Tre partite sulla carta abbordabili terminate con due sconfitte e una vittoria, una pochezza tecnica preoccupante e soprattutto nessuno dei due crucci della offseason risolto: questo è sinora l’insoddisfacente bilancio dei nuovi Patriots.
Difatti, le difese sulle corse continuano a latitare e la regia del debuttante Mac Jones va limata e oliata per bene, cosa difficile da attuare in tempi ridotti. Il problema però è che a parte il generoso e diligente giovane all’esordio, il resto del plotone arriva da anni di esperienza al top e non ha ancora molto prime dinanzi a sé, ragion per cui la ricostruzione in atto deve essere ragionata nel breve termine piuttosto che sul lungo. Da qui la pick per il qb di Alabama, unico fra i prospetti uscenti dal college ad avere (apparente) sangue e freddo e abilità nell’eseguire senza errori rigidi schemi avanzati.
Certo che affrontare assi del calibro di Kamara, Jenkins, Lattimore o Demario Davis ha riportato Belichick sulla terra, dopo due dignitose apparizioni contro Dolphins e Jets, facendo capire quanto sia duro il lavoro che lo aspetta da qui fino alla week 18, visto che di fronte a runninback di livelo c’è per adesso poco da fare, e quando incessanti blitz assaltano il regista, complicando i passaggi sul corto, lo scarico in profondità può provocare intercetti sanguinosi. All’orizzonte poi c’è niente meno che la sfida all’icona che qui ha prodotto gloria e trofei: Tom Brady.
Al termine di un prologo così critico, ci sentiamo comunque fiduciosi verso quel diabolico stregone da sideline, che da ogni fallimento riesce a risalire la china e ripartire da capo, e di seguito spiegheremo il perché.
Innanzitutto l’odierna AFC è equilibrata ovunque, il che rafforza sì la concorrenza ai vertici, ma bilancia pure le possibilità di agguantare il terzo e innovativo spot per la wild card.
Mac Jones inoltre, a differenza delle altre matricole, può già vantare la supervisione di due stratosferici mentori, abili ad elevare al massimo le potenzialità di ogni loro profilo top sin dall’inizio, semplicemente perché scaltri ad inserirli in sistemi già collaudati anzichè buttarli nella mischia e riempirli di troppe responsabilità. Vedere, fra i numerosi esempi, i Lawrence, Fields o Zach Wilson azzardare giocate rischiose in franchigie da restaurare senza la benchè minima protezione, mettendone pure a repentaglio la salute, esemplifica il nostro ragionamento.
Gli unici allenatori capaci di trasformare in oro tutto ciò che luccica e ricreare all’istante appeal e autostima in nuovi elementi a roster sono per l’appunto Nick Saban e Bill Belichick, ultimi e finora unici numi tutelari della quindicesima scelta natia di Jacksonville.
I poliedrici giochi del primo ad Alabama sono infatti uno spettacolo per gli occhi e a tutti gli effetti una scuola di pensiero, e grazie ai continui diversivi dei ricevitori sotto forma di tagli e gli hand-off dietro il centro, le zolle di terreno libere si sprecano per le corse centrali e laterali e nei guadagni dopo la presa negli slot, limitando quindi eccessive incombenze a carico del quarterback.
Sul secondo c’è poco da dire, se non che la pesca magica di Brady ha forse ridimensionato e sottostimato i suoi meriti nei game plan messi a disposizione del GOAT. Sono stati almeno una trentina difatti gli interpreti “secondari” al servizio del fuoriclasse californiano in anni e anni di convivenza fra i due, e tutti a loro modo risultati utili alla causa, anche grazie alle centinaia di tracce disegnate dal vecchio stratega.
Adesso, senza più l’autorevolezza di un campione inarrivabile a dirigere il playbook e dopo l’anno sabbatico con Cam Newton al timone di comando, ormai tutto fuorchè il Superman che guadagnava yard fuori dalla tasca e produceva big play sul profondo, New England si è mossa al Draft per trovare l’erede che potesse risollevare qui a Foxborough un attacco purtroppo sbiadito.
La presenza poi della garanzia Josh McDaniels ha spronato probabilmente Belichick e Kraft ad andare pesante sulla prima scelta per tornare i playoff. Soprattutto, la fine dell’incubo opt out, che aveva deperito la rosa lo scorso inizio di campionato, ha permesso al guru da sideline di lavorare serenamente negli allenamenti estivi e alla dirigenza di affondare colpi di mercato per risalire la china, lasciando – appunto – quale unico spazio vuoto da riempire quello principale, e cioè il regista offensivo.
