THE BEST
RUSSELL WILSON
Un’attesissima gara come quella tra Seattle e New England, una rarità per gli occhi date le poche occasioni di incrocio, era già stata abbondantemente anticipata dalla fervente discussione individuale riguardante Russell Wilson, storicamente autore di azioni al di fuori dell’umana comprensione all’interno del rettangolo verde numerato, nonché oggetto dello snob più puntuale da parte dei media per quanto riguarda la votazione di Mvp.
Chi è abilitato alla selezione avrà certamente di cui ravvedersi in questo bizzarro 2020, che Wilson ha cominciato registrando 9 passaggi da touchdown unitamente ad una percentuale di completi pari ad 82.5%, un numero assolutamente fuori dalla portata dell’essere umano medio se considerata la difficoltà media dei lanci eseguiti dal quarterback in ciascuna delle due partite sinora disputate. Nel palcoscenico del Sunday Night Wilson si è fatto valere di nuovo lanciando tre mete surreali per probabilità di riuscita e per estensione di gittata, senza considerare che in tutte le occasioni ha dovuto assorbire colpi durissimi da parte del difensore di turno.
Come riprendere per mano una contesa cominciata con un suo intercetto riportato in meta a causa di un evidente errore del proprio ricevitore? Semplice, oltre che una bella pacca d’incoraggiamento sulla spalla di Greg Olsen, è sufficiente schiacciare il trittico di tasti ctrl+alt+canc e riavviare il programma, marciando a volontà sopra la rinnovata difesa di Bill Belichick completando 21 dei successivi 27 passaggi tentati dal momento del turnover in poi, collezionando 5 mete totali tra cui vanno annoverati l’arco alto e perfetto che ha permesso al fenomeno D.K. Metcalf di ridicolizzare Stephon Gilmore, non certo l’ultimo degli arrivati, quindi un pallone millimetrico piazzato dove il solo David Moore poteva giungere, ed infine un’altra traiettoria impeccabile lanciata con Chase Winovich in faccia per la meta siglata da Chris Carson.
Facendolo uscire dalla tasca si rischiano danni incalcolabili per la propria difesa, tenendolo all’interno lui ha sempre il sangue freddo necessario per attendere quel secondo di pazienza in più, lanciare prima che arrivi il difensore, e continuare a festeggiare mete una volta rialzatosi da terra. Si prega la stampa addetta di prendere seriamente nota, stavolta.
NEW ENGLAND PATRIOTS
I Patriots sono usciti sconfitti ma a testa altissima dal confronto con Seattle, in un altro scontro all’ultimo centimetro tra queste due potenze di conference opposte. Abbiamo imparato a non sottovalutare Belichick sin dai tempi in cui ovviava alla poca profondità del suo roster facendo giocare Troy Brown da defensive back, e molti altri hanno imparato nuove lezioni strada facendo, mano a mano che la franchigia faceva man bassa di ricchezze Nfl ogni volta che i detrattori puntavano il dito una volta contro la difesa, l’altra contro il fatto che Brady non potesse durare così a lungo, e l’altra ancora quando pareva non ci fossero ricevitori degni di tale nome.
Eppure New England si è reinventata anche stavolta, e nonostante una sconfitta che ricordiamo essere pervenuta solo per l’eccellente placcaggio di L.J. Collier su Cam Newton, si propone come una delle squadre più competitive e pericolose di tutta la Afc. Per quanto siano cambiati i volti di mezza difesa Belichick ha comunque trovato il modo di mettere Wilson sotto pressione (il resto l’ha fatto l’innato talento del quarterback) e per quanto si sia chiacchierato volentieri della necessità di non esporre Superman a colpi troppo gratuiti per via delle precarie condizioni fisiche degli ultimi anni, sono già quattro le mete personali siglate in stagione dal nuovo regista di New England, con la quinta evitata solamente dalla già menzionata gran giocata difensiva dei Seahawks nei secondi finali di gioco.
