perché il primo argomento è parecchio tosto.

I Detroit Lions sono ufficialmente tornati rilevanti, sono in piena corsa playoff e io devo scusarmi con Jared Goff.
Caro Jared Goff, scusami se a più riprese ti ho dato della parodia di un quarterback, però capiscimi, per favore. Per anni sei stato la personificazione dell’apatia, un quarterback assolutamente nella media con tutto il necessario per essere costantemente fra i migliori cinque che incappava ripetutamente in errori marchiani e che, quando contava veramente, non era mai in grado di fare quello che fa un buon quarterback, ossia il necessario per vincere.
Negli ultimi anni ti sei progressivamente spento, sei evaporato sotto un sole nemmeno troppo rovente e, mestamente, sei stato parcheggiato a Detroit dove una squadra in completa ricostruzione sarebbe stata costretta a purgarsi di un contratto spada di Damocle prima di spedirti in mezzo alla strada.
Poi abbiamo vissuto l’ultimo mese e mezzo.

Detroit ha vinto cinque delle ultime sei partite, risultato sempre impressionante ma che tenendo in considerazione il contesto in cui è maturato diventa un po’ più impressionante; i Lions erano infatti reduci da cinque sconfitte consecutive, fra cui le umiliazioni inflitte da Cowboys e Patriots, due partite in cui Goff ha commesso sei turnover senza mai lanciare un singolo touchdown trascinando il suo attacco al gran bottino di sei punti complessivi.
Dopo Dallas, però, qualcosa deve essersi obbligatoriamente acceso in Goff poiché nelle sette partite successive ha lanciato 11 touchdown a fronte di un misero intercetto e, soprattutto, ha cominciato a vincere.
I Lions, ultimamente, riescono a chiudere le partite con incoraggiante disinvoltura: contro Giants, Jaguars e Vikings hanno vinto con due possessi di vantaggio, dato che può essere visto come testimonianza di apprezzabile maturità nel gestire un incontro. Non vanno più a intermittenza, i loro successi non dipendono da fiammate o giocate dei singoli, riescono spesso a imporre il proprio gioco e tenere in mano le redini della partita senza troppe difficoltà.

Jared Goff, nel mentre, è stato ineccepibile.
Non gli si può recriminare niente – a parte un lancio corto negli ultimi secondi contro Buffalo – perché non commette più errori e dirige ordinatamente un attacco ricolmo di playmaker. Goff fa quello che in un mondo più semplice dovrebbe essere l’unico compito di un quarterback, ossia mettere nella miglior posizione possibile i propri compagni di squadra e sfruttarne, esaltarne le peculiarità.
Dietro una linea d’attacco che nelle ultime sette partite ha concesso solamente sette sack, l’ex Rams può stare tranquillo nella tasca a smistare il pallone a veri e propri mostri come St. Brown e talenti intriganti come Chark e il rookie Williams. Non fosse per la presenza di Jamaal Williams, inarrestabile nei pressi della goal line, le sue statistiche potrebbero essere ancora più seducenti, ma non credo che questo sia un problema per lui: figuratevi che si vocifera che il front office voglia confermarlo per il futuro prossimo.

Gioca un football ordinato ed efficiente, sta garantendo una produzione e una costanza che rendono più facile la vita a chiunque e l’impressione che ho avuto modo di farmi è che in Michigan stia nascendo qualcosa di cui sta meritando di fare parte. Sta cominciando ad avere senso tirarlo in ballo quando si parla dei Lions del futuro – non lo ha ancora del tutto, sia chiaro.
Goff è riuscito a ricavare il meglio da una situazione nata sotto i peggiori auspici e con la silenziosa tranquillità che lo contraddistingue ci ha dimostrato di avere ancora un futuro da titolare in questa lega.

A proposito di futuro da titolare, che dire di Brock Purdy?
L’impressionante massacro dei Tampa Bay Buccaneers può essere visto come una dichiarazione di guerra dei ‘Niners al resto della lega: con o senza Lance, con o senza Garoppolo loro ci saranno.
Questa squadra non muore mai.
Quella di domenica è stata una partita perfetta che, in quanto tale, difficilmente si ripeterà. Lo stato di forma dell’attacco dei Buccaneers – o la sua assenza – ha permesso alla difesa di vivere un altro pomeriggio da prima della classe: nonostante Brady non abbia subito nemmeno un sack è stato costantemente torchiato dalla pressione del pass rush.
Hanno annullato, tanto per cambiare, sia il gioco di corsa che il gioco aereo avversario sfornando three n’ out a ritmi industriali facendoci confondere il receiving corp formato da Evans, Godwin e Jones con quello dei Ravens o dei Bears.

A capitalizzare il sempre brillante lavoro difensivo ci ha pensato un attacco spietato ed esplosivo che, in due soli quarti di gioco, ha tolto ogni sogno di competitività alla partita.
La linea d’attacco ha permesso a McCaffrey di correre come nei migliori giorni a Charlotte mentre l’atletismo di Aiyuk e Samuel di aggiungere punti a tabellone in pochi secondi, sì insomma le solite cose, tutto quello che volete, ma parliamo per un secondo di Brock Purdy?
Che prestazione strana la sua.
Intendiamoci, non ha sicuramente messo insieme una partita da Mahomes, ma la personalità con cui ha condotto le operazioni mi ha impressionato, quasi esaltato. Non conoscessi la sua storia difficilmente potrei pensare che si stia parlando di un rookie alla prima da titolare – fatalità contro Tom Brady – perché, per sessanta minuti, il rookie alla prima da titolare sembrava essere il 12 dei Buccaneers.
Non commette errori e dà l’impressione di essere sempre in controllo, non si sta assolutamente limitando a essere il braccio di Kyle Shanahan, dietro queste vittorie c’è un suo tangibile contributo che, viste le circostanze, non avrebbe alcuna ragione d’esistere.

