Nella mente di ognuno di noi c’è sempre il timore di non essere ricordato, di non tramandare alcun lascito ai posteri, come un segno del nostro passaggio su questa terra e questa preoccupazione è ancora più elevata nella testa delle persone che magari hanno ottenuto una certa ribalta, una sorta di fama, in gioventù, come nel caso degli atleti professionisti, che spesso passano il resto della loro vita con la ridondante paura di essere stati completamente dimenticati da quei bambini, genitori, nonni, impegnati per anni a scandire ogni sillaba del loro nome dagli spalti.
Uno di questi è stato Jim Hart, quarterback dei Cardinals per 18 lunghissime stagioni che difficilmente viene inserito tra i nomi di leggendari di questo Sport, e a provarlo è il fatto che quando si parla di interpreti storici del ruolo principe del Football i nomi che si snocciolano sono quelli di Sammy Baugh, Otto Graham, Johnny Unitas, Roger Staubach, Fran Tarkenton, e mai quello dell’uomo che guidò i Big Red nel periodo in cui fecero tappa in Missouri, meta di passaggio nel tragitto che li ha portati da Chicago a Phoenix, prima, e Tempe, poi, in quell’Arizona che da anni viene ormai accostata al loro nickname.
Eppure ci fu un tempo in cui era impossibile pensare ai Cards senza pensare ad Hart, guida indiscussa della franchigia allora presieduta da Bill Bidwill, uno dei pochi giocatori capaci a rimanere sulla cresta dell’onda per tre decenni consecutivi, iniziando il percorso nel football professionistico nel 1966 e terminandolo nella stagione 1984, l’unica disputata con una divisa diversa da quella che lo aveva accompagnato per tre lustri abbondanti; un trait d’union perfetto tra le leggende degli anni ’60-’70 e i campioni degli anni ’80, il giovane ragazzo che ha assistito agl’ultimi gloriosi giorni di Bart Starr e l’uomo maturo che ha visto i primi dropback in NFL del rookie John Elway, sempre e costantemente con il numero 17 sulla maglia.
Nato il 29 Aprile 1944 a Evanston, Illinois, e rimasto orfano di padre all’età di 7 anni Jim venne introdotto nel mondo della palla lunga un piede dal patrigno che lo incoraggiò ad entrare nella squadra della Niles West HS di Skokie, in cui giocò come quarterback fino al diploma; distintosi anche nel basket e nel baseball, gli venne offerta una borsa di studio dalla Southern Illinois University e dal 1963 al 1965 guidò i Salukis nella NCAA College Division, cui parteciparono tra gli Indipendents, senza essere iscritti ad alcuna Conference.
Terminata la carriera universitaria, dopo essere stato completamente ignorato al Draft, viene chiamato a fare un provino dai Cardinals su indicazione del suo ex coach Don Shroyer che in precedenza aveva lavorato come assistente a St.Louis fino al 1963 prima di guidare SIU a livello collegiale; conscio del suo talento l’allenatore che lo aveva visto all’opera nelle ultime due stagioni non esita a segnalarlo ai vecchi colleghi e dopo una prova molto positiva in cui mette soprattutto in mostra la forza del suo braccio entra in NFL da undrafted, come riserva del QB titolare Terry Nofsinger.
Qualche mese più tardi, verso la fine della regular season, il 17 Dicembre 1966, Hart fa il suo esordio tra i professionisti nel match contro i Cleveland Browns completando solo 4 passaggi su 11 tentativi per 29 yards totali; un inizio non facile che fa da preludio alle prestazioni altalenanti degli anni successivi nelle poche occasioni in cui viene chiamato a presenziare sul terreno di gioco, nelle quali da sfoggio delle buone qualità di passer pur continuando a commettere errori che si traducono in intercetti da parte dei giocatori avversari e lo portano a realizzare il primo TD pass solo a metà del torneo 1967, in un match con i Giants.
Divenuto titolare proprio quell’anno, Jim torna a ricoprire il ruolo di backup nella stagione successiva e continua a scambiarsi gli spot in depth chart con il collega Charley Johnson fino al termine del campionato 1969, quando quest’ultimo fu ceduto agli Oilers; il destino però sembra essergli ancora avverso e una volta uscito di scena il suo avversario per il ruolo di starter a St. Louis arriva l’allenatore Bob Halloway che nel biennio 1971-72 lo relega a terza riserva alle spalle di Gary Cuozzo e Tim Van Galder.
