I Packers escono ancora una volta dalla postseason dopo una partita drammatica e sofferta, Rodgers si presenta ai microfoni col solito viso crucciato e angosciato e alla fine dell’intervista non perde comunque occasione di ringraziare la fanbase a tinte cheeshead per l’affetto costante manifestatogli. Niente di nuovo dunque? Invece si!
L’animo del campionissimo ormai trentottenne appare stavolta più provato del solito, al pari di quello degli adepti della prima ora – il vostro scriba in primis – che lo avevano visto “in fasce” esordire tantissimi anni fa, quando fidandosi della sentenza Roberto Gotta “questo qui arriva lontano” pregustavano il prosieguo della legacy imbastita da Brett Favre, una combo in regia che solo le icone Montana e Young erano stati capaci di costruire nella baia di San Francisco decenni or sono!
Sono passati anni e delusioni, ma mentre fino allo scorso torneo il mantra “ci riproveremo al prossimo” suonava ridondante nella psiche di noi tifosi green & gold, adesso la sensazione che permane nell’aria è di una (ultima?) occasione stratosferica buttata nel cestino che non ricapiterà mai più.
Infatti, nella recente e giovane epoca a marchio LaFleur, nonostante le continue regular season da 13 W, è mancata spesso nei momenti clutch un’accelerata decisiva, ma soprattutto la squadra si è trovata a cozzare contro club obiettivamente più forti e preparati. Inoltre, una difesa sovente ballerina e mai perciò all’altezza dell’attacco, spesso diveniva la spada di Damocle dei coaching staff.
In questa stagione invece non si vedevano all’orizzonte franchigie di portata superiore, e una retroguardia in crescita aveva durante l’anno accresciuto hype e sfruttato appieno tutti i momentum a disposizione. Insomma, Green Bay era una spanna più forte almeno delle altre contendenti NFC e scorgeva in lontananza gli alieni di Kansas City come sfidanti più accreditati per assaltare il secondo Vince Lombardi dell’epopea Rodgers.
Dopo due stagioni di progressive migliorie nei reparti, il braccio bionico di A-Rod non era l’unica arma a disposizione, ma anzi una gestione oculata dell’orologio faceva il paio con playbook pure conservativi, dove il big play era sì l’occasione per spaccare la gara, ma i target da middle field, fake, hand off e aperture in linea per guadagni su corsa minimi venivano performati in maniera continuativa, permettendo all’icona con la camiseta 12 di non dover forzare e colpire quando le secondarie rivali erano stremate!
Da qui pass-blocking grade e pressure % a livelli mai così soddisfacenti mettevano certezze sulla resistenza di un comparto senza eguali, a cui appunto abbinare la ferocia di una difesa tanto agile quanto risoluta e potente, top ten sia nei guadagni terreni che aerei, dove operano funamboli del calibro di Preston Smith, De’Vondre Campbell, Rashan Gary, Rasul Douglas e Chandon Sullivan.
La beffa è per di più enorme se si analizzano le altre eliminate al Divisional, ognuna responsabile di tre upset memorabili, visto che perfino i Bills (unici sfavoriti alla vigilia) erano a 17 secondi da una finale di Conference, e affrontare perciò l’ultimo step pre SuperBowl senza il GOAT e propria nemesi avrebbe forse ampliato in modo determinante la fiducia in se stessi.
Sulla carta infatti né Rams, nè Bengals, nè Chiefs nè gli stessi 49ers possono paragonarsi ai Packers dell’ultima versione.
I primi, oltre a non avere giochi di corsa credibili, dimostrano insufficiente forza mentale, rimettendo spesso in corsa avversari azzoppati dalle assenze;M a Cincinnati si sorride più in ottica futuristica e San Francisco – forse la più quadrata del lotto – non possiede un regista/closer che crei climax in autonomia.
Rimane l’inarrestabile Kansas City, dream team offensivo salvato tuttavia un po’ troppo spesso a un passo dal baratro dai suoi spericolati leader e figura iconoclasta per eccellenza delle giovani generazioni, innamorate dell’NFL grazie a Madden, Fantasy e alle recenti innovazioni arbitrali, che penalizzano blitz e marcature out wide con roughing the passer e interferenze chiamate al minimo contatto, costringendo le difese a cedere troppa separazione.
Bene, al termine di questo lunghissimo prologo, cos’è dunque andato storto per l’ennesima volta e lascia le polveri bagnate alla franchigia del Wisconsin, facendole così perdere l’ultimo (?) treno disponibile per assaltare l’olimpo? Allergia ai playoff? Braccetto? Incapacità di vincere dell’icona numero 12, ferma al palo con un solo trofeo nonostante quasi 20 anni da MVP?
Beh certo un po’ di tutto questo c’è eccome, al pari degli epici fallimenti da special team e al canto del cigno di Mason Crosby, ma ciò su cui puntiamo è più semplice di quel che si pensi, parliamo di personalità! Personalità non intesa come squadra ma dirigenziale e decisionale.
Non si può difatti progredire così tanto, imitando i game plan dello stratega Kyle Shanahan – oggi di una spanna miglior allenatore NFL – per snellire e variare durante le regular season playbook che sotto McCarthy erano troppo monodimensionali, e ritrovarsi invece tuttora o ad affidare esclusivamente a Rodgers il destino di una gara decisiva oppure a essere di colpo banali, una volta che gli avversari (e che avversari) hanno scoperto l’arcano e rimangono rognosi, concentrati e resilienti per tutto l’arco della partita, mantenendola così nei binari dell’equilibrio fino al termine.