È incredibilmente incoraggiante che un ragazzo così giovane affronti partite del genere con questo piglio. Purdy finora ha dato l’idea di essere un quarterback meravigliosamente incosciente che, più o meno volontariamente, riesce a ignorare la contingenza e il contesto per concentrarsi esclusivamente sul proprio compito di quarterback titolare in una squadra adeguatamente attrezzata per il Super Bowl. In due partite fondamentali per San Francisco non è mai apparso fuori luogo e spaesato, anzi, ha reso al meglio nelle situazioni di massima pressione, ossia quando costretto a fronteggiare un blitz.

Probabilmente dalla settimana prossima la percentuale di blitz diminuirà drasticamente, ma indipendentemente dalle difficoltà in cui si imbatterà mi sento sereno ad affermare che ha la testa e la freddezza per affrontarle nel migliore dei modi.
San Francisco ora non deve soccombere al demone degli infortuni – Samuel dovrebbe tornare ai playoff – e sperare che da qui a fine campionato Purdy riesca a maturare l’esperienza necessaria per sopravvivere ai playoff: deve arrivare il momento in cui si trasforma in una persona normale, no?
L’inizio è sicuramente incoraggiante.

L’ultimo argomento dovrebbe essere uno in grado di unirci, uno così banale e scontato che non ha nemmeno senso perderci troppo tempo a spiegarlo: Jalen Hurts deve essere l’MVP di questa stagione.
In un mondo in cui questo premio viene annualmente consegnato al miglior quarterback della regular season – importante ricordarlo visto che lo smerciano il giorno prima del Super Bowl e non ne posso più di leggere certi commenti un filo ripetitivi – nessuno lo merita più di lui.
Da qualsiasi lato la si prenda in esame, nella sua candidatura c’è veramente tutto.

Ci sono i numeri, perché i 32 touchdown totali a fronte di tre intercetti bastano da soli a garantirgli la pole position.
C’è pure il successo di squadra, non è affatto blasfemia affermare che i Philadelphia Eagles siano la miglior squadra della lega non in luce del miglior record, ma semplicemente in quanto tali.
C’è il sempre importante effetto novità poiché, come successo non troppo tempo fa ai vari Mahomes e Jackson, è sempre trendy dare il proprio voto a un giocatore che, a settembre, neanche il più allucinato dei tifosi poteva immaginarselo favorito.
C’è la spettacolarità: lo avete visto giocare? Apparentemente ogni suo snap si conclude o con un guadagno di (almeno) 20 yard o con una corsa per il primo down.
C’è la maturazione a cui i suoi più grandi critici volevano assistere perché Hurts è un quarterback che ti batte prima di tutto con il braccio ma che, all’occorrenza, può punirti pure con le gambe.
Gli hanno dato una vera chance di dimostrare il proprio valore e per dimostrare serietà gli hanno messo a disposizione un grandissimo ricevitore, lui ha ringraziato e dominato contro chiunque.

Mahomes e Allen, a tratti più quotati di lui, non solo sono sfavoriti da un peggior record di squadra ma pure dal fatto che entrambi, durante il corso della propria carriera, ci abbiano fatto vedere di meglio.
Parsons, Garrett e Bosa sono difensori, purtroppo non potranno mai sperare di essere coinvolti in questa discussione.
Jefferson e Hill rischiano letteralmente di riscrivere la storia ma, lo sappiamo, il premio lo dai a chi la palla la lancia, non a chi la riceve.
Tua nelle ultime settimane è calato e se facciamo la somma algebrica fra quanto appena detto e le partite perse per infortunio il risultato è l’esclusione dalla gara.
Burrow paga un inizio di stagione con il freno a mano tirato.

Non credo che Hurts sia eccessivamente interessato ai riconoscimenti individuali, mi sembra troppo preoccupato a soddisfare l’implacabile fame della città di Philadelphia, ma dopo averlo visto ancora una volta dominare in questo modo ritenevo necessario chiarire l’ovvio.
Nessuno merita questo premio più di lui, nessuno ha giocato meglio, l’arco narrativo di nessuna stagione è più soddisfacente di quello che sta scrivendo domenica dopo domenica.
La sua è indubbiamente una bella storia il cui epilogo, però, non dovrà e potrà coincidere con un premio individuale.

7 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 14 del 2022 NFL

  1. Mvp a Hurts e titolo a Burrow?
    49ers permettendo…
    Quanti mvp di regular hanno poi baciato il Lombardi?

    • l’MVP statisticamente porta jella a chi arriva al Superbowl.
      Auguro ad Hurts e agli Eagles (qual’ora fosse) di alzare il lombardy

    • Non ci avevo mai fatto caso, ma leggo che l’ultimo MVP di stagione a vincere anche il super bowl è stato Kurt Warner nel 99…

  2. Tre belle storie. Goff ha anche chiuso un terzo down con un catch and run per Sewell, che goduria!

  3. In effetti Harbaugh può essere visto come il Max Allegri degli allenatori di football, con la capacitá d’incartare la partita in qualche modo, alla faccia degli esteti.
    Un grossa mano gliel’ha data Trubisky, che secondo me ha cercato di sfruttare l’occasione di essere di nuovo in campo, forzando delle situazioni.
    Davvero inaspettata la metamorfosi di Goff, Detroit rischia di essere la mina vagante della NFC.
    Penso che Purdy sia andato cosí in fondo al draft piú che altro per motivi fisici. Dal punto di vista tecnico è un buon giocatore, buon rilascio, freddo sotto pressione, si sono visti anche lanci nel profondo.
    E poi giocare con Shanahan aiuta parecchio.

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