Con l’importantissima e convincente vittoria a New England, i Chiefs si sono assicurati il titolo AFC West per la quarta volta consecutiva, assieme ad almeno una partita casalinga in postseason.

L’evoluzione stagionale, a questo punto, spinge il club di Andy Reid a caccia del bye week, possibile se le restanti tre gare portassero altrettante W e i Patriots steccassero ancora, magari contro Buffalo, sulla carta unico match impegnativo.

Affascinante il fatto che la splendida prestazione al cospetto di Belichick rappresenti un trait d’union con la sconfitta della vecchia finale di conference, patita proprio con la franchigia di Boston. Per analizzare l’attuale torneo di Kansas City bisogna difatti partire da quella drammatica gara, che lasciò all’MVP Mahomes da un lato un senso di incompiutezza per non aver portato a termine un’annata trionfante, sia a livello personale che di squadra – arrivata a quell’appuntamento assolutamente non da sfavorita – e dall’altro la voglia di ripartire da capo, sicuro che i primi ad ereditare la dinastia di Tom Brady, sempre più in là con gli anni e (forse) un po’ in calo nel futuro prossimo, sarebbero stati lui e i suoi compagni di squadra, forti di una concorrenza sterile e pressoché assente in AFC!

Mai fare però troppo in fretta i conti con l’NFL, sport pazzesco se ce ne è uno nello scoprire nuove sensazioni e sorprese!

Se dopo un calendario molto benevolo lo scontro ravvicinato con tre top team sembra effettivamente aver accentuato dei cali in quel del Massachussetts, specialmente – incredibile a dirsi – nella fase offensiva, d’un tratto asettica e povera di alternative per il GOAT, è altresì vero che alla famosa e tanto attesa legacy pare si stiano interessando altri due prospetti tecnicamente genialoidi, ma pure spiccatamente colmi di personalità. Deshaun Watson e soprattutto Lamar Jackson rappresentano difatti oggi ciò che Mahomes è stato fino a ieri, accrescendo perciò alternative valide agli inarrivabili Patriots e ai “vice” Chiefs e amplificando ulteriormente il tenore generale di tutta l’American Football Conference, ora non più sorella povera della National.

Ciò ha portato e probabilmente porterà un marpione come Reid a lavorare sotto traccia, senza più le luci della ribalta e obblighi giornalistici e mediatici solo per i suoi ragazzi: una manna dal cielo per lui! Quel che infatti sta risaltando in questo periodo, è una nuova attitudine di Kansas City rispetto al passato, quando l’intuito del suo campione, sempre sano fisicamente e mentalmente, risolveva in autonomia le problematiche offensive, arrivando però, nello step decisivo, ad essere incartato dall’unico (?) stratega di sideline più smart del vecchio Andy, lasciando il gruppo senza le classiche idee e munizioni, costretti così a giocare il match della vita contro Tom Brady in situazione clutch: una mission impossible!

La forza di un team e del proprio allenatore si vede non ad inizio stagione o nel training camp, una sorta di passerella per superstar (vere o presunte), flash fotografici continui e proclami cospicui di aspettative, ma successivamente a difficoltà serie, come possono essere infortuni di uomini cardine, eventi contrari prima, durante e dopo una gara oppure trovarsi in circostanze deficitarie ed impreviste. C’è chi crolla e si scioglie e chi invece raccoglie i cocci trovando alternative tecnico/tattiche con uomini nuovi, dando fiducia psicofisica a prospetti che magari non rientravano negli originali game plan dei coordinator.

Nessuno deve offendersi se prendiamo i Browns come primo esempio, dove un talento cristallino pare non essere mai sfruttato in pieno da Freddie Kitchens e i suoi simboli (Mayfield e Garrett) in condizioni critiche hanno perso smalto e testa. Un monumento va invece fatto a Mike Tomlin, grandioso motivatore e condottiero più che head coach, capace di costruire step dopo step una nuova identità ad un club privato dalla sfortuna di ogni possibilità di competere, ma oggi ancora a testa alta e miracolosamente in scia playoff.

Andy Reid, camaleontico da sempre, non si è fortunatamente trovato nelle medesime condizioni di Pittsburgh, ma è riuscito anch’egli a sopperire alle impreviste complicazioni palesatesi durante periodi decisivi, quando la facile leadership divisionale era ancora in bilico e le certezze delle ultime due campagne parevano essersi sgretolate, a causa di una difesa troppo docile e al terrorizzante e apparentemente grave infortunio a Mahomes.

