La rinnovata presenza dei Kansas City Chiefs al Super Bowl che si disputerà la prossima domenica a Tampa porta con sé una rilevante curiosità numerica. Giusto un anno fa parlavamo difatti su queste stesse pagine del coincidente numero di seconde occasioni che accomunava differenti elementi della franchigia stessa: allora si sottolineavano le varie seconde possibilità cui i Chiefs stavano andando incontro nella partita poi vinta contro i San Francisco 49ers, visto il possibile bis nell’aggiudicarsi il titolo assoluto dopo il trionfo riportato nel 1970 in quello che sarebbe stato il secondo Super Bowl allenato da Andy Reid in carriera nonché il secondo tentativo di percorrere il percorso per intero dopo il Championship perso al supplementare nella stagione 2018, casualmente proprio contro i New England Patriots di quel Tom Brady pronto a fronteggiare nuovamente Patrick Mahomes in uno scontro tra leggende che inglobano passato, presente e futuro della lega.
Pure l’imminente Super Bowl costituirà una nuova seconda possibilità, ovvero quella di vincere il secondo titolo consecutivo e tentare di cominciare una nuova dinastia Nfl, una prospettiva in grado di intimidire tutto il resto della concorrenza per gli anni a venire, perché questi Chiefs sono giovani, atletici, ricchissimi di talento, e pensare di fermarli è quanto di più accostabile possa esistere ad un’utopia. Mahomes si propone nuovamente quale quarterback in grado di dominare la competizione per la prossima decade abbondante ma con la significativa addizione del titolo ottenuto dodici mesi fa ad un curriculum già carico di trofei individuali di rilevanza, ed il suo head coach, Andy Reid, non deve oggi più preoccuparsi di essere uno dei più illustri allenatori a non aver mai vinto The Big One, dato che quel Vince Lombardi Trophy così tanto rincorso sin dai tempi di Philadelphia è stato finalmente alzato al cielo ponendo termine ad un’ingiustuzia sportiva di evidenti proporzioni.
Eppure quando si parla di Kansas City si percepisce costantemente una sensazione di scontato. No, non stiamo parlando di critiche, perché quelle sono sostanzialmente impossibili da muovere loro contro e nel caso vi fossero sarebbero abbastanza facili da smontare. Piuttosto è una questione di abitudine, nel senso che ci si aspetta solo ed esclusivamente di vederli vincere ed al massimo inciampare quelle due o tre volte all’anno, talmente persistente è quell’aura di superiorità quasi assimilabile ad onnipotenza che la squadra riesce sistematicamente a far scendere in campo assieme ai propri uomini, in particolare quelli schierati dal lato offensivo della barricata. Se un anno fa ci si concentrava difatti maggiormente su Patriots, che non si pensava venissero detronizzati già in fase di Wild Card, e Ravens, se non altro per lo straordinario livello qualitativo trasudato dalle prestazioni di Lamar Jackson, in occasione di questa stagione ci si è concentrati molto sull’esiguo scarto con cui i Chiefs si sono imposti su determinati avversari, puntando il dito sulla troppa fatica spesa per portare a casa il risultato.
Eseguire determinate valutazioni può essere tuttavia rischioso, perché mettersi a sottolineare un differenziale tra punti segnati e subiti peggiorato rispetto all’anno passato, od il fatto che l’attacco segni meno mete rispetto ai stratosferici dati scritti nel 2018 significa ignorare con troppa facilità le 14 vittorie registrate dimenticandosi che tale numero rappresenta il migliore mai ottenuto nella storia della franchigia inglobando pure quei primi tre anni di esistenza passati a giocare con le vesti dei Dallas Texans. Andrebbe invece presa in maggior considerazione l’attitudine a non cedere mai alla possibile resa, ricordando che uno dei tratti maggiormente distintivi delle squadre veramente vincenti non è quello di schiacciare sistematicamente gli opponenti, ma è quello di trovare sempre un modo per uscire illesi da qualsiasi situazione di gara, meglio se con un tasso di pressione molto più alto del solito. Ed è stato proprio l’assorbimento di quell’aria di urgenza ad aver ancora una volta acceso il meglio di Patrick Mahomes in fase di esecuzione della creatività offensiva di Andy Reid, rendendo praticamente non scalfibile quella coscienza insita nel ragazzo del poter ribaltare il risultato a proprio favore qualsiasi sia la specifica circostanza.
Nonostante l’asticella delle aspettative fosse parecchio alta la regular season di Kansas City è andata addirittura meglio del previsto. In realtà la partita persa è stata una soltanto e la si ricorda semplicemente per il trionfale giro dei pullman dei Raiders attorno all’Arrowhead Stadium nella prima vittoria di sempre di Derek Carr presso l’impianto, un gesto che Reid ha accuratamente riportato nel taccuino e che alla fine non ha certo celebrato in via estensiva quel presunto assottigliamento nella differenza qualitativa tra le due accese rivali della Afc West, dal momento che anche quest’anno John Gruden ed i suoi ragazzi si sono dovuti accomodare sul divano di casa per un accesso ai playoff possibile solo a livello televisivo. Facilmente dimenticabile e giustificabile è stato difatti lo stop nel finale di stagione contro i Chargers, partita che ha visto saggiamente l’esibizione delle seconde linee della squadra del Missouri lasciando a riposo – e soprattutto lontani dagli infortuni – tutti i titolari di attacco e difesa, concedendo a Justin Herbert una strepitosa chiusura dell’annata da matricola seppur condizionata dall’assenza di competizione primaria.
