Oakland Coliseum, 5 Dicembre 2003, nell’OAL, Oakland Athletic League Football Championship, meglio conosciuto come Silver Bowl, si stanno affrontando i favoriti Skyline Titans e gli Oakland Tech Bulldogs; in questi ultimi spicca il futuro quarterback NFL Josh Johnson, rientrato in squadra dopo l’infortunio che lo aveva fermato l’anno precedente e capace di riportare il suo team all’ultimo atto di una stagione indimenticabile, ma nel match più importante, fino a quel momento, della sua carriera tutto sembra andare storto, subisce la pressione, non trova il timing con i propri ricevitori, e quel che è peggio quel dannato tabellone segna già un 41-26 in favore degli avversari ad inizio terzo quarto.
Quando tutto sembra perduto ecco però salire in cattedra un runningback con il numero 10, che azione dopo azione trascina i suoi compagni di squadra sul 41 pari, inanellando corse decisive ad ogni down, in preda ad una vera e propria furia agonistica; raggiunto il pareggio il ragazzo non si accontenta, e dopo essersi avventato sul ball carrier avversario, gli strappa letteralmente dalle mani l’ovale, gettando le basi per portare a termine una comeback insperata quando mancano 2 minuti e 20 secondi al termine della partita.
Nell’azione successiva è sempre il runner a condurre le danze e raccogliendo la palla dal proprio QB battezza il buco tra centro e guardia di fronte a lui, iniziando ad abbattere avversari e macinare yards; attraversa la linea difensiva, il braccio di un difensore che prova a mettergli le mani addosso, il linebacker che si è mosso per coprire il buco, spazza via il cornerback e cambia marcia, con una progressione in campo aperto che lo conduce fino all’endzone, trascinandovi dentro pure la free safety, ultimo baluardo di una difesa messa in ginocchio da una sfuriata che ad un signore intento ad accompagnare il cronista al microfono della TV locale KDOL fa esclamare: “quel ragazzo è una bestia!”.
Accanto a lui, nello stesso studio è presente anche lo zio del ragazzo, che con nonchalance corregge l’amico usando un termine che riassume ciò di cui sono appena stati testimoni “BeastMode”, unione di due parole che qualche anno più tardi diventerà il nickname con cui è universalmente riconosciuto quel runner che indossava il numero 10 della Oakland Tech, cresciuto, diventato nel frattempo uomo e star di fama mondiale che oggi tutti conoscono come Marshawn Lynch.
E Marshawn per quello zio giocatore professionista ha un’ammirazione particolare, tanto che molti anni dopo ammetterà che a cambiare e ridefinire il suo approccio al Football è stata proprio una visita a casa di zio Lorenzo, quando quest’ultimo gli fece un esempio che il prodotto di California ha fatto suo per l’intera durata della sua carriera “stai giocando un 4&1, il runningback sta per entrare nel buco”, e cosa scegli di fare? “Io avanzo, lo affronto faccia a faccia, come volessi baciarlo in bocca”. In una situazione del genere devi arrivare a “sentire il respiro” di chi ti sta di fronte.
Da queste parole Lynch ha sempre sostenuto di aver tratto l’ispirazione per correre in quella maniera così bestiale ogni volta che ha tra le mani la palla, “penso sia stato quello il momento in cui ho capito che se corri in faccia a qualcuno la maggior parte degli avversari non sono in grado di prenderti”, rendendo ancora più speciale quel legame che ha sempre avuto con il fratello di mamma Delisa, Lorenzo Lynch, cornerback che in NFL ha vestito le divise di Bears, Cardinals, Raiders, e che per lui è stato un punto di riferimento, se non addirittura un padre.
Nato ad Oakland il 6 Aprile 1963 dopo la carriera universitaria con la divisa dei Sacramento State Hornets è entrato in NFL nel 1987 come undrafted rookie, sfruttando lo sciopero che coinvolse i giocatori e le squadre in quella stagione cruciale per il futuro del Football; conquistatosi la fiducia dei coach è rimasto a Chicago fino al termine della stagione 1989, prima di giocare in Arizona nelle successive sei stagioni e di fare infine ritorno a casa nel 1996, per chiudere la carriera con i colori silver&black, difesi nel biennio 1996-97.
Famoso altresì per un aneddoto raccontato dal WR dei Cowboys Michael Irvin, cui concesse oltre 200 yards e 3 touchdowns dopo averlo “minacciato” che lo avrebbe marcato stretto tutto il giorno impedendogli di fare qualsiasi cosa, in 149 partite disputate da professionista ha messo a segno 549 placcaggi e 17 intercetti, ritornandoli per un totale di 315 yds e 2 TD; oltre a Marshawn, Lorenzo Lynch ha un altro nipote arrivato a calcare i campi della National Football League, il già citato Josh Johnson, quarterback giramondo visto all’opera ultimamente nella XFL.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…