Metabolizzato definitivamente il Super Bowl, eccoci arrivati al primo grande evento della offseason, le NFL Combine: ogni anno, però, sempre più gente si interroga con crescente e motivato scetticismo sull’utilità della tre giorni di Indianapolis e, per qualche istante, l’Internet torna ad essere quella magnifica piazza virtuale nella quale molti di voi passano la regular season a battibeccare con perfetti sconosciuti su argomenti sui quali sarebbe stato necessario informarsi un pochino più esaurientemente.
Servono? Hanno un qualche valore? Sono numeri totalmente vuoti?
Spoiler alert: trovare una risposta esaustiva ed unitaria è assolutamente impossibile, perciò no, il vostro immeritato Mattia non scioglierà definitivamente il più amletico dei dubbi per un appassionato NFL del ventunesimo secolo, significato di catch a parte.
Il primo caso che mi viene a mente, principalmente per contiguità temporale, è quello di D.K. Metcalf che con 27 ripetizioni alla panca piana ed un esorbitante 4.33 sulle quaranta yards era stato in grado di rompere il mai facilmente impressionabile Internet… salvo poi incappare in un dubbio 7.38 secondi nel three-cone drill, aggiungendo così preziosissime frecce nelle faretre degli hipster del web che non sprecarono tempo a sminuire – fino a quasi svuotare di ogni significato – quanto fatto poco prima a suon di “un ricevitore si valuta per la velocità nei cambi di direzione” o “questo è solo un workout warrior che non sopravviverà alla NFL”: in una sola stagione Metcalf si è trasformato in un vitale ingranaggio dell’attacco dei Seahawks concludendo con 900 yards e sette touchdown, numeri assolutamente fantastici per un ricevitore rookie.
Ciò che mi colpì ed affascinò del suo caso fu che nell’intervallo di tempo fra Combine e draft, Metcalf passò dall’essere una possibile scelta nella top ten-fifteen alla scelta numero sessantaquattro: effetto Combine? Perplessità sulla sua salute dopo aver perso quasi tutta la sua ultima annata universitaria a causa di un serio infortunio al collo?
Il suo draft status ha replicato l’andamento del suo hype, in quanto l’euforico ed irrazionale entusiasmo post-quaranta-yards è stato sostituito da un’eccessiva e mal formulata serie di dubbi post-three-cone: non credo i trentadue front office leggano i giornali o le reviews dei maestri zen dell’Internet, ma è alquanto singolare che quello che a parere di molti poteva/doveva essere il primo ricevitore selezionato è scivolato alla fine del secondo round rivelandosi poi essere un ottimo giocatore.
Eccesso di analisi o legittima preoccupazione per una condizione medica preesistente? Difficile, pure in questo caso, trovare una risposta unitaria, mi limiterò a dire che nei due mesi fra i due eventi si è parlato decisamente troppo di troppo poco: condizioni non particolarmente ideali.
Ciò che è certo è che per quanto le Combine non siano in grado di predire il successo di un’eventuale carriera NFL, sono sicuramente capaci di arricchire i fortunati – e preparati – che le hanno portate a termine con indiscutibile successo; giocatori come John Ross e Darrius Heyward-Bey devono molto a questo evento, in quanto con prestazioni esorbitanti – soprattutto sulle quaranta yards – si sono garantiti qualche milione di dollari in più venendo selezionati nella top ten dei rispettivi draft, diventando nel contempo i giocatori verso cui puntare il dito ogni qualvolta si discuta sull’utilità di quest’evento: campione assolutamente ristretto, ci mancherebbe, però da ciò possiamo estrapolare uno spunto interessante, ovvero che in alcuni ruoli si tende a concentrarsi troppo su degli specifici drill, lasciandosi trasportare eccessivamente dalle emozioni scaturite dinanzi a misurazioni straordinarie, nel bene o nel male.
Va anche tenuto presente che i front office in questione non erano – e sono – assolutamente fra i più stabili, in quanto Heyward-Bey portava in seno tutto ciò che Al Davis riteneva necessario per vincere, ovvero la velocità, mentre John Ross è stato selezionato dai Cincinnati Bengals e non credo di dovermi dilungare più di tanto sul front office dei Bengals.
È altresì vero che per tutti i John Ross, Heyward-Bey, A.J. Hawk e Vic Beasley di questo mondo ci sono altrettanti Nick Bosa, Jadaveon Clowney e Saquon Barkley, individui in grado di far registrare fantastici numeri alle Combine senza poi deludere sul gridiron: passano così tanti giocatori attraverso questo processo che è naturale assistere a così tanti casi particolari, stupirsi sarebbe sciocco.
I front office di Rams e Broncos, due squadre che al momento hanno giusto un paio di cose a cui pensare, hanno pressapoco deciso di “boicottare” le Combine inviando un contingente ridotto di scout ed allenatori, preferendo impiegare tempo e risorse per “altri scopi”: ciò altro non è che l’ultimo, logico, sintomo di un distacco sempre più reale e marcato fra Combine e dei front office sempre più disillusi e consapevoli che questi numeri possono essere il frutto di mesi di allenamenti mirati che probabilmente non significheranno o garantiranno successo sul campo.
