Concentrarsi su cosa sia davanti ai nostri occhi ora come ora è veramente complesso, soprattutto considerando cosa sia appena tragicamente entrato nel nostro “passato” collettivo di appassionati di sport americani: questa volta forse nemmeno il tempo sarà in grado di lenire le nostre ferite, ma come diceva un’altra icona della California scomparsa decisamente troppo prematuramente, life goes on.

Onorare la vita di uno dei più grandi competitor della storia portando in dono un Super Bowl a milioni di cuori infranti sarebbe un buon modo per affrontare il cordoglio e signori, questi San Francisco 49ers hanno tutte le carte in regola per riuscire in un’impresa che lo scorso anni, di questi tempi, sarebbe sembrata illusa utopia.
Reduci da diciassette vittorie in quattro stagioni, da quella catastrofe sportiva chiamata Chip Kelly, dalle lotte di potere intestine che costarono il posto ad Harbaugh e da allenatori fantoccio come Tomsula, nessuno poteva aspettarsi una stagione del genere: erano sì ricolmi di potenziale, ma considerati i continui fallimenti in preseason era piuttosto facile guardare con diffidenza agli aggressivi investimenti compiuti da Lynch o sbeffeggiarli dopo aver speso una scelta al quarto round del draft per selezionare un punter.
Ad inizio stagione potevamo collocare Shanahan sulla graticola, poiché per quanto brillante possa essere la sua mente diventa difficile per un front office così spregiudicato e privo di paure rinnovare la fiducia ad un allenatore in grado di raccogliere il gran totale di dieci vittorie in due stagioni: non che fosse colpa sua, ma si sa, la mancanza di risultati tende a produrre irrazionalità, nonostante gli infiniti alibi nella sua faretra.

Durante l’estate abbiamo avuto modo di ridere – e deridere – la loro scelta di ricoprire d’oro Garoppolo leggendo dei cinque intercetti consecutivi lanciati durante una sessione di allenamenti al training camp: piuttosto che prenderlo come fonte di divertimento, in quel momento chiunque, dal GM di una rivale divisionale al più occasionale dei tifosi, avrebbe dovuto fermarsi ed iniziare a covare un razionale terrore del mostro nel sotterraneo di San Francisco.
Per quanto il sorriso di Garoppolo sia incredibilmente affascinante ed in grado di emozionare orde di esponenti del gentil sesso e per quanto ci piaccia lodare la mostruosa versatilità – ed efficacia – di George Kittle, il cuore di questa squadra è la difesa, più precisamente un front seven assemblato con un mix letale di sapienza, fortuna e rischi calcolati: portarsi a casa il miglior giocatore del draft con una scelta diversa dalla prima assoluta può essere visto come fortuna, mentre le acquisizioni dei vari Ford ed Alexander rientrano senza ombra di dubbio nella categoria “rischi calcolati”.
Odio l’intrinseca banalità ed inadeguatezza dei proverbi, ma mi sento di dire che in questo caso utilizzare un la fortuna aiuta gli audaci possa essere appropriato alla situazione, in quanto nonostante l’avvilente numero di infortuni e, di conseguenza, sconfitte il front office di San Francisco ha comunque avuto il coraggio di portare avanti il proprio progetto e signori, tutto ciò ha pagato nel più magnifico dei modi: quanto deve essere dolce poter scandire le parole Super Bowl?

Solitamente se ci si cimenta nella disamina tecnica di una squadra la tendenza è quella di partire dal reparto offensivo: non per mancare di rispetto a Jimmy G e soci, ma questa volta permettetemi di partire dalla difesa.
La pressione, generalmente, è una cosa magnifica in quanto è in grado di permetterci di tirare fuori il meglio di noi stessi, creare diamanti e, in NFL, di sabotare completamente il gameplan offensivo degli avversari: citando quanto detto dall’indovino Romo parlando dei Patriots del 2007, anche il migliore – e per “migliore” intendiamo effettivamente MIGLIORE – degli attacchi è in grado di incepparsi sotto l’assedio di due ottimi pass rusher.
Figuratevi se a perpetrarlo sono in quattro.

