Ho provato a lasciar perdere, ma niente, non sono riuscito a tenere il mio – non richiesto – parere nel Grand Canyon presente all’interno del mio cranio: come suggerito dal titolo, vorrei dirvi la mia circa i Washington NonPiù-Redskins.
Amo alla follia The Office, il mio amore per la serie è incommensurabile e nonostante oggigiorno sia più popolare che mai, mi piace pensare di essere uno dei più grandi fan in assoluto delle sette-più-due stagioni sulle vicende della Dundler Mifflin… anche se Parks and Recreation è meglio: non me ne vogliate, ma dopo lunghe riflessioni sono giunto a questa rivoluzionaria conclusione.
Uno dei motivi per cui adoro questo genere di serie TV è il loro umorismo, così dannatamente reale, secco, brillante e senza limiti: sono consapevole, però, che nel 2020 non sarebbe possibile girare un qualcosa di simile a The Office.
Il secondo episodio della prima serie, Diversity Day, è visto da chiunque come la dichiarazione d’indipendenza della serie, il preciso momento in cui Greg Daniels si è staccato dalla costola di Steve Merchant e Ricky Gervais ed ha dato una propria identità alla versione americana della serie di culto inglese: oggi un episodio come Diversity Day, quasi sicuramente, non sarebbe nemmeno girato, figuriamoci mandarlo in onda.
Sessista, misogino, razzista, antisemita, chi più ne ha più ne metta, quell’episodio contiene di tutto: nonostante sia fermamente contro ogni singola parola – e conseguente concetto – sciorinata nell’ultimo capoverso, dentro lo schermo del mio computer tutto ciò diventa – in determinate circostanze – accettabile in quanto chiara parodia della realtà.
È una serie TV, dico io, e nonostante sempre più giovani abbiano difficoltà a farsi una spensierata risata, ridere davanti a ciò/di ciò non rende me razzista, omofobo o antisemita: per tanta gente, soprattutto della mia età, ridere sta sempre diventando più complicato, in quanto una risata potrebbe implicare affiliazioni a certe correnti di pensiero che non rispecchiano minimamente la persona che sono.
In condizioni come queste, la nascita dello slogan dittatura del politicamente corretto non è condonabile, ma sicuramente comprensibile: spesso e volentieri faccio fatica pure io a capacitarmi dell’incapacità di alcuni individui di prendere le cose alla leggera, di farsi una risata e capire quando sia il caso di indignarsi veramente e quando sia più opportuno liquidare il tutto con un bel sorriso.
Non sono assolutamente un sostenitore di questa locuzione, ma dinanzi a reazioni di amici che bollavano spettacoli di Bill Burr, Dave Chapelle o George Carlin come inaccettabili, offensivi e volgari ammetto di aver ritenuto cancerogena questa ostentazione di politically correct apparentemente in grado di farli uscire da qualsiasi processo morale come vincitori, come belle persone: attenzione, però, a non bollare frettolosamente in questo modo qualsiasi altra cosa riguardi l’offendere i sentimenti altrui.
Questo tiro alla fune ha fatto sì che l’intera querelle riguardante il cambio di nome – divenuto ufficiale lunedì – dei Washington Redskins sia stata accolta come l’ennesima riprova della terribile dittatura del politicamente corretto: non credo sia questo il caso, anche se posso capire la provenienza di certi ragionamenti e, soprattutto, l’intero processo mentale in grado di causare l’emissione di tale affermazione.
No, il cambio di nome dei Redskins non è la vittoria del politicamente corretto, non è l’ennesima battaglia vinta in una guerra epocale della quale molti non hanno ancora capito quali siano i fini ultimi, è una mossa di puro marketing, tutto qua: gli sponsor hanno alzato la voce, Dan Snyder ha abbassato la testa ed in barba al suo “we will never change the name of the team” ha dato l’annuncio che ha mandato su tutte le furie milioni di persone, fra cui troppi – purtroppo – italiani.
Nelle dichiarazioni rilasciate lunedì in un passo viene detto che Dan Snyder e coach Rivera stanno lavorando insieme per sviluppare un nuovo nome che permetta all’organizzazione di crescere per i prossimi cento anni ed ispirare the sponsors, fans and community: direi che l’ordine scelto sia piuttosto eloquente.
The sponsors e se proprio dobbiamo, anche i tifosi e la comunità.
Cari lettori, se qualcuno di voi minaccia la NFL e la dirigenza della squadra di football di Washington d’ipocrisia, ha assolutamente ragione considerando il materialismo di tale motivazione: ciò che fatico a capire, piuttosto, è il tono sorpreso con cui scandite la parola ipocrisia.
Non è una novità che la NFL sia una lega ipocrita, lo abbiamo visto per anni nella gestione del terrificante fenomeno delle concussion, ci è stato ribadito dal sorprendente e sincerissimo impegno sociale post-omicidio Floyd, lo stesso “impegno sociale” che ha condotto Kaepernick fuori dalla lega, lo vediamo nei contratti dei giocatori “normali” oppure nella gestione dei casi di violenza domestica e chi più ne ha più ne metta: qual è la novità?
È cosa nuova che l’unico interesse di questa lega sia quello di fatturare quanto più possibile e che in ciò, nonostante tutte le possibili critiche, siano i migliori al mondo?
Non credo proprio, dunque perché indignarsi così tanto dinanzi ad una causa giusta portata a termine per le ragioni sbagliate? Sono le ragioni sbagliate il problema?
Rispettabile, ma stiamo comunque parlando della NFL.