A chi si chiedeva attraverso quale metodo si sarebbe corsi ai ripari per ovviare al biglietto di sola andata per la Florida acquistato da Brady in offseason ecco pronta una risposta che ha visto Cam lanciare per quasi 400 yard con un’efficienza raramente vissuta in precedenza, oltre all’addebito al medesimo di ben 444 delle 464 yard di total offense, cifretta interessante per capire come Josh McDaniels riesca a lavorare differentemente, ma con gli stessi risultati di sempre, anche quando il materiale umano è particolarmente differente da prima. Stuzzicante anche la gara messa assieme da Julian Edelman, che dopo più di 150 gare Nfl ha fatto registrare il nuovo primato personale di yard con 179 alla faccia di chi credeva che il suo rendimento – privato dell’amico Tom – potesse drasticamente calare, ed incoraggiante pure la prova dell’atteso N’Keal Harry, destinatario di 8 ricezioni per 72 yard.
Davvero non male per un attacco che non è riuscito a mettere assieme lo straccio di un gioco di corse, andando ugualmente a rischiare di vincere a Seattle.
AARON JONES
I Packers hanno cominciato la gara divisionale contro i Lions in salita, ma grazie all’eterno Aaron Rodgers e soprattutto alla fantascientifica prova offensiva di Aaron Jones le preoccupazioni si sono presto sciolte come neve al sole. Con Detroit sorprendentemente avanti per 14-3 in trasferta, Jones ha sistemato la questione cominciando il secondo quarto con una ricezione di 22 yard e la seguente uscita dal backfield servita a segnare la meta d’accorciamento delle distanze, per poi aprire la ripresa in maniera sontuosa, colpendo l’interno della difesa ospite come un coltello affonda nel burro sgusciando via dalla debole chiusura incrociata degli ultimi due opponenti, galoppando per un totale di 75 yard (si è trattato del touchdown su corsa più lungo degli ultimi 16 anni dei Packers) e chiudendo la questione Lions a 14:48 dalla conclusione del terzo periodo.
Il suo terzo ingresso in endzone ha poi sigillato una rimonta che Green Bay ha trasformato in disfatta, decretando un fatturato di 168 yard, miglior prestazione su corsa di carriera, e 68 yard collezionate su ricezione, per un totale di 10.7 yard per tocco, in sostanza un primo down ad ogni occasione in cui il running back ha tenuto l’ovale tra le sue produttive mani. Un ottimo contributo per una squadra che si è presentata alla grande ai nastri di partenza della nuova stagione ottenendo almeno 40 punti in ciascuna delle prime due uscite, un traguardo raggiunto di recente sia di Saints del 2009 che dai Broncos del 2013, ambedue poi vincitrici del Super Bowl, coincidenza di sicuro buon auspicio e adeguata per una franchigia che si ripresenta alla Nfc come una delle sue appartenenti più pericolose.
HONORABLE MENTION – THE WATERMELON KICK
In questo caso siamo onestamente a metà strada tra il genio della chiamata allestita da John Fassel e la mancanza di lucidità da parte di almeno tre giocatori degli special team dei poveri Falcons. Chiamata della domenica o forse dell’anno, e crediamo di non essere stati gli unici a strizzare gli occhi nel momento stesso in cui Greg Zeurlein appoggiava a terra il pallone senza il classico sostegno per il tentativo di onside kick.
Nasce così il watermelon kick, un’azione apparentemente inefficace che invece ha rivelato un’inventiva direttamente correlata alle leggi della fisica. L’apparente debolezza della prima parte del percorso svolto dal pallone ha sicuramente tratto in inganno i giocatori di Atlanta, che per regola avrebbero potuto ricoprirlo anche prima delle canoniche 10 yard e far terminare la gara. Ma la seconda parte della traiettoria ha preso una direzione inaspettata, mantenendo la più totale mancanza di reazione degli avversari, fino a che la yarda numero dieci è stata scavalcata con successo dopo l’improvvisa presa di velocità della palla, finita così tra le braccia entusiaste di Dallas.
Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza un mai domo Dak Prescott, chiaro Mvp della partita, senza gli attributi di Cee Dee Lamb, autore della ricezione decisiva, e senza la consueta precisione di Legatron, ma resta incredibile quanto posto in atto da Fassel per permettere il calcio dell’insperato e definitivo sorpasso ai danni dei Falcons, sempre più appesantiti dalle gravi rimonte subite anche in palcoscenici più prestigiosi di questo.
THE WORST
MATT PATRICIA
Per essere una squadra dichiaratasi di prospettive playoff, i Lions non stanno facendo nulla per tenere fede a quanto uscito dalla loro stessa bocca. Invece, sono saliti in cima alle cronache nazionali americane a causa dei record di dubbio gusto che continuano ad inanellare, comprensivi della quarta sconfitta consecutiva – contando anche la chiusura della scorsa stagione – dopo aver sprecato un vantaggio in doppia cifra, nonché l’undicesima consecutiva nel complesso, striscia che si sta avvicinando molto pericolosamente ai 19 passi falsi in fila collezionati tra il 2007 ed il 2009.
Lo specialista difensivo Matt Patricia doveva rappresentare la soluzione per i mali della squadra, cronicamente composta da una difesa labile ed un attacco mono-dimensionale semplicemente poggiato sull’ottima capacità di sostegno fornita da Matthew Stafford, l’unico protagonista degno di nota e solitario predicatore nel deserto più totale. Non è cambiata la struttura della squadra e di conseguenza è difficile ottenere risultati differenti da prima, rendendo non troppo difficile l’intuizione dei motivi per cui l’attuale head coach ha vinto solamente nove partite dal momento del suo insediamento nella Motor City e possa essere dipinto senza troppi problemi come l’ennesimo assistente del ramo-Belichick incapace di avere lo stesso successo del maestro una volta lasciato il nido.
La stagione è ancora molto giovane, per carità, ma pare lecito coltivare più di qualche dubbio sulle reali possibilità che i Lions abbiano di acciuffare quei playoff che rappresentano quasi certamente l’obiettivo minimo per garantire la permanenza in loco di Patricia. Dopo un primo anno tutto sommato neanche disastroso la difesa è colata a picco già nel 2019 e la situazione non è certo migliorata oggi, a dimostrazione del fatto che l’aver attrezzato il reparto con molti ex-Patriots non significa necessariamente eguagliarne i risultati, ed il gioco di corse resta sempre inefficace, con due scelte alte come Johnson e Swift – che si è divorato il touchdown della possibile vittoria nell’apertura contro Chicago – inspiegabilmente oscurati dalla scelta di firmare Adrian Peterson.
Ricordando che Jim Caldwell è stato licenziato dopo aver ottenuto molto di più nello stesso arco di tempo, è presumibile che la testa di Patricia possa essere una delle prime a saltare in anticipo rispetto alla chiusura della regular season.
NEW YORK JETS
Un guaio annunciato, purtroppo per i poveri fan della parte bianco-verde della Grande Mela. Dopo due partite è già il caso di segnalare la resa, difficile che il rabbioso Adam Gase possa capire nel giro di breve tempo il dove poter partire per cominciare a sistemare i tantissimi problemi che stanno devastando la salute mentale dei Jets, eterni perdenti.
Si era parlato molto bene – lo facemmo pure noi a tempo debito – del matrimonio tra Gase e Darnold, con la crescita di quest’ultimo che pareva essere in buone mani, ma non si possono vedere segnali importanti se il piano di gioco non è abbastanza aggressivo nelle chiamate oltre le 10 yard di passaggio, se si prendono decisioni dubbie in free agency – lasciar andare Robbie Anderson e firmare Breshad Perriman, continuamente infortunato – e se si continua a forzare la mano con un giocatore dalla testa disabitata ma di certificato talento come Le’Veon Bell, al quale la settimana scorsa andava impedito il rientro in campo anziché permettergli di aggravare un infortunio che toglie all’attacco la sua risorsa più importante.
I disastri combinati dal regime dirigenziale precedente a questo hanno ancora oggi troppe ripercussioni, e la presenza di un head coach che si sta dimostrando essere inadeguato è particolarmente dannosa. Jamal Adams ci aveva visto lungo.