Nick Bosa ha immediatamente mantenuto ogni singola promessa concepita durante i lunghi mesi di avvicinamento al draft, dimostrandosi fin da subito una macchina da pressioni in grado di sopraffare qualsiasi tackle trovi nel suo percorso: sicuramente benefica è la presenza dall’altra parte della linea di Armstead, edge defender finalmente esploso, senza dimenticare la pressione portata dall’interno dall’apparentemente dimenticato Buckner e dal finora mai esaltante Solomon Thomas. In tutto ciò, giusto per non farsi mancare niente, il contributo di Dee Ford potrebbe passare in secondo piano: questo sarebbe un errore madornale, in quanto aver la possibilità di far rifiatare uno fra Bosa ed Armstead inserendo un artista del sack come Ford è un lusso di cui poche squadre possono fregiarsi.
Questa manciata di giocatori, coadiuvata da un paio di ottimi linebacker come Greenlaw, Alexander – nuovamente sano – e Warner hanno permesso a San Francisco di annullare sistematicamente il passing game avversario: ciò ci offre uno spunto di riflessione piuttosto interessante che trascende le crude statistiche. Delle diciotto partite giocate fino a questo punto, San Francisco ne ha perse solamente tre, tutte con uno scarto uguale o inferiore ad un touchdown e ciò è riconducibile alla sopracitata efficacia del pass rush: tarpando le ali del gioco aereo avversario riescono sistematicamente a prevenire ed impedire eventuali fughe, rimanendo sempre e comunque in partita fino all’ultimo istante e, più spesso che non, vincere.
Sarà interessante constatare la veridicità di tale tendenza pure domenica, in quanto abbiamo ben presente l’abilità di Kansas City di prendere fuoco e scappare via in periodi di tempo inscrivibili ad un misero quarto di gioco: contro i ‘Niners, teoricamente, i ragazzi di Reid dovranno guadagnarsela fino all’ultimo secondo l’eventuale vittoria.

Fra le mille cose che non capisco di questo mondo – e fidatevi, mille è un pigro eufemismo – probabilmente nessuna mi lascia più perplesso ed infastidito che leggere o sentire gente parlare della lodevole felicità di Garoppolo nel vedere il proprio running game macinare yards e muovere catene con disarmante facilità: in che universo, precisamente, un quarterback non dovrebbe essere felice di ciò? Cosa c’è di sensazionale in tutto ciò? Poter contare su un running game così efficace è una manna dal cielo, in quanto oltre che ad abbassare esponenzialmente le possibilità di commettere turnover la metodicità ed intrinseca lentezza di questa fase di gioco permettono al reparto difensivo di rimanere fresco e riposato, aumentandone spaventosamente l’efficacia.
Ovviamente trascinare una squadra al successo principalmente grazie alle proprie gesta eroiche nutre l’ego, ma per anni abbiamo avuto modo di osservare quanto logorante possa essere caricarsi cinquantadue persone – ed uno staff tecnico – sulle proprie spalle: per maggiori informazioni rivolgetevi a quell’Aaron Rodgers molto probabilmente ancora sotto shock per quanto successo al Levi’s Stadium una decina di giorni fa.

La profondità del backfield, l’acume tattico di Shanahan e l’efficacia di una delle miglior linee d’attacco della lega non possono che costringere San Francisco ad affidarsi con maniacale insistenza al running game: per quanto ci piaccia discutere per ore sull’evoluzione del gioco e l’apparente dominio della dimensione aerea, muovere le catene via terra rimane la formula più sicura per il successo.
Nell’improbabile, ma ciò nonostante possibile, caso in cui San Francisco dovesse trovarsi nella posizione di rincorrere, sono abbastanza sicuro che Jimmy Garoppolo sia in grado di prendere in mano la situazione per cercare di colmare rapidamente il gap e ciò abbiamo avuto modo di appurarlo durante il magnifico testa a testa con i New Orleans Saints: non solo è stato in grado di risanare uno svantaggio di due possessi – spesso condanna a morte contro Brees e compagni – nella prima metà di gioco, ha addirittura messo insieme un esaltante game winning drive reso possibile dalla brillantezza individuale di George Kittle, uno dei migliori cinque giocatori in NFL indipendentemente dal ruolo.