Quando ormai la carriera professionistica di Hart sembra destinata a chiudersi precocemente ecco la svolta che cambia le carte in tavola e gli apre la strada per diventare uno dei quarterback più importanti nella storia dei Cardinals grazie alla mossa che porta Don Coryell ad assumere il ruolo di head coach dei Big Red; riconosciuto durante i primi allenamenti in Missouri il talento di quel giocatore che indossa il numero 17, ammaliato dalla potenza di un braccio capace di colpire in profondità come pochi altri in quegl’anni, prende la decisione di affidargli nuovamente le chiavi dell’attacco e da quel momento la vita del ventinovenne originario dell’Illinois varia radicalmente.
Dopo un anno di assestamento, 1973, nel quale Joe riesce finalmente a chiudere con un rapporto positivo tra TD pass e intercetti lanciati, 15 a 10, inizia un triennio florido di vittorie per il team di St. Louis che a partire dalla season 1974 vince almeno 10 match di regular season per tre anni consecutivi, strappando il biglietto per i playoffs sia nel ’74 che nel 1975; proprio quest’ultima è la stagione che rimane nei cuori di ogni tifoso dei Gridbirds grazie all’epopea dei “Cardiac Cards”, soprannome attribuito al team dopo gli otto successi ottenuti negli ultimi secondi di partita che han contributo a determinare una delle migliori season di sempre della franchigia, sicuramente la più positiva del periodo in cui alloggiava in Missouri.
Rimasto starter fino alla stagione 1980, il torneo successivo guida la squadra in solo 5 partite prima di lasciare il posto al giovane collega Neil Lomax, selezionato nel secondo round del Draft del 1981, e continua a fargli da backup per altri due anni prima di lasciare i Cardinals nella primavera del 1984 e trasferirsi ai Washington Redskins, con i quali affronta le ultime due tappe della lunghissima carriera professionistica.
In vetta alla NFL nel 1974 per passaggi tentati, 388, Hart è stato nominato NFC Player of The Year in quella stessa stagione dopo aver completato 200 pass per 2,411 yards, 20 touchdowns e 8 intercetti, e sempre in quel periodo, tra il ’74 e il 1977, è stato convocato per quattro volte consecutive al Pro Bowl vincendo anche il “Whizzer” White Man of The Year nel 1975; inserito nella Missouri Sports Hall of Fame nel 1998, dal 2017 è anche membro del Ring of Honor della franchigia di cui detiene diversi record, tra i quali le yards lanciate in carriera, 34,639, i passaggi, 2,590, e i TD pass completati, 209.
Hart, che detiene anche il curioso primato di lancio più lungo completato nella storia della NFL senza aver realizzato un touchdown, pass da 98 yards su Bobby Moore (divenuto in seguito Ahmad Rashad) contro i Rams nel 1972, dopo aver lasciato i campi da football si è dedicato alla steakhouse aperta con l’ex compagno di squadra Dan Dierdof prima di trasferirsi a Naples, Florida, e dedicarsi alla sua grande passione, il golf; proprio attraverso quest’ultimo e grazie al torneo Hart Celebrity Golf Classic raccoglie ogni anno dei fondi per aiutare bambini, ragazzi e adulti disabili.
Rimasto ai margini del mondo del football per anni, anche a causa dei ripetuti problemi fisici e di salute che lo hanno costretto a sottoporsi a diversi interventi chirurgici, è riapparso sulle scene nella cerimonia del Draft NFL 2017 a Philadelphia, quando salì sul palco del Museum of Art per annunciare la selezione da parte dei suoi Cardinals della safety Budda Baker; quel giorno fu accolto dai fragorosi fischi della folla, composta principalmente dai tifosi di quegli Eagles che per anni erano stati suoi rivali nella NFC East e che lo fischiavano ogni volta che scendeva a Phila con i Big Red, così appena avvicinò al microfono disse: “Grazie per averlo ricordato”, perché alla fine gli avversari, gli amici, con cui si è condiviso il campo in tante battaglie, anche su fronti opposti, non si dimenticano mai.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…