Non ho memoria di trade così grosse e credo che questa premessa rappresenti un punto di partenza necessario: sviscerare e comprendere appieno questo scambio potrebbe richiedere mesi, se non anni, quindi è lapalissiano che queste considerazioni siano dettate più da emotività e suggestione che da obiettività e analiticità.
Riassumendo, a pochissime ore di distanza dal rinnovo di Aaron Rodgers con i Green Bay Packers, i Denver Broncos hanno deciso di risolvere una volta per tutte l’annosa questione quarterback inviando a Seattle – qui ci vorrebbe un bell’elenchino puntato – due scelte al primo round, due scelte al secondo round, una scelta al quinto round, il quarterback Drew Lock, il promettente tight end Noah Fant – selezionato non troppi anni fa nella top ten del draft – e il massiccio Shelby Harris, defensive tackle che sa il fatto suo per quanto concerne la run defense, in cambio di Russell Wilson e una scelta al quarto round del draft: se vi siete persi non vi biasimo, ora vado a capoverso per fornirvi il necessario spazio per digerire.

Fatto?
Partiamo dall’ovvio: i Denver Broncos avevano disperatamente bisogno di un quarterback di primo livello.
Dal ritiro di Peyton Manning, infatti, under center in Colorado si sono presentati soggetti del calibro di Trevor Siemian, Paxton Lynch – avrei potuto ometterlo ma mi sembra giusto portare un po’ di mestizia nel cuore dei tifosi Broncos in questo momento di gioia generale -, Brock Osweiler, Case Keenum, Joe Flacco, Drew Lock, Brandon Allen e Teddy Bridgewater, tutti onesti – chi più, chi meno – mestieranti incapaci però di trascinare la propria squadra ai playoff, tutta gente da sette od otto vittorie a stagione, nulla di più.
Il semplice fatto che fin dallo scorso draft Denver sia stata associata ripetutamente all’allora malcontento Aaron Rodgers era più che indicativo, c’era disperato bisogno di qualcuno di esperto e brillante che trovasse modo di non scialacquare il talento di un roster ben assemblato che, quarterback a parte, non aveva alcuna ragione di non giocare a metà gennaio.

L’attacco può infatti vantare una linea d’attacco che a mio avviso deve ancora esprimere appieno il proprio potenziale, un paio di playmaker sull’esterno come Jeudy e Sutton – non dimentichiamo Hamler! – e un running back che non ha alcuna ragione per non emulare quanto fatto da Jonathan Taylor durante l’ultima stagione: della difesa, invece, credo di averne parlato ad nauseam, con un paio d’innesti intelligenti questo reparto può agevolmente trovare spazio su un fantomatico podio appositamente creato per classificare unità senza il cui contributo non si può pensare di arrivare fino in fondo.
Ho gli ultimi due Super Bowl pronti a testimoniare e ribadire una volta per tutte l’importanza della difesa, pure nell’era in cui difendere è fortemente disincentivato dalle regole del gioco.

Denver non aveva alcuna ragione per non essere aggressiva, probabilmente nessun quarterback disponibile al draft li convinceva del tutto e in luce dell’ottimo livello del roster sopracitato ha premuto il proverbiale grilletto privandosi di buona parte del proprio futuro per una causa che indubbiamente ritengo nobile: Russell Wilson è uno dei migliori quarterback di questa generazione, un futuro Hall of Famer che sa vincere e aiutare chi gli sta attorno a fare un salto di qualità capace di trasformare qualsiasi squadra in contender, non esiste un prezzo considerabile “troppo alto” quando si parla di calare un giocatore del genere in un contesto più che promettente.
Nella NFL tutto è incredibilmente precario e incerto, ma da un punto di vista meramente aritmetico l’aggiunta di Wilson ai Denver Broncos dovrebbe dare un risultato più che soddisfacente e, a bocce totalmente ferme, mi sento a mio agio a inserire questa compagine nella discussione Super Bowl – dopo trade del genere non potrebbe essere altrimenti.
Il prezzo pagato è storicamente alto, ma considerando l’avvilente mediocrità in cui sguazzavano era necessario fare qualcosa, indipendentemente dal numero di scelte al draft devolute ai Seahawks.