La carta vincente di San Francisco sarà ancora una volta il sapiente uso dei movimenti pre-snap, concetto tanto caro quanto indispensabile per Shanahan: nessuna squadra ricorrere altrettanto assiduamente a ciò e per rendervi l’idea di quanto difficile sia preparare un gameplan difensivo contro di loro mi limiterò a dirvi che il 75% dei loro snap vede qualche loro skill player cambiare di posizione prima dello scambio centro-quarterback. L’unico modo per non venire castigati da tutto ciò è poter contare su disciplina e comunicazione impeccabili, in quanto una mezza esitazione potrebbe rivelarsi fatale contro velocisti del calibro di Sanders, Samuel e Pettis.
Un altro concetto a mio avviso fondamentale se si parla di questi 49ers è la versatilità che, in questo caso, fa rima con abnegazione: il contributo di giocatori come Juszczyk e Kittle va oltre a quanto recitato dal box score, poiché la loro abilità nel bloccare ed eseguire ad un livello commoventemente alto tutto ciò che è classificabile come “lavoro sporco” rende possibile a giocatori come Mostert totalizzare più di duecento yards e quattro touchdown nel Championship Game, non una banale partita di preseason.
Nonostante i pronostici diano favoriti i Chiefs, la formula vincente appare piuttosto chiara ed è la stessa che li ha condotti fino a questo punto: vincere la battaglia sulla linea di scrimmage con il front seven di KC per correre con estrema fisicità, bruciando così quanto più cronometro possibile per relegare Mahomes ed il reparto offensivo di coach Reid a bordo campo… senza dimenticare l’occasionale play action in grado di cogliere impreparato il reparto difensivo avversario e puff, big play.

Nonostante l’ingiusta diffidenza con cui li abbiamo guardati per i primi due mesi di regular season nei quali non riuscivamo a capacitarci del loro immacolato record, possiamo tranquillamente affermare che a rappresentare la NFC al Super Bowl troviamo quella che per tutta la stagione è stata la miglior squadra, top to bottom: questa gloriosa cavalcata ha dimostrato e legittimato il valore di Lynch come general manager, in quanto escludendo il contratto di McKinnon e le scelte spese per Solomon Thomas e Reuben Foster, è stato in grado in meno di due anni di risollevare la sorte di una gloriosa franchigia che sembrava aver smarrito permanentemente la retta via con calcolata aggressività e fermezza, non dimenticandoci che nel mentre Shanahan ha dimostrato non solo di essere una delle menti offensive più brillanti della nostra generazione, ma pure uno dei migliori allenatori in assoluto, come deducibile dalla qualità dello staff tecnico da lui assemblato e dalla coesione di uno spogliatoio tanto ricco di personalità quanto povero di inutili e fuorvianti drammi.
Garoppolo, analogamente ai due signori di cui abbiamo appena parlato, muore dalla voglia di dimostrare al mondo di poter aggiungere alla sua già ricca collezione di anelli il primo tutto “suo” e, indipendentemente dal numero di lanci tentati, ha dimostrato di poter essere l’uomo franchigia – in campo e fuori – per un’orgogliosa organizzazione che sembra pronta a riprendersi il suo posto nell’Olimpo della NFL: tutto questo se e solo se riusciranno a trovare il modo di fermare il fenomenale Mahomes in uno scontro che credo potremmo vedere più volte nei prossimi anni.

Avete ragione, non ha alcun senso mettere le mani troppo avanti: vediamo cosa succederà domenica, intanto.

 

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.