Certo, osservare che il running back o wide receiver sul quale ci si sta informando da mesi sia in grado di correre quaranta yards in tempi semi-olimpici è incoraggiante, ma ciò può essere la fisiologica conseguenza di mesi e mesi passati a perfezionare la partenza e la moltitudine di altri fattori che hanno più a che vedere con l’atletica leggera che con il football americano: è arrivato il momento di tirare in ballo Mike Mamula, il padre di questo fenomeno.
Nel lontano 1995 Mike Mamula, defensive lineman da Boston College – non certamente il programma universitario più prestigioso per un prospetto NFL – sembrava destinato ad essere selezionato al terzo round, poi decise di diventare leggenda: preparando meticolosamente ogni singolo drill, Mamula riuscì a correre le quaranta yards in un portentoso 4.58, tempo che unito ad altre ottime prestazioni stregò il front office dei Philadelphia Eagles che, esterrefatto dinanzi al suo atletismo, rinunciò a due scelte al secondo round per scalare il tabellone ed assicurarselo con la settima chiamata assoluta.
Mamula può essere visto come l’esempio più lampante di quanto, almeno in un primo momento, le Combine abbiano potuto aiutare un giocatore a compensare anni di produzione non impressionante o l’appartenenza ad un programma non di primo livello, anche se la sua effettiva carriera in NFL può servire invece a mettere in evidenza il contrario, ovvero l’intrinseca inutilità ed incapacità di prevedere il futuro dell’evento: principalmente a causa di infortuni la sua carriera è durata solamente cinque stagioni, nelle quali non è mai riuscito a mettere insieme una produzione da settima scelta assoluta.
Con la scelta in origine in mano agli Eagles, la dodicesima assoluta, Tampa Bay selezionò Warren Sapp: inciso che vale la pena menzionare.
Ovviamente il tempo sulle quaranta yards non è in grado di predire la salute di un giocatore, ma già da tempi non sospetti molti general manager avranno avuto modo di intendere che tali numeri sono in grado di essere gonfiati da mesi e mesi di rispettabile allenamento, e che, soprattutto, questi non siano collegati direttamente ad un gran numero di fattori che rendono un giocatore NFL un gran giocatore.
Le Combine servono? Sì, ma non come ci sono presentate da anni.
Ritengo che siano un evento estremamente importante per i giocatori per poter parlare con i front office – nonostante i contatti inizino molto prima -, per potersi sedere in una stanza con l’intero staff tecnico di una squadra e ragionare sulle sempre fondamentali Xs and Os, per poter dimostrare a gente pronta ad investire il futuro della propria franchigia su un ventenne che tipo di persona questo ventenne sia: l’aspetto “umano” delle Combine è da sempre quello che ha catturato la mia attenzione, anche se reputo necessario un miglioramento della qualità del personale mandato a “testare” questi giovanotti, in quanto mettere in dubbio la sessualità del giocatore o chiedergli se la madre si prostituisca molto probabilmente non portano a nulla di buono ed anzi, mettono in vergognosa evidenza l’arcaicità mentale di alcuni front office.
Ciò che non ritengo utile, invece, sono proprio i numeri: abbiamo un campione sterminato di giocatori da analizzare e le carriere dei vari Brady, Boldin, Suggs, Campbell ed addirittura Antonio Brown ci hanno dimostrato come tali numeri altro non siano che… numeri, incapaci per natura di valutare aspetti di gioco fondamentali come intelligenza e presenza nella tasca, precisione nella corsa delle tracce o capacità di vincere l’uno contro uno con l’offensive lineman ed arrivare al quarterback con consistenza.
La mia idea, quindi, sarebbe quella di eliminare tutti questi drills e tenere solo quelli inerenti alla posizione, ovvero lanci, gauntlet, esercizi per verificare la velocità dei piedi, tecniche di pass rush e tanto, tantissimo studio di film per verificare l’intelligenza tattica di un giocatore: credo sia più importante osservare il modo di ragionare di un giocatore che la sua velocità sulle quaranta yards, in quanto un linebacker può sì correrle in 4.40 secondi, ma se il suo cervello non è in grado di processare con fulminea rapidità la miriade d’informazioni necessarie per portare a termine con successo una giocata tale velocità è totalmente inutile in quanto molto probabilmente non avrà nemmeno modo di staccare i piedi da terra a causa del paralizzante caos nella sua testa.
Il disincanto per i dati raccolti nelle Combine è palpabile, e per quanto ci piaccia ripetere che tutto ciò sia totalmente fine a se stesso un minimo d’importanza continuerà a sussistere, in quanto osservare un prospetto interessante mettere insieme numeri da decatleta fornirà al front office di turno un ulteriore feedback positivo da tenere in considerazione durante i giorni del draft; questo è sì positivo, ma chi tende a trasportare acriticamente i numeri registrati ad Indianapolis al campo di gioco sta commettendo un enorme sbaglio, in quanto la storia NFL ci ha dato centinaia di esempi in grado di sbugiardare sempre e comunque questo modo di pensare.
Godiamoci questo evento come il primo passo della stremante maratona che ci separa dal kickoff, ma non prendiamolo con immotivata serietà, soprattutto se vogliamo evitare di trovarci a litigare con qualcuno che non conosciamo davanti ad un triste schermo di computer.
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
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