C’è chi storce il naso dinanzi a Wilson puntando il dito verso una regressione che personalmente non ho avuto modo di constatare e, anche, una mancanza di continuità che ha fatto sì che passassimo interi mesi a spellarci le mani sul fatto che di lì a breve avrebbe ricevuto il primo voto in carriera per l’MVP, salvo poi costringerci a rimangiarci tutte le nostre lamentele con serie interminabili di prestazioni scialbe e insipide: in tutta sincerità, questa mancanza di consistenza la imputerei ai Seattle Seahawks, squadra che nelle ultime annate ha alternato periodi in cui sembrava essere la prima forza della NFC a periodi in cui apparentemente si rifiutava di uscire dal campo se non aveva concesso almeno trenta punti agli avversari.
Wilson è ancora – minimo – uno dei migliori dieci quarterback della NFL e credo che si possano contare sulle dita di una mano le squadre che accogliendolo non migliorerebbero la proprie quotazioni per il Super Bowl.

Come tutte le cose belle della vita, pure le trade si fanno in due: se da un lato abbiamo milioni di tifosi dei Broncos giubilanti per l’arrivo del tanto agognato messia, dall’altra parte ci troviamo davanti a milioni di individui confusi, tristi e ulteriormente confusi da un fulmine a ciel sereno che li ha privati del volto della loro amata franchigia.
Il fatto che Wilson sia stato scambiato altrove non deve stupire, è da più di un anno che voci di corridoio lo davano potenzialmente in partenza, ma permettetemi di coltivare qualche dubbio sulla strategia del front office dei Seahawks, ammesso ce ne sia una: volete dirmi che a meno di due anni di distanza dalla trade di Jamal Adams Seattle stia mettendo le basi per la ricostruzione?
Vedete, quando una squadra si priva di un paio di scelte al primo round del draft per aggiungere un safety si è portati a pensare che il giocatore in questione fosse visto come il tassello mancante per tornare a competere sul serio, invece ora Adams potrebbe essere visto come un contrattone di cui disfarsi tentando, se possibile, di recuperare un paio di scelte importanti al draft in modo da ridurre il dolore inflitto dalla minusvalenza.
Bastano veramente una precoce eliminazione ai playoff e una stagione compromessa dall’infortunio di Wilson a spingere il front office a schiaffeggiare il bottone rosso?

Che Seattle si stia preparando a ricostruire lo sembra confermare il fatto che, a pochissime ore di distanza dall’addio di Wilson, questi abbiano messo alla porta pure Bobby Wagner, comodamente il miglior middle linebacker di questa generazione nonché ultimo baluardo dell’ora ufficialmente estinta Legion of Boom.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: se si vuole ricostruire perché insistere con Pete Carroll, uomo che malgrado l’ingannevole apparenza si sta avvicinando a grandi passi al settantunesimo compleanno?
Personalmente credo che affidare a un allenatore novizio una squadra in totale ricostruzione abbia poco senso, costringerlo a vivere una stagione da due o tre vittorie è profondamente ingiusto nei suoi confronti visto che poi, quando il secondo anno di partite ne avrà vinte cinque, ci sarà inevitabilmente chi ne chiederà la testa per essere stato capace di portarsi a casa solamente mezza dozzina di doppievù in due anni: questa è però un’interpretazione che lascia il tempo che trova e che, personalmente, non credo che Seattle abbia tenuto in considerazione nel proprio processo decisionale.

Occorre mettere in evidenza che negli ultimi anni – escludiamo il 2021, l’infortunio di un franchise quarterback è quel genere di disgrazia che sospende ogni giudizio su una stagione – malgrado il cospicuo numero di vittorie in regular season Seattle non sia mai arrivata realmente vicina al Super Bowl, dal 2015 in avanti le loro colonne d’Ercole sono coincise con il Divisional Round, quindi in questo senso posso capire la necessità di un rinnovamento, anche se in tutta sincerità non mi capacito del fatto che a capo di un progetto del genere ci sia un ultrasettantenne.
È chiaro che in una NFC West sempre più competitiva Seattle sia destinata a boccheggiare per parecchi anni, ora occorre comprendere la magnitudine della ricostruzione, in quanto non mi stupirei rubassero una pagina dal playbook dei Dolphins e cominciassero a svendere ogni forma di talento residua in nome dell’aumento di capitale al draft.

