I bet it feels amazing to be the quarterback who says "I'm going to Disney World" after winning the Super Bowl #Qbs
— Patrick Mahomes II (@PatrickMahomes) February 6, 2013
Questo tweet ha già fatto il giro del mondo, ed a ragione: il genuino entusiasmo di Patrick Mahomes, oltre ad una smisurata dose di talento e di pura genialità, è probabilmente ciò che ha permesso anche al più agguerrito hater dei Chiefs – odiatore suona veramente malissimo – di affezionarsi al loro numero quindici, autentico salvatore e probabilmente già leggenda nel Midwest. Mahomes andrà a Disney World e nonostante le più che legittime rimostranze di chi ritiene Damien Williams più meritevole di questa fugace vacanza pagata, non poteva essere altrimenti: Mahomes è il volto di questi Chiefs, squadra che in questi due anni ha completamente rivoluzionato trascinandola fuori dalle sabbie mobili dell’eterna incompiutezza e trasformandola nel versione moderna del Greatest Show on Turf.
A seguito degli ultimi due Super Bowl mi sono trovato costretto a parlare di Nick Foles e di Julian Edelman, due MVP fieramente esponenti della classe operaia della NFL – anche se non so quanto sia proletario essere il migliore amico del buon Tom Brady -: quest’anno il discorso è completamente diverso, in quanto sto per mettere insieme qualche migliaio di parole su un ventiquattrenne di cui praticamente è stato detto tutto, tant’è che abbiamo avuto modo di deriderlo per il suo singolare amore per il ketchup, condimento che oltre a fare pendant con la propria divisa secondo i suoi gusti fa pendant con circa ogni pietanza, tanto che a volte come snack racchiude del buon ketchup fra due fette di pane per un sandwich ketchup e… ketchup.
Dovremo pur avere qualcosa con cui punzecchiarlo, no?
Se ci soffermassimo solamente sull’aspetto tecnico del suo gioco probabilmente potremmo istituire una nuova rubrica settimanale e portarla avanti mesi, se non anni, in quanto non c’è cosa realizzabile da un quarterback sul gridiron che Patrick Mahomes non sia in grado di replicare ad un livello schifosamente più alto rispetto a qualsiasi altro umanoide NFL: lanci sidearm, far volare lo sferoide prolato – un saluto agli amici di Huddle Magazine – come un ben più leggero vortex per ottanta – o più – yards senza alcuna difficoltà, lanciare in salto, cadendo, cambiando braccio, correndo all’indietro et cetera et cetera. Pensate ad un modo per far schizzare l’ovale da una parte all’altra del campo. Fatto? Per quanto assurda possa sembrarvi la vostra idea, potete stare sereni che Mahomes troverà modo di renderla realtà: sì, è così talentuoso.
La lezione che abbiamo imparato durante quest’ultimo mese, però, è un’altra: Patrick Mahomes è un leader semplicemente sensazionale e la sua presenza dentro il rettangolo di gioco garantisce ai Kansas City Chiefs una possibilità di vincere ogni maledetta partita.
Indipendentemente dall’avversario.
Indipendentemente dalle condizioni climatiche.
Indipendentemente da quanto fatto fino a quel punto della partita dagli avversari: finché c’è Mahomes, cari lettori, c’è speranza.
Ammetto che dopo il secondo intercetto stavo seriamente iniziando a credere che per Kansas City la favola fosse finita, in quanto parliamoci chiaro, fino a quel punto della contesa il reparto offensivo era stato la brutta copia di quanto siamo abituati a vedere: la totale impermeabilità di San Francisco alle big play ha visibilmente frustrato i protagonisti in campo, fra cui lo stesso Pat, incapaci di battere in profondità la ben schierata – ed allenata – difesa di San Francisco. Aggiungiamo a ciò pure la pressione portata dal solito, spietato, front seven californiano: non sembrava essere la loro sera, non sembrava essere quel momento su cui ogni tifoso ha fantastico per anni o addirittura decadi intere poiché contro questa difesa, molto spesso, non c’è semplicemente nulla da fare a parte inchinarsi in segno di rispetto ed ammirazione.
Se credevamo che la folle rimonta durata un paio di battiti di ciglia messa in piedi contro i Texans fosse hardcore, che dire di trovarsi sotto di due possessi contro la miglior difesa del campionato a circa dodici minuti dal fischio finale del Super Bowl?
Già questa mattina ho avuto modo di incensare l’ottimo operato della difesa, o se preferite l’assurda decisione di Shanahan di cominciare ad insistere sui lanci nel momento più importante della propria stagione, ma proviamo per un attimo ad entrare nella testa del numero quindici: dopo due anni di assoluto dominio e sistematica demolizione di ogni reparto difensivo immaginabile, come ci si deve sentire a passare i peggiori cinquanta minuti di carriera proprio nella partita, nel momento più importante di tutti? Tale pressione schiaccerebbe chiunque e la frustrazione sarebbe tranquillamente in grado di sopraffare la razionalità, finendo così per causare scelte scellerate capaci di compromettere definitivamente il Super Bowl, quella partita che non ha un domani, quell’occasione in cui arrivare a lasciare pure l’anima sul campo comincia ad essere qualcosa più che un semplice, abusato, cliché sportivo.