VIKINGS OFFENSE
Pomeriggio orribile quello del capitano Kirk, che ha terminato la sua partita con un rating di 15.9 punti, anche se le responsabilità dello 0-2 di Minnesota sono da distribuire equamente su tutto il reparto. Cousins ha giocato una partita altamente insufficiente seppur giustificata dall’enorme pressione lasciata passare specialmente dalle due guardie offensive, impossibile difatti sottovalutare gli intercetti rimediati con un bruttissimo lancio in doppia copertura prima e senza centrare adeguatamente le mani di Olabisi Johnson poi, in un pomeriggio infernale dove il reparto ha tenuto il pallone solamente per 21 minuti.
Cousins ha chiuso con solamente 11 passaggi completati a fronte dei 26 tentativi per 113 misere yard, cifre incomparabili ai guadagni bancari del quarterback in porpora. Non aiuta certo un gioco di corse che fino alla stagione scorsa rappresentava il pilastro dell’attacco e permetteva tutto il ventaglio di soluzioni che l’allora offensive coordinator Kevin Stepanski poteva pensare di attuare, Dalvin Cook è stato chiamato in causa in sole sei occasioni nei primi trenta minuti di gioco e lo staff offensivo, condotto da una certezza come Gary Kubiak, non ha trovato tempestivamente modo di coinvolgere quella che sarebbe la principale risorsa offensiva di squadra. Da queste prime battute si sente di certo la mancanza di Stephon Diggs, e Thielen pare essere l’unica certezza della batteria di ricevitori.
Mike Zimmer era maggiormente preoccupato del ricambio generazionale difensivo più che del resto, ed invece si ritrova con problematiche che colpiscono la squadra a trecentosessanta gradi. Le grane in difesa restano, come dimostrano i 71 punti concessi nelle prime due giornate di gioco, ma di certo non si pensava di presentare un reparto offensivo incapace di muovere il pallone e colpevole di troppi turnover, motivi principali per le fugaci apparizioni in campo, per la scarsità di primi down sinora ottenuti, nonché per l’eccessiva esposizione patita dalla difesa, che ora si ritrova pure senza Anthony Barr per la stagione.
Urgono riparazioni immediate.
HONORABLE MENTION – CARSON WENTZ
Altrimenti noto per avere particolare cura del pallone ed essere preciso nelle conclusioni, Carson Wentz sta attraversando un momento psicologico particolare, finendo per premere troppo sul pedale dell’acceleratore. Di certo non è d’ausilio la sensazione di costante urgenza in cui il quarterback degli Eagles trascorre la maggior parte degli snap, memore dell’autentico assalto perpetrato dalla linea difensiva di Washington alla prima giornata di ostilità, ma dinanzi ad una prestazione complessivamente rafforzativa da parte del fronte a cinque di Phila la tendenza a strafare è ancora una volta risultata un’arma a doppio taglio.
Wentz ha chiuso la sua seconda partita consecutiva con intercetti multipli, portando a quattro il totale stagionale a fronte di soli due passaggi vincenti. Uno dei due turnover commessi domenica è stato preda di Dareous Williams all’interno della endzone in un’azione che avrebbe potuto portare in vantaggio gli Eagles dopo aver lottato per restare in gara per due quarti e mezzo, trasformandosi invece nel momento in cui i Rams hanno spostato tutta l’inerzia dalla loro parte. Un episodio evitabile in un momento troppo delicato della partita, segno che la testa dei ragazzi di Pederson non è piena di sicurezze come al solito. Attenzione, perché l’ansia da prestazione può essere pericolosa.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Ho visto qualche pezzo live degli eagles, tra i quali l intercetto a wentz in end zone.
In nottata ho visto Wilson, stessa identica azione, la palla come un laser nelle mani di lockett, coi difensori addosso. E poteva tranquillamente correre. Uno ha consapevolezza e l altro no.
Comunque leggere
The Best
Russell Wilson
Brividi
Wentz non è mai più tornato lo stesso
2 anni fa sono andati ai playoff anche “grazie” al suo infortunio, l’anno scorso hanno avuto una schedule e una division ridicole