L’otto marzo 2022 passerà alla storia come uno dei giorni più importanti della storia di questa franchigia, si è ufficialmente chiuso un capitolo che li ha fatti entrare nell’Olimpo della NFL tramite un Super Bowl e una miriade di momenti memorabili – non sono passati troppi anni dal periodo in cui nella partite dei Seahawks si verificavano spesso eventi paranormali, guardasi il Championship Game contro i Packers -, ora sono veramente curioso di assistere alle loro mosse nei prossimi mesi e farmi un’idea sulla direzione che intraprenderanno: si trovavano a un bivio e hanno scelto la strada più tortuosa e dolorosa per i tifosi, vediamo ora che ne sarà dei vari Lockett, Metcalf e Adams.

Su Denver, invece, non c’è molto da dire, analogamente a Buccaneers e Rams sono stati capaci di esaudire il proprio desiderio più grande e mettere le mani su colui che può garantire loro lunghe avventure fra gennaio e febbraio.
Chiudo ripetendo l’ovvio: Russell Wilson è uno dei migliori quarterback della nostra generazione e non bastano un paio di stagioni relativamente deludenti dei Seahawks per falsificare questo incontrovertibile dato di fatto.
Questa trade, cari lettori, ha arrogantemente rimescolato le carte in tavola nell’intera National Football League.

11 thoughts on “Russell Wilson ai Denver Broncos: l’analisi a caldo

    • Beh..x uno di 38 anni che tranne una volta in carriera ha vinto il ring….beh..39 vittorie nel triennio e nessun SB…..mmmmmm ..fuoriclasse ..ma ..e tanti ma

  1. Secondo me di farà..cambiare aria fa bene a Russ…poi entrambe le franchigie..in modo diverso ci guadagnano e tanto…forse x denver meglio una scelta al 3o 2 giro che al 4…ma va bene uguale

  2. Mi sembra che ormai vada di moda la costruzione della squadra al contrario. Prima si partiva dal QB e poi si costruiva il resto della squadra, adesso sono sempre di più le squadre che aggiungono un grande QB alla fine del percorso di crescita. La prima forse è stata proprio Denver con Payton, ma dopo Tampa e rams ho idea che diventerà la norma.

    • Negli ultimi vent’anni, pochi superbowl sono finiti a squadre che non avessero un mostro a dirigere l’attacco (Foles e Flacco, ma con un coaching staff a bordocampo che avrebbe giocato almeno un divisional anche con Osweiler). Non può essere un caso.
      Piuttosto adesso il QB più scarso in AFC West è Carr.
      Si toglieranno vittorie a vicenda e considerato che nel resto della AFC c’è gente non proprio tenera (Buffalo, Cincy, Baltimore, NE, Pittsburgh, Tennessee, Indy) i playoff non saranno scontati per Wilson, ma neanche per Reid e Mahomes

      • Certo, non discuto l’importanza del QB, ci mancherebbe. Quello che volevo sottolineare è che di solito la squadra veniva costruita partendo dal QB, come i Patriots che hanno costruito intorno a TB12, Green Bay intorno a Rodgers, KC intorno a Mahomes… Invece adesso stiamo assistendo al meccanismo contrario: Tampa Bay mette insieme un buon roster poi lo “completa” con Tom Brady e diventa vincente, i Rams idem con Stafford… E’ un tipo di approccio diverso da quanto siamo stati abituati a vedere che si sta rivelando vincente e quindi immagino sarà sempre più diffuso.

  3. Un classico win now che è costato assai al draft dei Broncos. E la cosa drammatica è che dubito molto che anche i Seahawks possano trarne giovamento viste le lune di Pete Carroll.

    • Carroll…dopo la chiamata al SBowl e relativo intercetto di Butler andava subito cacciato

  4. Ora che è incominciato il carosello dei qb, sono curioso di vedere se Tyler Huntley dei Ravens riceverá qualche interessamento.

    • Ci hanno messo la tender – perdonami l’articolo, suona male lol – su Huntley, rimane a Baltimore almeno per un’altra stagione ;)

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