Il termine redskin, cari lettori, è offensivo e per quanto siate consapevoli che sono sempre interessato a sentire le vostre opinioni, qui c’è poco da ribattere: non sta a noi stabilire cosa sia offensivo e cosa no, soprattutto se riguardante materie appartenenti a culture differenti dalla nostra.
La discussione per il cambio di nome andava avanti da decenni e non m’interessa se sedicenti sondaggi pubblicati – parzialmente, tra l’altro – sull’Internent riportano che il 90% dei nativi americani non si riteneva offeso dall’utilizzo di tale termine, per due ragioni principali: la prima è che tale sondaggio sia stato sbugiardato da uno più recente e più serio che dimostra come in realtà tale numero sia ben più elevato.
La seconda è che saremmo di fronte ad un grave problema anche se “solamente” il 10% fosse offeso dall’utilizzo di quel termine: in una società civilizzata come quella in cui crediamo di vivere, mettere a disagio od offendere il 10% è un problema, anche se potete replicarmi che ognuno può decidere di offendersi per cose più o meno legittime.
Definire con precisione la percentuale di omosessuali nel mondo è impossibile per vari fattori, ma facciamo che i vari studi che hanno stabilito che circa il 10% della popolazione mondiale sia omosessuale siano accurati: usare colloquialmente espressioni offensive come frocio, checca o culatone diventa accettabile perché a risultarne offeso sia “solamente il 10% della popolazione mondiale”? Chiamare una squadra di football americano i Sommacampagna Faggots andrebbe bene perché metterebbe a disagio solamente il 10% delle persone che vengono a conoscenza della loro esistenza?
Non credo, non mi piace pensare di vivere in una società nella quale ci possiamo permettere di non considerare un numero così elevato di vite umane, pertanto eliminare un termine classificato come slur credo sia definibile azione buona e giusta, anche se purtroppo ciò che sbugiarda la bontà del processo, come già detto, sono le motivazioni.
Exclusive: Fifteen women who worked for Redskins allege sexual harassment by former scouts and members of owner Daniel Snyder’s inner circle https://t.co/MwMTOFupF9
— The Washington Post (@washingtonpost) July 16, 2020
Non ho intenzione di parlarvi di statue abbattute, di critiche al presidente, di violenza razziale sistemica, di mancanza di opportunità ed infrastrutture, di Kaepernick, di Alì o di Roger Goodell, anche perché non ne avrei i mezzi, ma permettetemi di dire che sono rimasto profondamente deluso da quanto ho letto nella community durante le ultime settimane: la costante riscontrabile in ogni singola mia delusione è quello slogan pigro ed ottuso, quella maledetta dittatura del politicamente corretto dietro alla quale molte persone si rifugiano in reazione ad eventi che per essere metabolizzati correttamente meriterebbero ben più lunghe e ponderate riflessioni.
Sono il primo a difendere la libertà di ridere, la libertà di prendersi in giro con bontà d’animo per scherzare e, per qualche minuto, dimenticarci della nostra misera condizione di vita e ritengo esagerati episodi come le scuse di Allison Brie per aver dato la voce a Diane Nguyen in BoJack Horseman, o la decisione di serie che hanno contribuito a rendermi la persona che sono come Scrubs o The Office di eliminare episodi nei quali era presente il blackface, poiché se non si può combattere il razzismo prendendolo in giro a mio avviso di problemi ne sorgono di nuovi: tutto ciò a mio avviso, secondo Mattia Righetti, pertanto non sono nella posizione di chiudere gli occhi e bollare tutto ciò come ennesima istanza di dittatura del politicamente corretto senza prendermi il tempo o la briga di provare ad instaurare un dialogo con chi ritiene offensivo tutto ciò.
Soprattutto se come nel caso NFL le motivazioni dietro tale cambiamento sono così limpide che non è nemmeno necessario fermarsi a riflettere più di tanto: ogni azione della National Football League, cari lettori, è finalizzata ad aumentare le entrate, nulla di più.
Posso capire la disillusione o la pura e semplice delusione davanti a tutto ciò, ma seriamente, serviva questa querelle per farvi realizzare quanto ipocrita sia la lega regina della nostra disciplina sportiva preferita?
Se la risposta è affermativa, beh, benvenuti.
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
Se non mi seguite su Twitter (@matiofubol) ci rimango male. Ora mi trovate su https://matiofubol.substack.com/
Tutto bene ma bisogna cambiare il nome anche ai Browns (sennò si offendono i messicani, che sono tanti).
Dopodiché sono a rischio pure i Saints (per i cattolici) e come già ipotizzato i Chiefs, col loro logo da redskins, nel senso di nativi americani.
Per non parlare dei Giants, appoggio kyler Murray in quanto persona non troppo alta, e se si tratta di imbrattare statue e simili vivendo a Roma potrei fare un casino
Ciao Mattia, condivido in toto il tuo pensiero. Speravo che Snyder avesse deciso di vendere la proprietà della (ormai ex!) gloriosa squadra dei pellerossa e invece niente, altro colpo basso per la Redskins Nation….. A questo punto faccio una proposta: perché non ribattezzare la franchigia Washington Sentinels e affidare le chiavi dell’attacco a Shane “Keanu Reeves” Falco al posto di Dwayne Haskins e aggiungerei anche il kicker Nigel Gruff 🤣🤣Cosa ne pensi, si potrà fare? Porterà soldi alla Lega??? Un cordiale saluto . Silvano
Mi rende felicissimo constatare che la quasi totalità della community NFL italiana abbia visto Le Riserve :)