Mahomes, però, è diverso dagli altri, o meglio, a soli ventiquattro anni è fatto della stessa sostanza dei più grandi di sempre: quanto fatto questa notte sembra uscito da un racconto sulla carriera di Tom Brady, ma no, non stiamo parlando di quello che molti considerano il più grande di sempre, ma di un ragazzo che ha tutte le carte in regola per taccheggiargli questo titolo.
Con pazienza e lucidità commoventi, Mahomes ha cominciato a muovere con estrema metodicità le catene e, a quel punto, ecco arrivare le big play: prima il missile terra-aria su 3&15 ricevuto da Tyreek Hill, poi la stupenda connessione con l’ultra-sottovalutato e pertanto spesso dimenticato Watkins che ha apparecchiato la tavola per il touchdown del definitivo sorpasso. Nel mentre ci sono state una decina di giocate nelle quali ci ha semplicemente dimostrato di non essere disposto a perdere questa partita, indipendentemente dalla volontà del non più così insormontabile front seven di San Francisco: ne abbiamo viste di rimonte in questo sport, ma riemergere da un baratro di due possessi contro la difesa più dominante del campionato, a soli ventiquattro anni, è semplicemente roba riservata alle vere leggende del gioco.
E pazienza se il tabellino recita lo stesso numero sotto la voce “touchdown” ed “intercetti”, fa lo stesso se ha subito quattro sack e per tre quarti di gioco gli sia stata messa la museruola, come un vero campione ha avuto la forza mentale di premere “reset” nel momento più delicato della propria vita sportiva: ventiquattro anni, signori.
“He’s got a great arm, big balls and he’s mobile. He is going to drive his head coach crazy for the first couple of years and there is no getting around that”: questo è quanto recita il suo profilo pre-draft su NFL.com. “Porterà ai matti il proprio allenatore per i primi anni, inutile girarci intorno” è probabilmente la mia frase preferita e per i prossimi mesi ve la riproporrò ad ogni piè sospinto: durante i primi anni Mahomes ha portato il proprio allenatore ad un passo dal giocarsi il Super Bowl ed al primo Lombardi in ventuno anni di onoratissima carriera.
Meno male che doveva portarlo ai matti.
Ciò che più mi lascia più perplesso, però, è la consapevolezza dell’esistenza di un margine di miglioramento le cui dimensioni sono follemente enormi: si tende a considerare “prodotto finito” un giocatore che a soli ventiquattro anni può già vantare nel proprio palmares un Lombardi ed un MVP, ma focalizziamoci sui “soli ventiquattro anni”.
Considerare arrivato un ventiquattrenne in una posizione in perenne evoluzione è pateticamente insensato, in quanto con quel genio di Reid al suo fianco e con un arsenale sempre in costante aggiornamento su cui contare Mahomes non è neanche lontanamente vicino al proprio cento percento.
Non è un’opinione questa, è uno spoiler.
Ha vinto Mahomes quindi, ha vinto Andy Reid, hanno vinto i Kansas City Chiefs: associare il concetto di Lombardi ai loro colori mi viene difficile dopo anni di Alex Smith e precoci eliminazioni ai playoff, anche se credo mi convenga abituarmici il prima possibile poiché siamo seri, per quale motivo l’anno prossimo di questi tempi non ci potremmo trovare a tessere ulteriori lodi alla loro nuova cavalcata al Lombardi? Chi avrà il coraggio e l’equipaggiamento necessario per fermare una corazzata che sembra ancora ben lontana dall’aver raggiunto il proprio massimo potenziale?
Dopo un ventennio dominato dallo stesso duo allenatore-quarterback, potremmo trovarci davanti ad un cambio di guardia sul trono: sto mettendo le mani troppo avanti, ne sono consapevole, apprezziamo questo momento, apprezziamo la ventata di freschezza portata dai Chiefs e da Patrick Mahomes, ché in un paio d’anni potremmo trovarci costretti a sbadigliare dinanzi al loro dominio.
Godiamoci, soprattutto, il talento di un giocatore in grado di mettere d’accordo veramente chiunque: questa signori è prerogativa dei grandi… grandi ventiquattrenni?!
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
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La vera grandezza del n°15 è questa: il marito di Gisele faceva divertire solo i suoi tifosi, Mahomes fa divertire tutti. È uno spettacolo nello spettacolo e c’è solo da sperare che conservi la salute. Quanto ai Chiefs, devono puntare subito al repeat perché al rinnovo di Patrick mezzo salary cap finirà intasato.