C’è stato un momento, un preciso momento nell’epopea dei Dallas Cowboys capaci di dominare il Football della prima metà degli anni novanta in cui il nome più acclamato dai fans che settimanalmente si recavano al Texas Stadium non era quello di Michael Irvin, o quello di Emmitt Smith, o meglio ancora di Troy Aikman, ma era quello di Kenneth Gant, uno special teamer a tutto tondo che nella maggior parte delle squadre sarebbe passato del tutto inosservato ma in quel team, in quell’universo di giocatori stellari, era diventato qualcuno, era riuscito ad emergere e brillare di luce propria.

E dire che fino al 1992, sua terza stagione in Texas, il suo percorso nel football non aveva lasciato particolari segni, sviluppandosi sempre ai margini dei cosiddetti grandi palcoscenici, dal liceo fino all’università; nato il 18 Aprile 1967 nella cittadina di Bartow, Florida, aveva ottenuto un discreto successo a livello locale fino a conquistarsi una borsa di studio per giocare in un piccolo college di Division II, Albany State, situato nella vicina Georgia.

Cornerback titolare fin dalla seconda stagione, si mette in mostra anche negli special team dei Golden Rams e chiude i suoi quattro anni di carriera universitaria con 158 tackles all’attivo, 14 intercetti, 17 pass defended e 4 fumble forzati; altetico, reattivo, aggressivo al punto giusto, poco incline agli infortuni, come dimostra l’unico match saltato nei suoi quattro anni ad Albany, riesce a convincere i Cowboys a dargli una chance chiamandolo nel corso del nono round del Draft 1990.

Utilizzato come cornerback e safety durante il suo primo training camp da professionista, salta la rookie season a causa di un infortunio ma nel 1991 si ripresenta in nastri di partenza nel nuovo ruolo di gunner, o killer che dir si voglia, guidando fin da subito gli special team di Dallas, dei quali continua ad essere un protagonista indiscusso anche nelle stagioni successive; spostato da free a strong safety, utilizzato come nichelback se non addirittura da linebacker nelle difese di situazione i tackles rimangono il suo biglietto da visita più prezioso e sono tanti quelli che mette a segno dividendosi tra defense, kickoff e punt.

Ma i placcaggi non sono il suo unico marchio di fabbrica perché nel frattempo ha conquistato il pubblico grazie alla famosa danza con cui inganna il tempo prima che venga calciato il pallone oppure festeggia una grande giocata appena riuscitagli, quella che passerà alla storia di questo Sport come “The Shark Dance”; il colpevole di questa invenzione fu il compagno di squadra Kevin Smith, che in allenamento era solito esultare in questa maniera dopo ogni corsa vincente, un gesto ereditato dai tempi in cui guidava il backfield della Texas A&M e con i colleghi runningback avevano deciso di utilizzare questa esultanza dopo ogni touchdown.

Kenneth però non aspettava di avere l’ovale tra le mani e raggiungere l’endzone avversaria prima di lanciarsi in questo ballo, gli bastava mettere piede sul terreno di gioco, schierarsi sulla linea delle 25 yards, portare il gomito del braccio destro all’altezza delle spalle, la mano destra sopra la testa, e simulare la pinna di uno squalo con annesso movimento del corpo a fare da contorno; un rituale che di colpo, e come per magia, infiammava il pubblico assiepato sugli spalti di ogni stadio NFL e non solo i fans dell’America’s Team.

Amato dai tifosi, dai compagni di squadra, dai suoi stessi coach, inviso a molti avversari stufi di essere sbeffeggiati in quella maniera ad ogni kickoff o dopo una sua giocata decisiva, Gant continua a far oscillare la sua mano destra sopra il casco anche dopo il suo passaggio a Tampa Bay nel 1995, dopo aver vinto due anelli ed altrettanti Super Bowl, XXVII e XVIII, con Dallas, in entrambi i casi ai danni dei Buffalo Bills.

Due vittorie che indubbiamente Kenneth porta nel cuore ancora oggi, dopo essersi ritirato nel 1997 con 159 placcaggi e 7 intercetti all’attivo, mentre si divide tra il suo impiego in un magazzino e il ruolo di pastore del Faith Works Ministries, senza mai dimenticare i giorni in cui il suo nome era quello più conosciuto e acclamato dai supporter dei Cowboys.

Perché, come anticipato, c’è stato un tempo in cui la gente lo fermava per strada, o nei negozi, implorando di vedere lo squalo in azione; c’è stato un tempo in cui i fans indossavano i cappelli con la pinna di squalo durante le partite; c’è stato un tempo in cui spopolavano le magliette con la scritta “The Shark Tank” e il Texas Stadium sullo sfondo.

Un tempo in cui Kenneth Gant era l’uomo più acclamato dalle folle, “Voglio che la folla sia così entusiasta che quando è il momento del kickoff ci siano metà delle persone presenti allo stadio che guardano cosa farò, che pensino ‘Sta per fare qualcosa là sul campo.’ Mi dà una leggera pressione per aumentare il mio impegno, per fare qualcosa di buono. D’altronde il football è uno spettacolo, i fans pagano tanto per un posto allo stadio, e io gli dò semplicemente quel qualcosa in più”.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.