La debacle di questa stagione è esplicativa: al solito inizio incoraggiante e poliedrico, Green Bay si è incartata come non mai sotto i colpi di formidabili edge rusher e di una linea coriacea, che sfruttando il “buco” di Bakhtiari, hanno messo enorme pressione centralmente e sui go to guy del “negazionista” californiano, costringendolo a prendere iniziativa da un lato ma obbligandolo dall’altro poi a mosse scontate sia palla in mano che cedendola ai corridori, imbrigliati in avventure verticali senza il minimo guadagno.
Boomerang inimmaginabile si è poi palesato come in passato il clima da tundra siberiana del Lambeau Field, che su un campo al limite e con la neve pronta a cadere ha evidentemente persuaso LaFleur a non “rischiare” la giocata, convinto che le difficoltà dei rivali sarebbero state maggiori; non aveva però calcolato fumble e turnover!
Nessun passaggio negli slot, zero imprevedibilità e rapidità di rilascio, oltre che lanci a vuoto e orologio il più delle volte fermo in attesa delle mosse altrui, per fortuna anch’esse al ribasso grazie alla scarsa vena di Garoppolo e ad una difesa matura e – lei sì – da titolo!
E’ qui che escono i limiti storici degli ultimi Packers, discostarsi cioè dall’estro del proprio campione nei win or go home e chiamare schemi che addirittura lo estromettano dall’azione. Facile poi mettergli la croce addosso per l’ultimo drive contro Tampa l’anno scorso o per la gestione di questo fine match. Se ti affidi solo ed esclusivamente a Rodgers lui andrà d’istinto, scapperà fuori dalla tasca e cercherà la profondità per i sodali Adams e Jones, seppur costantemente raddoppiati, bypassando la “normalità” di uno schema che preveda tight end come target o il Randall Cobb di turno a ridosso del front seven.
Se al contrario ti affidi a mosse conservative, ripudiando i mantra coi quali hai dominato la stagione regolare, devi accettare anche una sconfitta del genere.
Purtroppo l’inesperienza di LaFleur oggi più di ieri fa sinonimo con mancanza di personalità e paura, non avendo forse ben capito l’occasione della vita a cui si andava incontro, adagiandosi come il suo predecessore sulla verve di Rodgers senza però avere coraggio di arrischiare piani alternativi, timore che con gente del calibro di Ebukam, Armstead, Warner e Nick Bosa può essere nocivo.
Questa è la nostra opinione, sempre che lo spiccato temperamento del quarterback non sia stata la vera causa di una cotanto scellerata conduzione tecnica e dunque motivo dei numerosi insuccessi di carriera, che quindi potrebbero ripetersi persino con altre casacche, 49ers in primis.
Oltre al pugno di mosche rimasto in mano, chissà se LaFleur ragionerà ora sui 40 e passa milioni di dollari eccedenti il salary cap, che costringeranno Brian Gutekunst ad una mini rebuilding al ribasso e a decisioni su accordi chiave in scadenza, Adams su tutti.
Nel migliore dei casi rivedremo A-Rod al suo posto per la 18° stagione a Green Bay insieme a un core futuristico, e con lui al timone di comando i piani alti della NFL sono sempre garantiti.
La squadra che è stata appena eliminata e che subirà sostanziali modifiche però, potrebbe essere una delle più forti di sempre a non aver vinto il titolo, e di questo se ne dovranno assumere la responsabilità allenatori, dirigenti e giocatori, Rodgers per primo!
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.
Delusione tremenda… Sono un packer fan da 30 anni, dai tempi di Brett Favre.
Questa squadra sono tre anni che vince 13 partire in stagione regolare per poi sciogliersi nel playoff (ironia della sorte, avendo avuto quasi sempre l’home field advantage).
Se consideriamo poi che in questi ultimi 25 anni la squadra ha avuto due quarterback da HoF e innumerevoli MVP di stagione regolare, e raccolto poi alla fine solo 2 superbowl, viene davvero tristezza. Giusto per fare un paragone, l’accopiata Montana Young a San Francisco ha portato 7 titoli…
Se è vero che i playoff sono un altra stagione a se rispetto alla regular season (ne sono prova le tre vittorie on the road dei divisional e la bellissima prova di Buffalo all’Arrowhead che ha sfiorato il colpaccio), è anche vero che sia con McCarty con la Fluer la squadra è stata sempre outcoached ai playoffs.
Riguardo alla partita di sabato ci sarebbe una infinita serie di disclamer, primo fra tutti i 10 punti regalati dagli special teams a San Francisco – il cui attacco è stato capace di segnare solo i 3 punti della vittoria allo scadere del tempo – ma è pur vero che le chiamate, soprattutto ai playoffs, sono sempre di stampo conservativo, ne siano prova gli infiniti 3-n-out… Quanto a Rodgers – e qui mi presto a critiche, ma secondo me è così – ha più talento di chiunque ma non ha nè la personalità di Brady nè l’estro di Mahomes. E’ un ottimo quarterback da statistiche, da stagione regolare, ma quando c’e’ da dare quel quid in più, manca. Troppo concentrato su soli due target, Adams e Greene, tutta la partita, pochi rischi, e alla fine solo 10 punti sono troppo pochi per una attacco da circa 30 di media in stagione regolare. Emblematico il terzo down finale con lancio lungo ad Adams in doppia copertura e Lazard liberissimo per chiudere il down ignorato completamente…
A mio avviso a questo punto, con tutti i problemi di salary cap di questa off season, si può pensare di confermare Rodgers – che quest’anno ne ha 38 – solo se accetta una ristrutturazione al ribasso del contratto (difficile) e di diventare definitvamente giocatore franchigia dopo le polemiche della scorsa off season, altrimenti meglio ripartire da un giovane QB (che secondo me nonn è Love) e dalla difesa di quest’anno.