Premessa: questo colpo lo avevo in canna da tempo e credo che in questi ultimi anni abbiate avuto modo di dedurre quanto io stimi Aaron Donald e quanto, come tutti del resto, non sia in grado di descriverne talento, dominio ed importanza storica.
Tradurre in parole la produzione di Donald non è possibile, esattamente come non lo è spiegare ad un neofito NFL perché nonostante i vari Mahomes, Jackson, Wilson e Jones il miglior giocatore della lega sia costantemente lui, un umile defensive tackle.
Donald rende il possibile routine, Donald trasforma i superlativi in imbarazzanti eufemismi aggiungendo, ogni singola domenica, una pagina alla sua già consolidata leggenda continuando a ridefinire una posizione che se non fosse per gente come lui sarebbe una delle meno spettacolari in assoluto.
Donald, signori, ha reso affascinante il ruolo di defensive tackle, posizione che per anni poteva essere compendiata con un poco gratificante “spingere nella speranze di tenere impegnati quanti più offensive linemen possibile”: Donald è un cyborg in grado di generare pressione a proprio piacimento e di sabotare completamente il gioco di corsa avversario grazie a doti fisiche e mentali raramente riscontrate altrove.

Ve l’ho ripetuto e, finché sarò inquilino di questo sito, sfrutterò ogni occasione disponibile – e non – per ribadirlo: stiamo parlando del gioco dei quarterback, in una lega di quarterback all’interno di un mondo di quarterback. Tutto in questa NFL gira attorno ai quarterback e, con il gioco aereo ogni giorno che passa sempre più fondamentale e privilegiato, la condizione mai sufficiente ma sempre necessaria per vincere è trovare qualcuno da mettere under center in grado di condurre un attacco con la massima efficienza: semplice, no?
L’importanza di un quarterback trova riscontro nel salario e molto probabilmente se doveste fondare una franchigia e vi dessero l’opportunità di scegliere un giocatore qualsiasi attorno al quale costruire le vostre fortune, 99 volte su 100 selezionereste un quarterback, un Patrick Mahomes magari: nell’unico caso nel quale doveste snobbare la posizione regina, sono più che convinto che scegliereste Aaron Donald.
Donald è un giocatore in grado non solo di cambiare le sorti della linea difensiva, ma dell’intero reparto difensivo, in quanto l’imbarazzante facilità con la quale arriva al quarterback avversario permette spesso e volentieri ai pass rusher allineati a suo fianco di non essere mai raddoppiati e, in generale, di non essere il punto focale intorno al quale allestire un gameplan per difendere il proprio quarterback nel migliore dei modi: la pressione oltre che a generare diamanti, genera un effetto a cascata che porta l’intero reparto difensivo a giocare meglio in quanto un quarterback sotto assedio molto difficilmente sarà in grado di vivisezionare la secondaria avversaria.

Il suo dominio trova riscontro non solo nella semplice produzione, ma pure nelle sempre più utilizzate advanced stats, e per fortuna: senza il loro prezioso aiuto non sarei in grado di spiegarvi a parole perché Donald sia il miglior giocatore della NFL.
Dal 2015 ad oggi, Donald ha sempre ricevuto il pass-rushing grade PFF più alto di qualsiasi altro difensore, edge rusher compresi: proviamo a digerire insieme tutto ciò.
Normalmente un pass rusher è messo nella posizione di generare più pressione e spesso sulla strada al quarterback avversario, oltre che un tackle, trova come extra blocker un tight end o un running back, poveracci che gente come Von Miller o Khalil Mack se li mangiano per colazione, escludendo i George Kittle di questo mondo; Donald, d’altro canto, è perennemente raddoppiato da due veri e propri offensive linemen, centro e guardia: nonostante ciò, nel 2019, è stato in grado di generare pressione nel 21.7% degli snap nei quali ha dovuto provare ad arrivare al quarterback.
Follia? Nemmeno più di tanto se si pensa che nel 2018, fino a questo momento sua magnum opus, vinse nel 25.9% dei casi: in altre parole, in un’azione di passaggio su quattro Donald è stato in grado di portare pressione al quarterback avversario.
Uno su quattro, praticamente ogni singolo drive.
Se non vi fidate dei dati di Pro Football Focus mica ve ne faccio una colpa, pertanto vi invito ad affidarvi al buon vecchio occhio: quando guardate una partita dei Rams, non avete l’impressione che Donald sia sempre nei pressi del pallone? Non vi sembra che apparentemente ogni singolo snap lo chiuda a ridosso dell’ovale o del quarterback? Non vi sembra che per un motivo o per l’altro al fischio di fine azione i linemen di turno a lui accoppiati siano a terra ad interrogarsi sulle loro scelte di vita?
Non siate bugiardi.