Per il resto, solo vittorie, alcune delle quali con il punto esclamativo annesso. Un primo mese imbattuto, come da previsioni, Texans agilmente battuti nell’opener e Chargers superati con qualche patema di troppo rendendo necessario lo svolgimento del supplementare, gettando le prime premesse per quella sempre valida filosofia, quella del trovare un modo per vincere, non importa come o contro chi. Quindi un esercizio di potere contro i Ravens, condito da 517 yard di total offense, una solida affermazione contro le ceneri dei Patriots, e dopo il già menzionato stop casalingo contro Las Vegas non ci si è più voltati indietro collezionando dieci successi in fila, alcuni di importanza capitale per affermare nuovamente il proprio status di favoriti per il titolo. I Chiefs hanno arginato anche i sorprendenti Bills utilizzando la loro arma meno nota, la difesa, capace di limitare Allen, Diggs e compagnia assortita a soli 17 punti, e le ultime vittorie di ampio scarto sarebbero coincise con due delle avversarie più deboli affrontate quest’anno, i Broncos e i derelitti Jets, ovvero gli ultimi confronti che Kansas City si sarebbe aggiudicata con significativi differenziali nel punteggio fino al Championship della Afc.
Nessuna delle otto occasioni successive avrebbe difatti portato ad una scarto maggiore di un touchdown, e ci sarebbe stata la necessità dell’intervento di alcuni particolari fattori per mantenere il ritmo nel passo intrapreso. Un pizzico di fortuna non guasta mai, come dimostrano i due field goal mancati da Carolina e Atlanta per confezionare due potenziali upset tra i più clamorosi, la resistenza dei Raiders nella seconda gara stagionale sarebbe stata superata solamente da uno dei più giovani e validi interpreti del drive in rimonta, mentre il ritorno contro Denver avrebbe dovuto chiamare in causa la difesa, determinante nel preservare il 22-16 conclusivo. Le sette vittorie consecutive ottenute con un touchdown o meno di differenza – record Nfl – costituiscono una lista di vittime che comprende Tampa Bay, prossima contendente al Super Bowl, New Orleans, la seconda miglior squadra della Nfc, e Miami, superata solamente dopo aver dato un giro di cacciavite ad un poco caratteristico Mahomes firmatario di tre intercetti.
I 14 successi in archivio hanno consentito a Kansas City di divenire l’unica compagine della Afc a poter usufruire della settimana di riposo, a seguito dell’aumento nel numero di squadre presenti al ballo post-stagionale. Il turno di Divisional Playoff non ha portato con sé ruggini assortite ma solo un grande spavento, la pratica-Browns sembrava già abbondantemente archiviata in occasione del parziale ritorno negli spogliatoi con i Chiefs saldamente in vantaggio per 19-3, salvo subire il rientro in gara di Cleveland e patire l’abbandono anticipato di Mahomes, poi entrato nel protocollo Nfl per i colpi al cranio, lasciando a Chad Henne l’incombenza di limitare i danni. Il backup ha deciso la partita su una fantasiosa conversione in pieno stile-Reid, re degli anticonformisti nel giocare alla mano un quarto e centimetri disponendo il quarterback in shotgun formation per un lancetto poi completato per Tyreek Hill, proteggendo in modo pittoresco un divario ridotto a sole cinque lunghezze.
Nel bel mezzo delle osservazioni per l’ennesima vittoria ristretta nel tabellino finale i campioni in carica hanno sfoderato la prestazione dell’anno frantumando i Bills, di ben altra caratura rispetto alla compagine affrontata in ottobre, dimostrando di poter accelerare a piacimento nel condurre la maggior parte dei loro drive dritto in endzone. 21 punti consecutivi per rimediare allo svantaggio iniziale – oramai una costante dalle parti dell’Arrowhead Stadium – ed una sensazione di netto dominio che il 38-24 conclusivo non racconta certo a dovere, amplificata dai big play basati sulla velocità di Hill e Hardman, sulla profonda intesa di Mahomes con il miglior tight end della Nfl, Travis Kelce, nonché su una difesa capace di assediare Allen provocando troppe situazioni di field goal sostitutive di quelle mete che tanto sarebbero servite a Buffalo per tentare di rimanere in equilibrio.
I Chiefs hanno così portato a compimento un cammino non sempre brillante, ma sicuramente vincente, ottenendo la realizzazione dell’obiettivo minimo stagionale. Certo, a volte si sono dimostrati battibili e si sono fatti assoggettare alle detrazioni di chi ha spesso fatto notare che le grandi squadre impongono il loro dominio schiacciando chiunque si pari loro dinanzi e non usufruendo così spesso della porta di servizio per ottenere un ugual risultato, ma stiamo in ogni caso parlando di un collettivo che non conosce il significato della parola panico e che sa sempre come uscire dalle situazioni più spinose da risolvere, un attributo che a nostro modo di vedere è un tratto ancora più importante della capacità di dominare l’avversario.
Ancora qualche giorno di pazienza e potremo vedere quale versione dei Chiefs si manifesterà in campo e se sarà necessaria una nuova situazione di svantaggio per accendere il loro fuoco competitivo, prestando la massima attenzione ad una difesa come quella dei Bucs, cresciuta fino a raggiungere l’apice della forma proprio nei playoff grazie ad una sommatoria di giocate più che decisive. L’oggetto principale della contesa non potrà che essere il confronto tra Patrick Mahomes e Tom Brady davanti al palcoscenico più grande di tutti, vera fonte di eccitazione per qualsiasi appassionato di football americano: The Goat contro il futuro The Goat? Sì, molto probabile, senz’altro un ottimo ingrediente per una partita che ha già assunto diversi connotati storici ancor prima di essere disputata.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.