Ci sentiamo per l’ennesima volta di approvare le scelte societarie, e in un clamoroso first round esclusivamente rivolto alla O-Zone, testimonianza dei periodi che corrono, la chiamata di Mac Jones è l’unica fra tutte che inserisce nel ruolo principale una figura sostanzialmente già pronta a performare al massimo. Questo perché, come lungamente accennato, dovrà continuare “semplicemente” ad eseguire gli ordini da bordo campo, osare il minimo per muovere le catene e sfruttare gli insegnamenti del college che ne hanno fatto un geometrico e preciso direttore d’orchestra, cercando di perdere meno palloni possibili.
Insomma, i Patriots si ritrovano un qb ventitreenne già uomo, privo sì degli skillset da prescelto ma capace eccome di soddisfare il suo boss dalla panca per molti anni a venire, senza precludere poi la possibilità di progredire sotto i suoi diktat e magari, chissà, diventare un giorno competitor a tutti gli effetti!
Il playcalling di questo inizio stagionale d’altronde conferma tali considerazioni, e se Jones pare sinora l’unico fra i debuttanti in regia ad aver salvato faccia e fisico, lo si deve proprio alla da noi ben accennata gestione conservativa dell’offense, protagonista di appena 5 scarse yard ad azione e una manciata di passaggi superiori alle 20 dopo la linea di scrimmage, per 6.7 totali after catch (fonte NextGen).
Pazienza se agli occhi degli appassionati si è tuttora statici e fermi al palo: questi sono rischi scientemente calcolati! Le statistiche in aumento contro Nola poi derivano da un match tutto in salita.
L’idea della coppia Belichick/McDaniels è di condurre oculatamente l’azione e l’orologio, incaricando della riconquista palla esclusivamente una difesa essa sì matura e affidabile. Il piano – ripetiamolo – è semplice: tutelare l’ex Tide a livello psicologico, non stressare le sue performance e attenderne quella consacrazione che solo il tempo può sollecitare, al prezzo di qualche L in più e record in difetto all’esordio, confidando che la crescita del qb consenta a tutto il roster di rientrare nel grande giro al massimo in due anni. A riprova di ciò, gli unici errori stagionali sono arrivati di rimonta e in condizioni disperate.
Certo, il ragazzo di suo può perfezionarsi sin da ora, particolarmente contro i blitz, nei quali ha palesato notevoli difficoltà di movimento e a liberarsi velocemente del pallone, mancando numerose opportunità con ricevitori aperti, oppure dopo bei riusciti schemi trick. Chissà cosa darebbe la fanbase per avere un esordiente che generi climax sin da subito come fatto da Lamar Jackson a Baltimore, trasformando – con tutti i difetti che un dual threat possiede – un team prevedibile in una macchina da punti, nonostante gli allenatori da divano sostengano il contrario.
Co-responsabile dei collassi della linea è stata la zona destra, con la new entry Durant ed Herron insufficienti rimpiazzi di Trent Brown e causa periodica di assalti altrui andati a buon fine, mentre le molteplici penalità di week 1 (84yd) potrebbero aver spronato in seguito McDaniels a schivare inutili azzardi, imponendo pertanto di subire le incursioni rivali.
Oltre l’infallibile piedone di Nick Folk, le certezze attuali sulle quali impostare il presente e tentare l’assalto a uno dei tre wild card spot vengono in primis dalla secondaria, sebbene Jones e Mills compaiano ancora arrugginiti, con Devin McCourty e JC Jackson sicurezze l’uno per curriculum e l’altro – recordman per intercetti al pari di Xavien Howard dall’ingresso NFL – per esplosività, e dal running game, merito di un elemento ibrido tanto caro in questi lidi come James White, purtroppo oggi ai box e da valutare, rivitalizzato da McDaniels dopo il difficile 2020 e determinante nell’ agevolare corse e screen pass per il suo quarterback, e Damien Harris, oramai investito dal coach a prima opzione offensiva, pure per l’inconsistenza palesata dal rookie Stevenson, crollato nonostante l’eccellente pre stagione!
Si attendono invece migliorie dal finora scostante Nelson Agholor, nuovo arrivo in predicato di essere la valvola di sfogo ammazza partite per Jones, benchè il suo training estivo non abbia soddisfatto lo staff, mentre l’ipotetico ricevitore n.2 arrivato dai Niners, Kendrick Bourne, sta soffrendo più di tutti gli scenari moderati palla in mano, e le quasi 100 yd contro i Saints, metà delle quali aggiunte a buoi già scappati, appaiono per ora fumo negli occhi.
La spada di Damocle sotto forma di run defense, sulla carta evoluta eccome col rientro post covid di Dont’a Hightower e la faraonica sigla della stella Matt Judon, nonché gli accordi per Davon Godchaux ed Henry Anderson e la trade up sul secondo giro Christian Barmore, non si sblocca da una preoccupante anemia.
Big play e coperture via ground dunque sono le maggiori spie accese per Belichick, sistemate le quali New England potrebbe trovare la più veloce rebuilding possibile, e riavviare di conseguenza la competizione in AFC.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.