Quando vieni colpito da un lutto in tenera età tutto il mondo intorno a te cambia, senza che tu te ne accorga, inconsciamente, ma ciò che ti circonda assume una forma diversa e se viene a mancarti la presenza e il supporto di un genitore, improvvisamente, cerchi di curare quel cuore ferito, quell’affetto mancato, quell’amore spezzato, circondandoti di persone pronte a sostenerti, amarti, coccolarti, trasmetterti gioia, felicità, sorrisi, emozioni positive in grado di anestetizzare quel grande dolore che farà per sempre parte di te, che come un vagabondo eremita alla ricerca costante di un qualcosa cui non sai nemmeno attribuire un nome, porterai sempre con te, nel cuore, nella mente, nell’anima.
Per Norman Julius Esiason è sempre stato così, o meglio, lo è stato dal momento in cui i ricordi sono più vividi, da quando all’alba dei sette anni di età ha perso la madre Irene, la persona che lo aveva messo al mondo il 17 Aprile 1961 e che l’aveva affettuosamente ribattezzato “Boomer”, a causa di quel suo continuo ed ininterrotto scalciare fin da quando era un piccolo esserino all’ìnterno del suo ventre; un combattente, insomma, come sarebbe stato per il resto della sua vita e come suo padre Norman, veterano della seconda guerra mondiale che dopo aver perso l’amata moglie per colpa di un cancro alle ovaie si è diviso equamente tra lavoro e figli, un maschio e due femmine, rinunciando a tutto il resto, compresa la possibilità di rifarsi una vita.
Già la vita, quella che nonostante tutto scorre a fiumi nella casa degli Esiason divenuta in breve tempo il quartier generale delle amicizie del piccolo Boomer e trasformatasi con il passare degli anni nell’improvvisata clubhouse delle sue compagini sportive, dal liceo fino al football professionistico, testimone silenziosa dei tanti volti passati attraverso la porta d’entrata, come un portiere d’albergo che nel corso della propria esistenza si trasforma in un viso amichevole per un numero imprecisato di persone; amici di infanzia, compagni di squadra, fidanzate, che si sono alternati senza sosta nell’abitazione di East Isplip fin dagli anni della high school, quando il giovane biondo con gli occhi azzurri era la stella indiscussa dei locali Redmen, primeggiando nel basket, nell’hockey e nel football americano.
Con casco e paraspalle addosso Esiason sembra essere inarrestabile e a forza di inanellare prestazioni di alto livello strappa una borsa di studio presso la Maryland University entrando a far parte dei Terrapins nel 1980; dopo una freshman season difficile in cui rischia in più di un’occasione di fare le valigie e tornare a casa dal 1981 diventa il quarterback titolare del team che guida per tre stagioni fino al giorno della laurea, registrando 17 record dell’ateneo con sede a College Park e conquistando due menzioni d’onore negli All-American Team 1982 e 1983.
Considerato uno dei talenti più interessanti del Draft 1984 attende con impazienza trentasette chiamate prima di essere selezionato con la trentottesima scelta, decima del secondo round, da Cincinnati e diventarne lo starter un anno più tardi, il 22 Settembre 1985, quando prende il posto del veterano Ken Anderson e non lo molla più fino al termine della regular season 1992, l’ultima disputata con la franchigia dell’Ohio; condotti per due volte ai playoffs vincendo in altrettante occasioni la AFC Central e guidati fino al Super Bowl XXIII, perso 20-16 contro i San Francisco 49ers, lascia i Bengals nella primavera del 1993, quando viene scambiato con i New York Jets.
Boomer racconterà qualche anno più tardi della sua felicità una volta appresa la notizia, tanto che prima di iniziare il viaggio verso la Grande Mela chiamò gli amici più stretti avvisandoli che stava per tornare a casa, un ritorno che presto si sarebbe condito di un sapore amaro come apprendere durante il successivo training camp della terribile patologia di cui soffriva il suo primogenito Gunnar, al quale è stata diagnosticata la fibrosi cistica all’età di due anni.