Uno dei suoi segreti lo si trova in quella che si credeva essere la più grande debolezza, la statura: alto solamente un metro ed ottantacinque, Donald riesce ad usare le proprie dimensioni per far perdere l’equilibrio al suo marcatore che, battuto in velocità allo snap, si troverà a fronteggiare la spinta di un piccolo toro tranquillamente capace di ribaltarlo sul posto senza nemmeno troppa fatica.
Contenere un difensore in grado di farti passare un’intera partita a camminare sulle uova è impossibile, ma non abbiate la presunzione di pensare che l’unico suo modo per arrivare al quarterback sia quello di fare affidamento alla propria forza erculea: nel momento in cui una guardia (o centro che sia) proverà – importante utilizzare questo verbo – a limitare i danni del suo devastante power move, ecco che come i migliori pass rusher all’interno della Hall of Fame lo circumnaviga grazie all’indescrivibile velocità.
In un modo o nell’altro, Donald ti batterà, consistentemente: ciò non è una possibilità, è l’avvilente realtà.
«Con molti speed guy – non credo sia traducibile – come lui, spesso ti basta partire rapidamente insieme alla palla senza preoccuparti eccessivamente del bull rush: con Donald, invece, se ti rendi vulnerabile partendo troppo presto cadrai vittima del bull rush e non sarai più in grado di recuperare la tua posizione» ha sapientemente sentenziato il futuro Hall of Famer Yanda.
La sua semplice presenza, se sei un O-lineman, è la tua condanna a morte.

Compendiare la sua grandezza facendo riferimento a velocità e potenza, però, rappresenterebbe una gravissima mancanza di rispetto nei suoi confronti, in quanto secondo vari offensive linemen l’arma più spaventosa nel suo pressoché illimitato arsenale è l’elasticità mentale: ciò che permette a Donald di arrivare con così tanta facilità al quarterback avversario è l’abilità di rispondere alla mossa del lineman avversario con una contromossa quasi sempre indifendibile. Con il 99 in campo i bull rush, in una stupidissima frazione di secondo, si trasformano in speed move capaci di incenerire all’istante la guardia avversaria.
A questo punto l’unica cosa rimasta da provare è chiedere aiuto al centro nel tentativo di incanalarlo verso l’interno della linea offensiva: anche questa idea spesso e volentieri risulta controproducente poiché è così veloce e flessibile che non ha alcun problema a vincere all’interno prima che il centro sia fisicamente in grado di toccarlo e quindi di rallentare la sua marcia di distruzione verso il malcapitato lanciatore d’ovali.
Ciò non è solo merito di doti fisiche senza precedenti nella storia, ma ovviamente pure di tantissimo lavoro nell’aula studio, lavoro che gli permette di conoscere l’interno della linea offensiva avversaria meglio delle proprie tasche e, una volta in partita, di decidere cosa fare indipendentemente dalla giocata chiamata dal defensive coordinator: immagino che nessuno vedrà ciò come anarchica sfida all’autorità, ma piuttosto come la più inconfutabile testimonianza di una grandezza difficilmente descrivibile attendendosi a lessico e grammatica della lingua italiana.

Posso comprendere perché chiunque, se nella già citata condizione di prendere un giocatore qualsiasi attorno al quale costruire la propria squadra, selezionerebbe un quarterback ma il semplice fatto che un defensive tackle rientri in questo genere di conversazioni è già di per sé straordinario, così come lo è considerare deludente una stagione da “solamente” 12.5 sacks.
Anni di NFL ci hanno insegnato che il premio di MVP è quasi esclusivamente ad appannaggio dei quarterback, ma ora come ora se c’è qualcuno “di esterno” in grado di vincerlo è proprio lui, il 99 dei Rams: non fatevi ingannare dal fatto che a suo nome figurino solamente due Defensive Player of the Year, ciò è dovuto all’ennesimo episodio di effetto Jordan – o LeBron -, ovvero quella condizione patologica che rende impossibile ai votanti assegnare un premio qualsiasi al giocatore più meritevole in quanto un suo trionfo rischierebbe di risultare “ripetitivo”.
Donald, a neanche trent’anni d’età, è già considerabile come uno di quei giocatori generazionali in grado di sopravvivere al passare del tempo come i vari Tom Brady, Deion Sanders, Reggie White, Jerry Rice o Ray Lewis, uno di quegli individui che ha completamente riscritto il modo di interpretare una posizione: dopo Donald, come faremo a valutare un defensive tackle?
Com’è possibile che un talento da Hall of Fame come Fletcher Cox, al suo cospetto, si faccia piccolo piccolo fino a diventare apparentemente insignificante?

E soprattutto, com’è possibile che dopo più di un migliaio di parole non sia ancora riuscito a trasmettervi una frazione della sua leggendaria, unica e sicuramente irripetibile grandezza?
Con Donald la logica, analogamente alle parole, perde ogni suo valore e diventa inutile provare ad essere razionali in sua presenza: prima o poi, ne sono convinto, saremo in grado di parlare di lui senza risultare sbrigativi.

4 thoughts on “L’incommensurabile grandezza di Aaron Donald

  1. Ciao Mattia, leggo sempre volentieri i tuoi articoli. L’unica cosa è che spesso scrivi opus magna invece del corretto magnum opus (trattasi di neutro).

    • Marlon!
      Grazie mille, correggo subito e grazie per le figuracce future che mi hai appena permesso di evitare.
      Grazie :)

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