Quel che certamente accade nei confronti di Ravens e Houston, e cioè visioni continue su movimenti e fake dei propri quarterback da parte di “spie” avversarie, è probabilmente avvenuto verso Reid, Bienemy, Spagnuolo e soci ad inizio torneo, provocando scricchiolii in più di un’occasione, susseguentemente alle prime gare con Jacksonville, Oakland, la stessa Baltimore e Detroit, dove “showtime” e i suoi compari avevano ripreso da dove si erano fermati, bombardando di yards e touchdown le povere difese altrui!

Superare quota 300 via aria e le 10 iarde per tentativo è prassi per i Chiefs, che con un regista del genere sono spesso stati abituati ad ottenere al primo colpo il risultato prefissato, senza puntare a tattiche di contenimento, tipo lanci sul breve, corto iardaggio o utilizzo di fullback! Ciò figuriamoci è un pregio, ma costringe la retroguardia – ironia della sorte – a brutte figure, stando in campo più del solito ad annaspare senza lucidità, specialmente per la fatica che soprattutto il front seven – reparto maggiormente a rischio in tali situazioni – deve sopportare (20mi per yard totali, 12mi su passaggio e 28mi via terra).

Analizzando per esempio le statistiche personali e i nomi non possiamo assolutamente dire che Chris Jones, Frank Clark, Alex Okafor ed Emmanuel Ogbah siano giocatori talentuosi meno di Damien Williams, Mecole Hardman, Demarcus Robinson o gli odierni McCoy, Watkins e Ware, che rispetto a loro usufruiscono in avanti delle “attenzioni” ricevute dalle tre divinità Mahomes, Kelce e Tyreek Hill, ricavando perciò metri di verde disponibile. Stesso giudizio utilizziamo per la certezza Mathieu e l’ottimo rookie Thornhill in retrovia, ma pure per Hitchens e Wilson, che in singoli snap sono macchine di placcaggi.

L’acume di Reid, per il quale lo abbiamo decantato poc’anzi, è arrivato dalla trasferta di Denver, seguente a due W per il rotto della cuffia e a due preoccupanti sconfitte casalinghe con Indianapolis e Houston, dove la chiave per “normalizzare” i Chiefs è stata quella di soffocare il loro running game, tenendo inoltre l’O-Zone per ben 77 minuti totali in sideline, ciò che in parte accadrà pure nella L di Tennessee, dove le 3.9 yd a portata obbligheranno Mahomes ad un sacrificio monstre al lancio, vanificato però dalle apertura verso Derrick Henry (188 rushing yards).

Col regista infortunato il coach ha ricominciato a condurre l’attacco in “modalità Alex Smith”, dando le redini del playbook a Matt Moore, backup solido psicologicamente e secondo a nessuno per esperienza e maturità, e puntando a “dirigere” lui l’andamento del match, giocando col cronometro, togliendo ritmo agli avversari e dando ai suoi difensori la possibilità di far emergere le loro qualità, assolutamente pregevoli. Mentre con l’ex 49ers al comando delle operazioni si performava football in modo geometrico e senza sbavature ma mancava il killer instinct nel momento di incidere e mettere classe e dote, oggi si potrebbero benissimo unire le due anime, come visto fino alla sconfitta coi Colts e dalla prematura uscita dal campo di Mahomes a Denver, portando così Kansas City nel picco più alto dell’intera NFL.

Dall’ingresso di Moore al rientro di Patrick e accantonando la già accennata debacle coi Titans, si è infatti viaggiato con sole 6.3 yd per passing attempt di media e addirittura 4.3 su corsa e il funambolico leader si è tutelato da eventuali ricadute (è tuttora acciaccato) mantenendo quota 205 al lancio e 30 su corsa. I risultati? Cinque vittorie con qb di riserva e titolare a mezzo servizio e una retroguardia dominante, che ha messo in luce le proprie peculiarità, grazie anche a quasi 27 minuti di media dentro al rettangolo di gioco a differenza dei 31 del passato (26mi nel 2018), con soltanto 17 punti subìti a partita, ben 22 sack, 7 intercetti e – risultato più straordinario – 87 yard incassate su corsa per game, il vero incubo delle due ultime stagioni.

Si è così demolito il luogo comune che i Chiefs non abbiano una difesa di livello, o comunque insufficiente a proteggere lo spessore di Kelce & Co, e si è visto ancora una volta quanto sia importante avere un capo allenatore che sappia andare oltre le individualità dei suoi uomini, avendo a disposizione nel proprio background numerosi piani di riserva e soluzioni alternative.

Certo potrebbe non bastare per arrivare fino in fondo, vista l’inarrestabile corsa di Baltimore, i sempre presenti Brady/Belichick e i nuovi pericoli provenienti dal Texas. Risulta pure difficile agguantare il secondo seeding, che eviterebbe un ulteriore match contro difese assatanate (Titans e Steelers?) e darebbe l’opportunità di una attesa rivincita all’Arrowhead Stadium contro gli storici padroni della AFC.

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