5 Febbraio 2006, Detroit, Michigan, i Pittsburgh Steelers stanno per vincere il quinto Super Bowl della loro storia, il loro runningback veterano Jerome Bettis sta per realizzare il sogno di alzare il Vince Lombardi Trophy nella sua Detroit, e a molte miglia di distanza, tra le verdi montagne del Colorado, alle pendici di Mount Sopris, nella sua stanza presso la Casa di Cura di Carbondale un vecchio ottantenne sta godendosi la partita circondato dai suoi familiari.
La memoria negl’ultimi anni continua a giocargli brutti scherzi ma quando si tratta di Football, della palla lunga un piede e di quelle maglie nere con inserti gialli e numeri bianchi, quel demone chiamato Alzheimer gli concede sempre un tregua, ed insieme ai ricordi dei gloriosi giorni passati gli torna la stessa adrenalina di quando calcava i campi ed osservava il mondo nell’unica maniera in cui lo fa un Giocatore, da dietro la griglia di una facemask, e così lo ha sempre visto Ernie Stautner, fin da quando vi ha giocato per la prima volta ad 11 anni, sulla spiaggia di Albany, New York.
Considerato troppo piccolo dal leggendario head coach Frank Leahy per ottenere una borsa di studio dalla prestigiosa Notre Dame il ragazzo di origine tedesca, era nato a Cham, in Baviera, il 20 Aprile 1925, venne adocchiato dall’altrettanto rinomata Boston College, università alla quale si iscrisse una volta terminata la guerra e il suo servizio nel corpo dei Marines; tenace, duro, inesauribile, nonostante un fisico sotto la media, 185 centimetri per 104 chilogrammi, si distinse fin da subito come uno dei defensive tackle più forti della NCAA, affiancando nei primi due anni sulla D-Line dei Golden Eagles il formidabile Art Donovan.
Concluso il percorso collegiale nel 1949, Stautner si presenta al Draft NFL 1950 portandosi dietro la solita nomea di undersized e per questo viene passato dai New York Giants, squadra della sua città di provenienza, che dopo averlo intervistato lo lasciano comunque sulla board rendendolo una facile preda degli Steelers, dai quali viene selezionato nel corso del secondo round con la ventiduesima pick assoluta; presentatosi in grandissima forma al training camp di Pittsburgh, di lui impressiona fin dal primo momento la rapidità con cui attacca la offensive line avversaria e in breve tempo riesce a ritagliarsi un posto all’interno della depth chart del team allenato da John Michelosen.
“Un giorno il mio coach universitario mi disse che l’unica mia possibilità di diventare un giocatore professionista era scegliere il giocatore più duro della squadra e affrontarlo” praticamente quello che Ernie fece con gli avversari per l’intera durata della sua carriera emergendo già nei suoi primi anni in National Football League come uno dei migliori difensori della lega, cosa che gli valse la prima delle nove convocazioni al Pro Bowl già nel 1952, al suo terzo anno da Pro.
Miglior lineman NFL nel 1957, First Team All-Pro nel 1955, 1956, 1958 e 1959, Stautner è sempre stato considerato un osso duro da tutti i colleghi che hanno dovuto affrontarlo sul campo, come raccontò in un’intervista rilasciata all’epoca un futuro Hall of Famer del calibro di Jim Parker, offensive tackle dei Colts, “Quell’uomo non è umano. È troppo forte per essere umano. È il ragazzo più duro della lega contro cui giocare perché continua a caricarti, il suo continuo colpirti gli avambracci ti logora. Quell’animale è solito infilarmi la testa nel ventre e spingermi nel backfield; una volta mi ha spinto così forte che quando ci siamo fermati e mi sono guardato intorno, c’era un solco che attraversava il campo, come se un contadino ci avesse passato sopra un aratro.”
E bestiale, un uomo d’acciaio, Ernie lo rimane per 14 stagioni consecutive, giocando con fatture al naso, spalle, costole, dita rotte, e saltando appena 6 partite nell’arco della sua carriera professionistica, vissuta dal primo all’ultimo giorno con la divisa degli Steelers indosso; la stessa che vestirà anche in borghese, quando dopo il ritiro dalle scene iniziò un altrettanto valido percorso da coach allenando la linea difensiva di Pittsburgh nel biennio 1963-64, prima di passare ai Washington Redskins nel 1965 e ai Dallas Cowboys nel 1966.
Con i texani il tedesco resta fino al 1988, vincendo due Super Bowl, nel 1971 e nel 1977, e continuando a seguire le linee di difesa anche dopo essere stato nominato Defensive Coordinator nel 1972, tre anni dopo l’entrata nella Pro Football Hall of Fame, introdotto dallo storico owner di Pittsburgh Art Rooney che spiegò “Ricordo un anno, in primavera, nella prima settimana di allenamenti era andato in ospedale e si era fatto operare il ginocchio, ma arrivati in autunno era pronto per giocare nella nostra prima partita di campionato. Ernie era così, e non ha solo giocato in difesa per noi, ma molte volte quando il gioco si è fatto duro, ha anche giocato in attacco. È stato un esempio per tutti i nostri atleti e sicuramente è stato un esempio per tutti gli atleti degli sport professionistici. Sono grato a Ernie per avermi scelto nel conferirgli l’onore di presentarlo oggi”.
Quell’anello da membro della Hall of Fame Stautner lo portò sempre con enorme orgoglio, “non se ne separava mai” raccontò la moglie Jill, nemmeno dopo i trionfi con i Cowboys e il World Bowl conquistato nel 1995 alla guida dei Frankfurt Galaxy, nella Germania in cui era tornato per guidare una delle franchigie della ricostituita World League of American Football nella sua ultima esperienza sulla sideline, perché quel piccolo gioiello aveva per lui un sapore particolare nonostante il rammarico di non aver mai portato i suoi Steelers a vincere qualcosa di importante.
I successi, infatti, per Pittsburgh arrivarono solo dopo il ritiro di Stautner, il primo nel 1974 con Chuck Noll al timone, quando Ernie era già in Texas, dove avrebbe contribuito a creare le difese Doomsday e Doomsday II rese famose dai Cowboys di quello stesso Tom Landry che rimase estasiato quando lo vide all’opera nel Pro Bowl del 1957, cui presenziò come d-line coach dell’Eastern Team, “E’ stata la partita in cui ho assistito alla più grande giocata di sempre da parte di un defensive lineman. Quel giorno Ernie giocò duro per bloccare un field goal, si schiantò sul bloccatore, superò l’holder e poi si avventò sul kicker. Dopo il kicker trasformò altri 4 field goal e vinse la partita, ma io non mi ricordai nient’altro di quella giornata”.
D’altronde le safeties erano state il marchio di fabbrica del giocatore di origine tedesca, leader all-time al momento in cui appese il casco al chiodo e attualmente ancora al secondo posto di sempre nel ranking NFL, in un’epoca in cui non erano molte le statistiche registrate e si calcola che avesse messo segno più di 1000 tackles nel corso di una straordinaria carriera cui mancò, appunto, la classica ciliegina sulla torta, ovvero la vittoria in un Super Bowl; nonostante questo Ernie è stato uno degli unici due giocatori nella storia a veder la sua maglia, la numero 70, ritirata dagli Steelers.
“Amava gli Steelers, odiava non aver mai vinto lì” disse sua moglie Lynn il 16 Febbraio 2006, data della sua morte, appena undici giorni dopo aver visto la sua Pittsburgh vincere ancora una volta.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…