“Un giorno terribile, quando ho ascoltato la prima volta la diagnosi ho pensato di smettere, di terminare in quel punto la mia carriera e dedicarmi completamente a mio figlio”; invece poi ci ripensa, decide che da quel momento ogni suo lancio completato sarà un messaggio positivo per tutti quelli che combattono contro la malattia, ogni palla messa in aria una testimonianza futura per il suo piccolo, e appena la notizia divenne pubblica dichiarò “Sarò il più grande nemico che questa malattia abbia mai avuto. Stiamo per battere questa cosa, so oltre ogni ombra di un dubbio che la batteremo.”
E così effettivamente fece, in pochi giorni creò dal nulla Boomer Esiason Foundation per combattere in prima linea finanziando la ricerca di un cura e nel mentre continuò a scendere in campo giocando una delle sue migliori stagioni da giocatore professionista che gli valse la quarta ed ultima apparizione al Pro Bowl della National Football League; impegnato attivamente nel sociale attraverso le tante iniziative promosse dalla sua fondazione gioca con i biancoverdi newyorkesi per altri due anni, fino al 1995, poi si trasferisce per una stagione in Arizona, 1996, prima di far ritorno a Cincinnati e chiudere definitivamente con il football giocato al termine della season 1997.
In quattordici stagioni NFL Esiason lancia 37,920 yards, 247 touchdowns e 184 intercetti, chiudendo nella top ten in diverse categorie e conquistando diversi riconoscimenti personali, tra i quali spiccano il titolo di NFL MVP del 1988 e il Walter Payton NFL Man of the Year Award del 1995, ma il suo rapporto con la palla lunga un piede non è ancora destinato ad esaurirsi, semplicemente si trasforma, e dopo un lungo periodo della sua vita passato indossando casco e shoulder direttamente sul campo da football, decide di continuare a raccontarlo diventando conduttore radiofonico e televisivo.
Un’esperienza che tra l’altro aveva già fatto mentre era ancora giocatore, quando insieme a Brad Nessler apparve come analista nelle trasmissioni dedicate alla World League of American Football, la progenitrice della NFL Europe, e che prosegui una volta dismessi i panni del quarterback professionista, lavorando per diverse emittenti statunitensi; famoso per il suo “Gametime with Boomer Esiason” in cui intervista diverse personalità del mondo sportivo, ha continuato a curare le sue passioni, da quella per lo sport, dimostrandosi un grande appassionato anche di hockey, a quella per la sua fondazione.
Attraverso quest’ultima non ha solamente investito con continuità sulla ricerca ma ha anche fornito un supporto costante ai malati e alle famiglie colpite, finanziando borse di studio per i ragazzi che convivono con la patologia, sostenendo le spese dei genitori per le trasferte e la permanenza nelle vicinanze delle strutture di cura in seguito alle operazioni dei figli, coprendo i costi dei trapianti, intervenendo su qualsiasi cosa fosse necessaria per fornire una migliore qualità della vita alle persone direttamente o indirettamente colpite dalla fibrosi cistica.
In un articolo apparso sul Boston Globe nel 2010 si affermava “Non molto tempo fa, l’aspettativa di vita per i malati di fibrosi cistica era inferiore a 20 anni. Grazie in gran parte agli Esiason, quel numero è quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni” e così è stato anche per il piccolo Gunnar diventato nel frattempo un giovane uomo, laureatosi al prestigioso Boston College e con alle spalle una discreta carriera sportiva a livello liceale ed universitario; “Mio padre? Il mio migliore amico” raccontò in una intervista rilasciata prima di un’edizione della “Boomer Run To Breathe”, la maratona organizzata annualmente dalla fondazione, “Il momento più emozionante della mia vita? Oh, ce ne sono tanti, se penso ad uno legato a questa corsa, l’anno in cui corse Gunnar; eravamo preoccupati, quella stagione al college aveva avuto qualche problema di salute, quindi vederlo tagliare il traguardo è stato davvero emozionante.” ribattè poco dopo papà Boomer.
Parole di padre. Parole di eroe.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…
Belli questi racconti di giocatori del passato.
Ne aspetto uno su randall cunningham!!
Grazie Gianluca!
Cunningham lo avevo scritto il giorno del suo compleanno sulla nostra pagina facebook quando avevamo pensato inizialmente ad un altro format
https://www.facebook.com/playitusa/posts/10157831692981885
Vedrò quanto prima di fare un articolo più completo e raccontare Randall come merita!